Le recensioni di Cinemambiente: Waste Africa
Waste Africa, cortometraggio di Matteo Lena, presentato nella giornata di apertura del festival racconta di Samsung. Senza padre e abbandonato dalla madre, dovrà lottare per ridare alla sua Terra, ora ricoperta di rifiuti, prosperità e futuro
31 May, 2014
di Angela Conversano
Con le musiche di Wagner e un fiume d'immondizia comincia la fiaba “nera” di Samsung. “Nera” perché amara e perché richiama il colore dei fumi che gli abitanti di Agbogbloshie, in Ghana, respirano ogni giorno. Ad essere presentate attraverso gli occhi di un bambino abbandonato da suo padre, un re, sono le conseguenze del consumismo occidentale e orientale: ettari e ettari di terra ricoperti da rifiuti tecnologici che arrivano in Africa. Giungono lì come materiali riutilizzabili e invece non sono altro che scarti da cui la popolazione locale recupera metalli per poi rivenderli a pochi euro. Ed è così che in un terra molto lontana giungono camion carichi di rifiuti che i paesi più ricchi scaricano lì illegalmente per pagare meno tasse.
Guardando il documentario si ha l'impressione di aver perso qualche collegamento: la pellicola procede per immagini, passando da quelle amare che inquadrano lo stato di degrado in cui la popolazione è costretta a vivere, sommersa com'è da rifiuti, a quelle che mostrano il volto della donna vodoo che fa da voce narrante; dal racconto del tradizionale rito della costruzione della tomba per il dio a quelle che mostrano un giovane informatico capace di dar nuova vita a strumenti tecnologici. Mettere insieme tutti questi pezzi non è immediato, ma la soluzione c'è e arriva alla fine.
Finisce il film e alcune scene e frasi ritornano alla mente. Quelle che riprendono il piccolo Samsung
davanti al rogo dei cavi di rame e dice “Ti senti male, senti caldo nel tuo cuore”, quella del re padre di Samsung che ripete “Essere è avere”, invitando il figlio a varcare la “porta senza ritorno”, fatto di centri commerciali e di ricchezza, e poi due dati: il 75% dei rifiuti tecnologici dell'Europa e l'80% di quelli provenienti dagli Stati Uniti non sappiamo dove finiscano.