"Fare i conti con l'ambiente", il resoconto di Antonio Castagna dal festival di Ravenna
Esperto di reducazione ambientale e autore del libro "Tutto è monnezza", Antonio Castagna è stato a “Fare i conti con l’ambiente”, il festival dedicato all’ambiente che si tiene a Ravenna, giunto quest'anno alla VII edizione
26 May, 2014
di Antonio Castagna
“Fare i conti con l’ambiente” , giunto quest'anno alla VII edizione,
ospita conferenze, workshop, eventi, dedicati a una grande varietà di temi, energia, bonifiche, rifiuti, economia, innovazione. Nei quattro giorni, dal 20 al 24 maggio 2014 gli incontri si sono accavallati, ospitati in 11 spazi diversi nel centro storico di Ravenna. Una varietà di proposte che costringe chi va a sentire gli interventi a scegliere e a costruire una propria agenda.
Ogni workshop dura tre ore, dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 17, mentre i labmeeting durano tutta la giornata, il che dà la misura del grado di approfondimento. Ogni incontro è un susseguirsi di relazioni ognuna delle quali dura circa 30 minuti. Gli esperti, studiosi, ricercatori, professionisti, ospiti di ogni singolo incontro dialogano tra loro intorno a un tema specifico: “La bonifica dei siti contaminati”, oppure “Rifiuti e partecipazione”. Lo spazio per il dibattito con il pubblico è quasi nullo.
Siamo di fronte a un festival ibrido, lo definire "quasi per specialisti". Nel senso che le presentazioni sono curate da specialisti, docenti universitari, ricercatori dell’ISPRA, giornalisti, dirigenti di enti pubblici, Regioni, Province e Comuni e utilizzano il linguaggio tecnico; nello stesso tempo si tratta di temi che possono interessare anche semplici cittadini e appassionati come me e come un signore incontrato per caso che voleva capire che fine avrebbero fatto i fanghi di dragaggio del porto di Ravenna, “visto che io abito lì vicino vorrei capire”.
Io, visto la passione che ho per i rifiuti e per il riuso, ho seguito soprattutto incontri dedicati a quello. Giovedì 22, per esempio, ho seguito un LabMeeting su “Evoluzione o involuzione nello scenario italiano sulla gestione dei rifiuti” dove ho imparato un mucchio di cose. Ad esempio, che la produzione di rifiuti nel mondo raddoppia ogni 5 anni; che in Germania e altri paesi del nord Europa, la tariffa sui rifiuti è molto ma molto più alta che in Italia, e anche per questo fare certe cose gli riesce meglio; che le direttive europee hanno adottato il concetto di materia prima seconda (ad esempio, il ferro raccolto, dopo aver verificato che non contenga agenti inquinanti, viene riavviato in fonderia) grazie a indicazioni e delle buone pratiche sperimentate in Italia; che importiamo rottami di ferro dall’estero, perché non abbiamo esteso abbastanza le nostre buone pratiche (le abbiamo insegnate agli altri prima di finire di impararle); che la legislazione italiana è talmente frammentaria e contraddittoria da poter essere definita “La normazione a cerotti”; che certe volte sbagliamo la traduzione dall’inglese delle direttive UE tanto che il concetto di “vietato mescolare categorie diverse di rifiuti” diventa “vietato mescolare rifiuti di diversa pericolosità”, che non vuol dire esattamente la stessa cosa e che non c’entra nulla con il contenuto della norma. 
Insomma, ho imparato che in Italia si fanno delle cose benissimo. E delle cose malissimo.
L’ho imparato grazie agli interventi di David Newman, Filippo Brandolini, Andrea Zuppiroli, Lorenzo Perra, Paolo Giacomelli, Elisabetta Perrotta, Fabio Fava, Maya Battisti, Alessandra Bonoli, Giancarlo Dezio, Enzo Scalia, Pietro Navarotto, Lidia Lombardi. Ognuno di loro ha trattato temi diversi, partendo da specialismi differenti.
A fine giornata mi girava un poco la testa. Sono andato a salutare la professoressa Bonoli, che ha parlato di filiera corta ecoefficiente, raccontando, tra le altre cose, di un’esperienza di rigenerazione di computer che ha permesso all’Università di Bologna di risparmiare 100.000 €. Spero di andare a trovarla presto perché mi piacerebbe approfondire.
Infine sono andato a prendere un caffè con Maya Battisti, del Centro studi “Occhio del Riciclone”, che ha messo insieme una serie di dati che testimoniano le potenzialità e l’importanza del riuso, sia dal punto di vista ambientale che sociale. Basti un solo dato a testimoniarlo: i cassonetti italiani contengono almeno il 3% (ragioniamo in peso) di oggetti riutilizzabili che hanno valore di mercato. Solo a Roma il valore della merce si aggira sui 33 milioni, calcolando per difetto.
Ho trovato interessante che evoluzioni e involuzioni del nostro paese siano state presentate una accanto alle altre, senza timore di evidenziare le criticità, e con la consapevolezza che abbiamo a che fare con un sistema complesso a cui non è possibile applicare slogan e semplificazioni eccessive. E sono grato a Mario Sunseri e Giovanni Montresori, di Labelab, che hanno pensato a incontri capaci ogni volta di restituire un’immagine sfaccettata dei temi, senza sensazionalismi e dedicando a ogni questione un tempo necessario all’elaborazione.