Le recensioni di Cinemambiente: A Burning Dream
Il film di Massimiliano Davoli è un viaggio all'interno del festival Burning Man, in cui la forza delle immagini riesce fortunatamente a colmare la fragilità dei contenuti proposti
02 June, 2014
Recarsi nel deserto del Nevada al festival Burning Man per “ritrovare se stessi” , dando per scontato che il “se” sia qualcosa disperso chissà dove di cui reimpossessarsi, è un’attività quantomeno opinabile. Se poi la ricerca della soggettività perduta diventa la premessa di un film è facile che i contenuti espressi dalla pellicola lascino negli spettatori più di una perplessità.
Fortunatamente a salvare, in parte, “A burning dream”, il film di Massimiliano Davoli presentato in anteprima alla 17esima edizione di Cinemambiente, ci sono le immagini. Quelle del Burning Man per l’appunto, il festival che si tiene ogni anno dal 1986 nel Black Rock Desert in Nevada, in cui, come recita la presentazione del film, “arte, musica e ogni tipo di espressione creativa si fondono per generare una performance in continua evoluzione, in cui scompare la dimensione individuale per lasciar posto unicamente a quella collettiva, quasi a ricordare i grandi raduni hippie degli anni Sessanta”. Davoli ha vissuto il Burning Man in prima persona, come tappa di un viaggio intorno al mondo intrapreso dopo la morte di un suo caro amico.
Oltre allo stesso Davoli, la protagonista principale sullo schermo è indubbiamente la sabbia, che sferza continuamente i volti e i corpi delle migliaia di persone accorse nel deserto per dare vita a questa comunità temporanea in cui vigono tre regole ferree: all’interno di Black Rock City, questo il nome della città che prende vita, non si può né vendere né comprare niente; è obbligatorio portarsi tutto quello di cui si può avere bisogno in una settimana di campeggio nel deserto; terza e tassativa regola “Leave no trace”, non lasciare traccia, ovvero: la carovana ritorna alla vita quotidiana lasciando il deserto libero e spoglio come l’ha trovato. Quando non è per aria la sabbia è sulle facce, sui vestiti, sulle roulottes, sui carri enormi e coloratissimi guidati dagli occupanti festosi di questa sconfinata distesa salata. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, vista la libertà rivendicata dai burner, molti di loro sono felicissimi di farsi riprendere durante le proprie performances artistiche e alcuni si fanno anche intervistare per esprimere qual è il motivo che li spinge nel Black Rock Desert. Dopo la sabbia la scena è tutta per le luci e i fuochi che illuminano le danze notturne, i concerti e le esibizioni dei giocolieri. Fiamme grandi e piccole, preambolo all’enorme rogo in cui brucia il mastodontico uomo di legno, il rito finale che segna l’apice del festival, che le riprese di Davoli offrono in tutta la sua potenza.