Ciminiere Killer. L'inchiesta sulla centrale Tirreno Power di Vado Ligure
L'inchiesta sulla centrale elettrica di Vado Ligure - Quiliano Tirreno Power realizzata da LinfAlab. Sotto sequestro preventivo dall’11 marzo 2014 la centrale sarebbe responsabile, secondo la procura, della morte di circa 442 persone fra il 2000 e il 2007 da La Nuova Ecologia
19 September, 2014
di LInfAlab
Il carbone è la fonte fossile utilizzata per produrre energia elettrica che emette più CO2. Secondo il dossier Stop al carbone 2013 di Legambiente per ogni kWh prodotto dalle centrali a carbone italiane vengono emessi 857,3 grammi di CO2 nell’atmosfera. Ma la combustione rilascia anche molte altre sostanze dannose per la salute umana: arsenico, cromo, cadmio, mercurio, polveri sottili.
Ne pagano le conseguenze soprattutto le popolazioni che vivono a ridosso delle zone contaminate dai fumi e dagli scarichi delle centrali. E in ognuno di questi luoghi, cittadini e associazioni combattono la loro strenua battaglia contro il killer silenzioso. Come a Vado ligure e Quiliano, dove dagli anni ‘70 i savonesi vivono all’ombra della Tirreno Power.
Sotto sequestro preventivo dall’11 marzo per ordinanza del gip di Savona Fiorenza Giorgi, la centrale sarebbe responsabile, secondo la procura, della morte di circa 442 persone fra il 2000 e il 2007, di 1.700-2.000 ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 ricoveri di bambini per patologie respiratorie e attacchi d’asma fra il 2005 e il 2012.
“La prova del disastro ambientale con conseguenza sulla salute dei cittadini starebbe nella rarefazione dei licheni e nell’aumento delle malattie provocate dalle emissioni dei camini, che raggiungerebbero ben 23 comuni della provincia” afferma il procuratore nelle pagine dell’ordinanza che accoglie la richiesta di sequestro formulata dal pm Francantonio Granero, dopo un’indagine di due anni, da giugno 2011 ad agosto 2013, e i risultati di due consulenze tecniche, una epidemiologica e l’altra ambientale. L’accusa è di disastro ambientale doloso e di omicidio colposo.
Sigillo in centrale
Oltre all’ex direttore generale della Tirreno Power Giovanni Gosio e all’ex direttore di centrale Pasquale D’Elia, sono iscritti nel registro degli indagati altri due ex capocentrale, Emilio Macci e Stefano La Malfa, e Gianni Biavaschi, direttore del personale proprio a Vado. Ad aggravare la situazione della società ci sarebbero anche una serie di violazioni all’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) e le sei pagine del verbale d’ispezione dell’Ispra che lo scorso febbraio ha notificato all’azienda irregolarità nel sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni in atmosfera.
L’Aia era stata concessa alla centrale il 14 dicembre 2012 direttamente dal ministero dell’Ambiente con il ministero della Salute, dello Sviluppo economico e dell’Interno, dopo ben 5 anni dalla richiesta inoltrata dalla società. Definita dal gip Fiorenza Giorgi “estremamente vantaggiosa e frutto di un sostanziale compromesso”, l’autorizzazione comprendeva anche una serie di misure che in passato erano state giudicate non assoggettabili alla Valutazione di impatto ambientale, quindi fino a quel momento negate a Tirreno Power. Il compromesso prevedeva la costruzione di un nuovo gruppo a carbone in linea con le migliori tecnologie disponibili e il rifacimento integrale, nel giro di pochi anni, dei due vecchi gruppi Vl3 e Vl4 ormai obsoleti. L’impianto ha sempre esercitato su livelli di emissioni vicini al massimo previsto per legge, ma distanti (limitatamente ad alcuni parametri) da quelli stabiliti dalle migliori tecnologie disponibili. “In definitiva, seppure non sia possibile affermare, che il gestore abbia violato i valori limite di emissione previsti dalla legge, va tuttavia rilevato – scrive il gip – che l’esercizio della centrale è stato caratterizzato da una sistematica violazione delle prescrizioni imposte nei provvedimenti autorizzativi”.
Norme disattese
Nell’ordinanza di chiusura dell’impianto della Tirreno Power – partecipata al 39% da Sorgenia, al 50% dal Gdf Suez e all’11 % tra Iren e Hera – sono indicate quattro irregolarità: la prima è la mancata installazione, nel termine di nove mesi dal rilascio dell’Aia, di un sistema di monitoraggio delle emissioni a camino, che una volta installato è stato posizionato in modo difforme alle prescrizioni (nella parte superiore del camino anziché all’interno), compromettendo i dati acquisiti dal sistema. L’ordinanza contesta inoltre l’uso di un olio per l’accensione dei forni con percentuali di zolfo (1%) tre volte superiori alla media stabilita (0,3%) e, terzo fatto grave, la mancata copertura dei carbonili. Si tratta delle aree in cui viene stoccata la fonte fossile di energia che con 50.000 m² di spazio ospita 300.000 m³ di carbone spesso soggetto a movimentazione e causa di ingenti dispersioni di emissioni diffuse. Per ultime sono state anche registrate una serie di irregolarità nella gestione degli scarichi di produzione e dei rifiuti.
Ma i guai per la Tirreno Power non finiscono qui. Sono infatti indagate da metà giugno altre nove persone per traffico illegale di rifiuti: un’indagine collaterale che ha portato alla scoperta di 27.000 tonnellate di “ceneri leggere” trasportate nel cuneese in 15 mesi.
Destinate a impianti per cementifici, in realtà venivano portate prima in un capannone a Novello d’Alba e poi sotterrate nel territorio di Narzole, a pochi metri dal fiume Tanaro.
Cittadini controllori
Le violazioni sono avvenute anche grazie all’indifferenza degli organi preposti al controllo, come è evidenziato esplicitamente nell’ordinanza. «Sono stati infatti cittadini e associazioni, la rete savonese “Fermiamo il carbone”, a sottolineare le responsabilità di buona parte di politici e amministratori – racconta Annibale Biggeri, epidemiologo ambientale e docente di Statistica medica –. Per anni si è ignorata la situazione sanitaria e ambientale denunciata, a proprie spese, con perizie, denunce e diffide proprio dalla Rete». Nel 2010 le associazioni di cittadini hannoanche consegnato un esposto in procura, mossa che ha portato l’anno successivo all’avvio delle indagini da parte della magistratura.
Nel marzo di quest’anno è partita una campagna di raccolta della documentazion sanitaria di coloro che ritengono essere stati colpiti dall’inquinamento di Tirreno Power.«Ma oggi, ciò che fa ancora più male, oltre al danno, è la beffa – aggiunge Biggeri – L’uso strumentale del ricatto occupazionale da parte dei maggiori responsabili di questa situazione».
Ambiente e lavoro
TP-NE-3 All’indomani della chiusura dei gruppi a carbone, infatti, è iniziato il tiramolla tra sindacati e azienda per scongiurare gli esuberi, ma anche per la cassa integrazione ordinaria, considerata «l’unica soluzione oggi percorribile per consentire l’adeguamento degli impianti a quanto richiesto», afferma Alessandro Berta, direttore dell’Unione industriali della provincia di Savona.
«La cassa integrazione – aggiunge Fulvia Veirana, segretario provinciale della Cgil – non è certo l’unica soluzione, ma è un modo per attirare sulla nostra provincia l’attenzione da parte del governo, considerando anche che in un anno abbiamo perso il 56% di occupazione». A maggio la società ha annunciato 191 esuberi negli impianti termoelettrici italiani, di cui 35 nel sito di Vado Ligure. E come se non bastasse l’11 giugno, quando il ministero dell’Ambiente ha sospeso l’Aia per ritardi nei lavori di adeguamento, la Tirreno Power ha alzato a 127 gli esuberi previsti. «Il rischio concreto è che se non ci saranno interventi urgenti l’azienda chiuderà», commenta Maurizio Perozzi della Rsu Cisl.
Rischio paventato anche dai sindaci di Quiliano, Alberto Ferrando, e di Vado, Monica Giuliano, che chiedono a governo, Regione e Provincia di «assumere ogni iniziativa possibile per scongiurare una ulteriore e gravissima crisi occupazionale». I ministri Federica Guidi, Sviluppo economico, e Gian Luca Galletti, Ambiente, hanno preso intanto l’impegno a concedere per metà settembre una nuova Aia. Spiraglio che forse ha portato anche al positivo accordo sulla mobilità volontaria del 7 luglio: non più 315 esuberi (127 solo per Savona) ma mobilità volontaria per 111 dipendenti e incentivi economici per chi aderirà volontariamente.
Sul fronte opposto le indagini continuano, con la partecipazione attiva della cittadinanza e delle associazioni, che non intendono accettare compromessi e «rifiutano – tuonano dall’associazione Uniti per la salute – qualsiasi condizione contempli ancora l’utilizzo
del carbone».
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