Rapporto GreenItaly 2015: "Dal 2008 ad oggi il 24,5% delle aziende italiane ha investito in tecnologie verdi"
Pubblicato il VI rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere, in collaborazione con Conai, secondo cui un’impresa su quattro dall’inizio della crisi ha scommesso su innovazione, ricerca, design, qualità e bellezza, sulla green economy
03 November, 2015
"La green economy in Italia è ormai un’occasione colta, più che un dover essere. Lo dicono i numeri". Ne sono certi i relatori di GreenItaly 2015, il sesto rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere, promosso in collaborazione con il Conai,
" che misura e pesa la forza della green economy nazionale, secondo cui
un’impresa su quattro dall’inizio della crisi ha scommesso su
innovazione, ricerca, design, qualità e bellezza, sulla green economy".
Secondo il documento "sono infatti 372.000 le aziende italiane (ossia il 24,5% del
totale) dell’industria e dei servizi che dal 2008 hanno investito, o lo
faranno quest’anno, in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2".
"L’orientamento green si conferma un fattore strategico per il made in Italy: alla nostra green economy si devono 102,497 miliardi di valore aggiunto - pari al 10,3% dell’economia nazionale - e 2milioni 942mila green jobs, ossia occupati che applicano competenze ‘verdi’. Una cifra che corrisponde al 13,2% dell’occupazione complessiva nazionale ed è destinata a salire ancora entro dicembre. Dalla green Italy infatti arriveranno quest’anno 294.200 assunzioni legate a competenze green: ben il 59% della domanda di lavoro".
Presentato oggi (30 novembre, ndr) a Roma, GreenItaly 2015 dice "che la green economy è un paradigma produttivo sempre più forte e diffuso nel Paese. In termini di imprese, che in numero crescente fanno scelte green. Solo quest’anno, incoraggiate dai primi segnali della ripresa, 120mila imprese hanno investito green, o intendono farlo entro dicembre, il 36% in più rispetto al 2014. E in termini di risultati, nei bilanci, nell’occupazione e nelle performance ambientali del Paese, che rendono l’Italia, nonostante i tanti problemi aperti, il leader europeo in alcuni campi dello sviluppo sostenibile".
Il presidente di Fondazione Symbola Ermete Realacci:
“La vocazione italiana alla qualità si esprime in una tensione al
futuro che ha avuto proprio nella green economy uno strumento
formidabile per migliorare i processi produttivi, realizzare prodotti
migliori, più belli, apprezzati e responsabili. Puntando sul green non
solo il made in Italy ha coniugato qualità, tradizioni, innovazione e
competitività, ma ha aperto la via dell’economia circolare. Un nuovo
modello di sviluppo che somiglia molto a quell’economia a misura d’uomo,
che rifiuta lo scarto, attenta alla custodia della casa comune di cui
parla Papa Francesco. Un’economia in cui un’Italia che fa l’Italia è già
in campo, che è strategica anche per il Pianeta e può rappresentare il
nostro contributo alla Cop21 di Parigi”.
“L’evoluzione ecosostenibile di una buona parte del nostro sistema
produttivo è stata funzionale alla crescita della qualità delle nostre
produzioni e della loro capacità competitiva”, evidenzia il presidente
di Unioncamere, Ivan Lo Bello. “E’ importante fare
emergere con queste analisi l’Italia dell’innovazione che scommette sul
futuro. Continuare a far crescere questo volto ‘verde’ della nostra
economia vuol dire anche adoperarsi per creare un contesto più
innovativo e competitivo. Le Camere di commercio sono già coinvolte su
questo fronte e intendono moltiplicare il proprio impegno. Nella
convinzione che, oggi, la scelta della sostenibilità non sia
rinviabile”.
Nel nostro Paese, come ci dicono i numeri di Symbola e Unioncamere, la
green economy ha contribuito e sta contribuendo in modo determinante a rilanciare la competitività del made in Italy. Per questo, nonostante le difficoltà, dall’inizio della crisi più di un’azienda su quattro ha scommesso sul green.
Una propensione che abbraccia tutti i settori della nostra economia -
da quelli più tradizionali a quelli high tech, dall'agroalimentare
all’edilizia, dalla manifattura alla chimica, dall'energia ai rifiuti – e
che sale al 32% nel manifatturiero. Una scelta che paga.