Uber versus Taxi: l'esperimento a Torino di Eco dalle Città
Quattro chilometri e mezzo, dal centro alla periferia. Andata con Uber, ritorno con il Taxi: è l'esperimento fatto da Eco dalle Città per mettere a confronto i due servizi, e approfittare del tragitto per ascoltare il punto di vista di entrambi
02 December, 2014
di Fabio Zanchetta
“E’ una rivoluzione per la mobilità e ci porta pure parecchio lavoro. In tre giorni ho fatto 50 corse. E poi, secondo i manager, aiuterà a diminuire le auto in circolazione”. Il parere arriva da un autista di UBER (anzi, un automobilista che si mette in momentaneamente in affitto, come ha precisato) che si è prestato ad un esperimento molto semplice: da Eco dalle città abbiamo deciso a priori un tragitto nel traffico di Torino e lo abbiamo affrontato prima con UBER e poi con il TAXI, un po’ per cogliere gli umori dei conducenti e un po’ per comprendere meglio la situazione, assai rovente dopo le proteste dei taxisti in tutta Europa.
Sotto la Mole il servizio UBER Pop (quello per cui qualunque automobilista autorizzato dalla casa madre affitta la propria guida quando può o quando vuole) è attivo da tre settimane ma ancora non sono state alzate barricate dai taxisti sabaudi, colpiti da una liberalizzazione non istituzionalizzata del servizio "noleggio con conducente". E non è detto che lo facciano.
Il viaggio di prova inizia un venerdì mattina di fine novembre: quattro chilometri e mezzo, dal centro alla periferia ovest. L’app della multinazionale americana è semplicissima da usare: dopo due click, in meno di tre minuti arriva l’auto scelta, con tanto di scambio di messaggi per riconoscersi. Salgo e iniziamo a chiacchierare con l'autista che sa di dover fare buona impressione perché gli utenti, a fine corsa, valuteranno il trasporto. La macchina è decisamente nuova, per le regole d'altra parte non può avere più di dieci anni. Il guidatore me lo fa notare: “Con Uber Pop puoi trovarti qualunque auto, ma non ti devi preoccupare, la licenza ci è arrivata solo dopo controlli meticolosi”.
“A Torino non siamo molti”- prosegue lui mentre lo ascolto seduto davanti, come se mi avesse dato un passaggio al volo- “è la casa madre che decide quante autorizzazioni distribuire in base alla domanda e per ottenere questa possibilità ci si doveva iscrivere mesi e mesi prima”. “C’è una coda infinita per diventare automobilisti di Uber Pop”, afferma sornione, perché in fondo sembra contento della possibilità di reinventarsi lavorativamente. “Faccio anche un altro lavoro, non è come fare il taxista, che è una vera e propria professione, è solo un’opportunità in più per me e per voi. E’ assurdo che sia arrivata solo ora, con tutti i limiti della mobilità urbana...”. Gli chiedo se abbia avuto problemi con i taxisti. “No, Uber Pop è quasi come il car pooling. Tu sei attivo solo quando accendi l’app. Non sei un vero noleggio con conducente. Dai un passaggio e vieni pagato. Ho solo ricevuto qualche chiamata sospetta, con domande un po’ strane..”.
L’auto ci ha portato a destinazione e il conto è di otto euro e qualcosa. Ma lo sapevo già, perché una volta scelta la destinazione di arrivo il sistema calcola già i costi e non sarà mai necessario aprire il portafoglio, è tutto gestito online.
Il Taxista , recuperato al volo, è meno prolisso ma altrettanto gentile. Ma non è certo al terzo giorno di lavoro. Pare poco preoccupato dall’arrivo di Uber benché il termine “concorrenza sleale” ricorra più volte nel suo discorso. “E’ solo un problema di leggi e di sicurezza. Se non le rispetti sei illegale, e Uber non le rispetta” mi conferma a più riprese. Ma non si lancia in dichiarazioni avventate e afferma di non aver avuto a che fare con alcun “automobilista in affitto”. Non riesco a capire se i Taxisti torinesi siano pronti alla rivolta ma intuisco che sottobanco qualcosa sta accadendo e che le comunicazioni fra gli interlocutori dell’amministrazione e i taxisti siano più che mai aperte.
Il viaggio in taxi mi costa un po’ di più (in ora di punta però): undici euro. Ma il prezzo l’ho saputo alla fine e ho pagato in contanti.
Uber è più comoda e pure più chiara nei meccanismi di fruizione. Ma rimane l’incertezza di un servizio ancora in bilico fra l’illegalità e i compromessi forzati. Rimane però chiaro, anche fra le sfumature della chiacchierata con il mio automobilista in affitto, che il panorama della mobilità italiana sta impercettibilmente cambiando e allo schema novecentesco “un auto, una persona” si sta sostituendo il modello della condivisione e dell’accesso al servizio al posto del “possesso”. Gli assunti su cui poggiano car sharing e car pooling in fondo sono semplici: meglio usare l’auto solo quando serve al posto di sostenere i costi dell’acquisto e del mantenimento costante. E magari condividendo i costi del viaggio con altri utenti della strada.
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