A CinemAmbiente la mostra fotografica dalle rovine della fabbrica di coloranti I.P.C.A. di Cirié
All'Amantes, in occasione del festival CinemAmbiente, si terrà la personale di Ivan Catalano. La mostra fotografica dalle rovine della fabbrica di coloranti I.P.C.A. di Ciriè sarà presente all'Amantes dal 6 al 18 ottobre
05 October, 2015
All'interno della 18° edizione del Festival Cinemambiente Torino inaugura martedì 6 ottobre alle ore 18:00 la personale di Ivan Catalano in collaborazione con l'architetto Emanuele Morezzi, testi di Emanuele Morezzi e Annalisa Pellino / Arteco, presso il circolo culturale Amantes a Torino.
La mostra fotografica ha come oggetto la fabbrica di coloranti I.P.C.A. dismessa negli anni ’80 del secolo scorso, a Ciriè ed è ad ingresso libero senza tessera per tutta la durata del festival.
"Volutamente e per scelta non compio ricerche antecedenti alle prime riprese fotografiche sul campo - racconta Catalano - per cui quando sono arrivato all’I.P.C.A. a fare il mio primo sopralluogo non conoscevo la sua storia, ad esempio non sapevo di trovarmi dentro un teatro di morti bianche".
Come scrive sul sito nell'osservare il grande edificio sono riaffiorate più nitide le immagini del documentario “Non si deve morire per vivere” del regista Daniele Gaglianone. "Da quel momento la mia mente è stata pervasa dai ricordi e dalla storia degli operai morti “sul lavoro” - commenta Catalano.
Di seguito, la spiegazione dell'intero lavoro che a partire dal 6 ottobre e fino al 18 ottobre, sarà presentato all'Amantes, in via Principe Amedeo 38.
"Coinvolto in qualità di fotografo, al fine di restituire uno “stato delle cose” sull’I.P.C.A., mi chiedo quali siano le parole più adatte per raccontare con un linguaggio diverso da quello visivo ciò che ho visto in quel luogo? Abbandono è la parola che per prima mi verrebbe in mente per una fabbrica deserta, una tra le tante del territorio piemontese e italiano. Questa fabbrica tuttavia non ha chiuso per un semplice fallimento o per eventi bellici ma per aver causato una tragedia: la morte di centinaia di operai che si sono ammalati di cancro alla vescica.
Unendo su una sola riga le parole usate per definire questo luogo - abbandono, fallimento, tragedia - tutte e tre me ne fanno venire in mente una sola: rovina.
Comunemente i luoghi e gli edifici abbandonati restano in attesa di essere riconvertiti in altro oppure di essere demoliti per far spazio al nuovo che avanza in modo prorompente. Le rovine, invece, hanno un rapporto diverso con tutto il resto: esse sono memoria storica della vicenda umana, legata all’ambiente in cui insiste e al territorio in cui si svolge, si vive e si è vissuta la vita di ogni giorno, come nel caso dell’I.P.C.A.
Tutto questo mi fa pensare a casi come Beirut, fotografata da Gabriele Basilico in attesa della sua “annunciata ricostruzione” e ai suoi resti dopo una guerra civile durata 15 anni; o ancora alle centinaia di vittime dell’Aquila, colpita dal terremoto nel 2009 e alle sue rovine nella zona rossa che copre l’intero centro storico; o ancora al sisma del 2012 sul territorio emiliano, che ha causato decine di vittime e ingenti danni agli edifici civili, alle costruzioni rurali ed industriali, agli edifici e ai monumenti storici.
Come fotografare delle rovine senza farsi coinvolgere dal loro fascino e dalla loro astrazione pittorica? Come restituire il senso di un luogo senza trasfigurarne la memoria e senza eluderla nel rispetto della tragedia avvenuta a vantaggio di un risultato accattivante? Come fotografare cercando di far continuare a vivere all’interno delle rovine la memoria del luogo e la sua storia?
Queste domande mi si presentavano in ogni successivo sopralluogo. La storia della fotografia e la fotografia stessa mi hanno aiutato: pensare a Bernd & Hilla Becher e al loro lavoro, che ha visto protagonista per più di cinquant’anni l’archeologia industriale e la sua catalogazione non in maniera scientifica, ma in favore della classificazione di “forme” come serbatoi, torri di raffreddamento, torri di estrazione e altiforni; il lavoro dello stesso Basilico, in particolare le sue fotografie del progetto “Ritratti di fabbriche” e non ultime le sue fotografie della già citata “Beirut 1991”. Tenendo ben presente questi esempi sono andato avanti procedendo nel delicato compito".