Al via a Roma il meeting internazionale “Giustizia ambientale e cambiamenti climatici”
Promosso dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile il 10 e l'11 settembre: "Senza un’inversione di rotta, nei prossimi anni più di 250 milioni di persone rischiano di essere sfollate a causa degli eventi atmosferici estremi"
09 September, 2015
Per due giorni la città di Roma diventerà la Capitale mondiale del dibattito in corso sul clima: oggi e domani, presso l’Istituto Patristico Augustinianum si tiene il meeting internazionale “Giustizia ambientale e cambiamenti climatici – Verso Parigi 2015”, promosso dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, e in collaborazione con Poste Italiane. All’evento prendono parte alcuni dei più importanti esperti mondiali del settore. Gli impegni assunti fino ad ora dai governi in vista della Conferenza di Parigi sul Clima (COP21) non sono sufficienti: seguendo i trend attuali, si va verso un aumento delle temperature compreso tra i 3,7 e i 4,8 gradi centigradi che avrebbe effetti catastrofici in particolare sui Paesi più poveri; di conseguenza, più di 250milioni di persone rischiano di essere sfollate a causa dei cambiamenti climatici. Sono alcuni dei dati emersi nel corso del meeting.
Le emissioni di CO2
Come ha evidenziato nella sua relazione introduttiva Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, in mancanza di una netta inversione di rotta, secondo le stime recenti dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, le emissioni mondiali di CO2 da processi energetici continuerebbero a crescere dell’8% fino al 2030: dai 32,2 miliardi di tonnellate del 2013 crescerebbero a 34,8 miliardi, anziché diminuire a 25,6 miliardi come previsto dalla traiettoria necessaria per limitare l’aumento della temperatura media globale a non più di 2°C, soglia di sicurezza concordata. La Cina, in particolare, emetterebbe 3,7 miliardi di tonnellate in più di quelle previste, mentre gli USA 1 miliardo in più. Dal 1990 al 2014 le emissioni sono cresciute di oltre il 30% e la concentrazione di gas serra ha superato le 400 parti per milione, la più alta degli ultimi 800mila anni. Per poter restare, con una probabilità superiore al 50%, entro l’aumento di 2°C, le emissioni mondali di gas serra nel 2050 dovrebbero essere tagliate del 40-70% rispetto a quelle del 2010.
Le conseguenze dell’aumento delle temperature
La temperatura media è aumentata di 0,85 gradi centigradi dal 1880 e il tasso di crescita annuo è passato dall’1,3% del 1970-2000 al 2,2% del 2000-2010. Come ha evidenziato la World Bank, un aumento medio della temperatura media globale di 4°C comporterebbe una serie di conseguenze drammatiche: la scarsità delle risorse idriche si aggraverebbe in molte regioni, si accentuerebbero gli eventi di estrema piovosità concentrata in pochi periodi dell’anno e la riduzione nella resa delle colture potrebbe minare la sicurezza alimentare.
I Paesi poveri più vulnerabili: il rischio di moltiplicare i “rifugiati climatici”
L’aumento degli eventi atmosferici estremi avrà implicazioni negative sugli sforzi per ridurre la povertà, con un aumento della sottoalimentazione e della malnutrizione in molte regioni. Come ha evidenziato anche il Rapporto del Segretario Generale dell’ONU sui diritti umani e le migrazioni, più di 250milioni di persone rischiano di essere sfollate a causa dei cambiamenti climatici. Ogni anno, d’altronde, più di 200 milioni di persone sono colpite dai disastri legati al clima e gli choc climatici registrano impatti notevoli per 2,6 miliardi di persone con reddito inferiore a 2 dollari al giorno. I Paesi più poveri hanno inoltre minori risorse finanziarie, tecniche e gestionali per adottare misure di adattamento alla crisi climatica e per ridurre la loro vulnerabilità e la loro esposizione.
Le soluzioni per un buon accordo a Parigi
Pur realizzando gli impegni a oggi dichiarati, al 2030 molti Paesi (come Cina, Usa e Russia) avranno ancora emissioni energetiche di CO2 pro-capite troppo elevate, e al contempo vi saranno intere Regioni del Pianeta (Sud-Est Asiatico, America Latina e Africa) che, pur con emissioni pro-capite basse e non avendo alcuna responsabilità per le emissioni storiche, saranno maggiormente colpite dalla crisi climatica. Occorre quindi avviare una convergenza equa verso un livello sostenibile di emissioni pro-capite. Al contempo andrebbero definiti target legalmente vincolanti e periodicamente verificabili che, almeno per i grandi emettitori, siano coerenti con l’obiettivo dei 2°C. I Paesi con emissioni annue pro-capite superiori a 3 tonnellate dovrebbero vietare la costruzione di nuove centrali a carbone. E dal momento che i consumi mondiali di energia dal 1990 al 2013 sono cresciuti del 54%, è necessario che siano rafforzate, con investimenti adeguati, standard e target impegnativi, le politiche e le misure di risparmio energetico in tutti i settori. Nel 2013, inoltre, le fonti rinnovabili hanno fornito il 14% della domanda primaria di energia, mentre l’81% è stato ancora soddisfatto con fonti fossili: è necessario quindi che almeno tutti i Paesi principali emettitori assumano anche target adeguati di incremento dell’uso delle fonti energetiche rinnovabili fino al 2030. Fra i settori più delicati c’è quello relativo ai trasporti, che dal 1990 ad oggi ha registrato una crescita delle emissioni del 60%.
“La crisi climatica - ha spiegato Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile - può ancora essere vinta, a patto che si superi la sindrome del ‘passo del gambero’, una gara a chi resta più indietro, pensando di poter sfruttare i benefici della riduzione delle emissioni di gas serra, realizzate però da altri. La questione dell’equità nella distribuzione dello sforzo necessario per contrastare i cambiamenti climatici sarà al centro del negoziato di Parigi”. Alla Conferenza di Parigi c’è bisogno di una forte e responsabile iniziativa politica per un accordo internazionale efficace e lungimirante, in grado di affrontare la crisi climatica come impegno di giustizia ambientale, “Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia…”– come dice Papa Francesco – abbiamo bisogno di “grandezza della politica”, di quella che “si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine”.
Leggi anche