Smog: perché aumentano le patologie se l’aria è migliorata? | Intervista all’epidemiologo Ennio Cadum
Recenti studi segnalano un aumento di casi d’asma in età pediatrica attribuito all’inquinamento atmosferico. Eppure, nonostante la percezione dei cittadini, la qualità dell’aria è migliorata considerevolmente rispetto a trenta anni fa. Ne parliamo con Ennio Cadum di Arpa Piemonte
19 June, 2014
In seguito all’ International Pediatric Workshop di San Pietroburgo sono state rilasciate dichiarazioni da ricercatori ed esperti in pediatria che sottolineavano un aumento dei disturbi respiratori tra la popolazione infantile attribuito allo smog: in particolare, si segnala una prevalenza dei casi d’asma nei bambini di Roma passata dal 7% negli anni Settanta al 13% di oggi. Ma la qualità dell’aria non è migliorata rispetto a trenta-quaranta anni fa?
La qualità dell’aria è indubbiamente migliorata rispetto agli anni Settanta, anche se non allo stesso modo per tutti gli inquinanti. Le riduzioni più drastiche hanno interessato il diossido di zolfo e l’ozono - quest’ultimo non a Torino purtroppo; per gli altri inquinanti, in particolare gli ossidi d’azoto e il particolato, il miglioramento è stato meno rilevante. Va aggiunto che negli ultimi cinque o sei anni il trend del miglioramento è stato più altalenante che in passato.
E allora perché si legge di così tanti studi che parlano di aumenti delle malattie riconducibili al peggioramento della qualità dell’aria, come nel caso dell’asma a Roma?
Intanto, sul caso specifico, c’è da dire che l’asma è un problema particolare. Oggi sotto il termine di asma vengono classificate almeno quattro patologie diverse. L’asma di tipo allergico per esempio deriva dall’esposizione agli allergeni, come i pollini, il cui andamento effettivamente è decisamente peggiorato negli ultimi anni. (NdR: L'aumento dei pollini sarebbe da imputare ai cambiamenti climatici causati dall'aumento delle temperature negli ultimi anni, per quanto l'effettiva portata del fenomeno sia stata messa in discussione da alcuni istituti specializzati come il Centro Svizzero Allergie). L’aumento di questi casi è stato documentato, ma non hanno nulla a che vedere con lo smog. Esiste poi un tipo d’asma chiamato intrinseco, che è legato alle alterazioni dei tessuti polmonari. Oltre ai fattori genetici, le cause scatenanti di questa patologia si trovano nell’ambiente di vita quotidiana, come l’abitazione: l’asma è estremamente frequente nei Paesi Nordeuropei, e in particolare in Inghilterra, dove raggiunge i valori più alti di patologia. Non a caso, l’Inghilterra è uno dei Paesi in cui le moquette sono più diffuse. Se non viene lavata con grande regolarità, sulla moquette si crea un sostrato che contiene moltissimi allergeni che possono determinare un peggioramento drammatico della situazione. Insomma, l’asma di per sé non è un buon indicatore, perché non c’è un unico fattore di rischio. Sono diverse forme cliniche che purtroppo oggi vengono messe tutte assieme perché i sintomi sono uguali, ma non è che funzionino tutte allo stesso modo. Ma non è certamente l’inquinamento atmosferico ad aver acuito la patologia. La riduzione delle concentrazioni di contaminanti in aria si è semmai portata dietro anche una riduzione dell’incidenza della patologia asmatica. La cosa più probabile è che siano aumentati altri fattori di rischio.
Soltanto i pollini?
No: esistono altri allergeni presenti all’interno delle abitazioni, che prima non c’erano. Parlo per esempio dei solventi utilizzati in tintoria. L’abitudine a rivolgersi alla tintoria è aumentato nella popolazione, e i solventi che vengono usati rimangono attaccati agli abiti per poi diffondersi nell’ambiente indoor. A confermarlo ci sono degli esperimenti condotti nelle scuole. Nelle classi dove gli alunni tengono le giacche appese nella stessa stanza si registra una quantità di inquinanti che non si rilevano nelle aule in cui gli appendini sono assenti. E la ragione è appunto, l’uso dei solventi nelle tintorie.
E’ possibile che sia variato l’effetto degli inquinanti sulla popolazione negli anni?
L’effetto degli inquinanti è abbastanza stabile nel tempo. Prima non avevamo dati precisi sugli effetti delle varie frazioni del particolato, mentre oggi è più facile misurare ciò che accade per ogni incremento di 10 microgrammi. Possiamo dire che a parità di incremento, l’effetto sulla salute è rimasto lo stesso, ma ciò che è cambiato, in meglio, è la frazione di popolazione esposta. Penso soprattutto agli anziani, che sono i soggetti più sensibili: la stagione più pericolosa per questa fascia di popolazione è quella estiva, a causa della presenza dell’ozono. Rispetto ad un tempo però, la climatizzazione degli ambienti chiusi ha permesso di ridurre notevolmente l’esposizione. Ci sono sempre più abitazioni e case di riposo in cui l’aria è filtrata e climatizzata, dunque la concentrazione degli inquinanti non è più quella che c’era una volta, quando d’estate si aprivano tutte le finestre e il livello delle concentrazioni in casa e fuori era esattamente identico. E questo vale anche per il particolato, in particolare nel periodo invernale.
Questo però dipende solo da una questione di abitudini di vita, non è che di per sé gli inquinanti siano meno nocivi, giusto?
No, di per sé non è cambiato nulla. La tossicità è rimasta sempre la stessa. Ovviamente, più si riduce il livello di concentrazione degli inquinanti, minori sono i danni; ma per quanto la climatizzazione possa aiutare, per chi vive in un’area inquinata come la Pianura Padana, gli effetti dello smog sulla salute sono comunque evidenti e ormai quantificabili.
(Nell'immagine, una tempesta di pollini a Torino. Credits: Iskald)
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