Trivelle, Italia Nostra: "L’Italia non e’ il Texas. Enormi rischi per ambiente e salute"
Il dossier di Italia Nostra, in vista del referendum, che spiega "in modo semplice i veri e reali” danni che le le trivellazioni, a mare e in terra, provocano al nostro territorio e alla salute
22 March, 2016
Italia Nostra si mobilita in vista del referendum sul rinnovo delle concessioni estrattive del prossimo 17 aprile, invitando i cittadini ad andare a votare per raggiungere il quorum del 50% e ad esprimere un “sì” per tutelare la salute umana e il patrimonio ambientale, messi in pericolo dall’attività di estrazione degli idrocarburi, in contrasto con il dettato costituzionale (art. 9).
Il referendum è un’opportunità unica per bloccare future attività di trivellazione offshore e sulla terra ferma fino a quando non sarà elaborato un Piano energetico Nazionale coerente con l’accordo sul clima COP21, approvato nel dicembre scorso a Parigi da 195 Stati, che ha riconosciuto il rischio incalcolabile provocato dai carburanti fossili per la sopravvivenza del genere umano e del pianeta.
Nuove autorizzazioni e concessioni
Eppure qualche giorno dopo la conferenza sul clima di Parigi, la regione Sardegna ha presentato il proprio Piano Energetico in cui è prevista la costruzione di una centrale termoelettrica a carbone, mentre il governo italiano ha autorizzato ricerche di petrolio di fronte alle Isole Tremiti, uno dei siti turistici più importanti d’Europa. Ma sono tanti i paradisi ambientali in pericolo, sono in corso di autorizzazione ad es. permessi di fronte l'isola di Pantelleria e nel golfo di Taranto.
Estrazioni, la situazione attuale
In Italia sono vigenti 83 permessi di ricerca per idrocarburi sulla terraferma (Basilicata, Campania, Calabria, Puglia, Molise, Abruzzo, Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Friuli) e 24 permessi nel sottofondo marino. Le concessioni su terraferma sono 119 e quelle in mare 72, mentre le nuove istanze presentate per permessi di ricerca sono 57 in terraferma e 36 in mare. Attualmente la superfice in cui è concessa attività di coltivazione degli idrocarburi in zone marine rappresenta circa il 25% della superficie totale della piattaforma continentale italiana (139.656 kmq). Una delle aree maggiormente interessate dalla ricerca e dalla coltivazione è il mar Adriatico, un “mare chiuso” dall’ecosistema estremamente fragile, già messo a dura prova con 78 concessioni attive per l’estrazione di gas e petrolio, 17 permessi di ricerca già rilasciati nell’area italiana e 29 in fase di rilascio in quella croata, a cui si aggiungono 24 richieste avanzate per il tratto italiano, per un’area complessiva di circa 55.595 kmq.
I pericoli per ambiente e salute
Le attività e i composti chimici necessari per le indagini e le trivellazioni (260 sostanze coperte dal segreto industriale, molte di queste tossiche, cancerogene e mutagene) e lo smaltimento degli scarti delle lavorazioni (acque spesso radioattive) comportano alti rischi per la salubrità del suolo, del sottosuolo, delle falde acquifere, dell’aria (ossidi di azoto e di zolfo acidi emessi dagli impianti) e delle risorse idriche strategiche per alcuni territori del Sud. Un impatto che può essere aggravato dall’omissione delle corrette procedure estrattive per incompetenza tecnica o utilità commerciale, con conseguenti contaminazioni del territorio (fessurazioni dei pozzi e sversamenti), a fronte di controlli non sempre efficaci spesso a causa di conflitti di interesse.
Approssimazioni nel rilascio dei permessi e controlli a rischio
Poche le certezze anche sul fronte del rilascio dei permessi. Il processo autorizzativo in alcuni casi è approssimativo: mancanza dei requisiti tecnici ed economici delle ditte, inesattezze nelle procedure di VIA (Valutazione Impatto Ambientale), palesi conflitti di interesse nei commissari, un componente della commissione VIA ex amministratore di un comune sciolto per mafia. In Basilicata, il giacimento più grande d’Europa l’ARPA, non ha laboratori accreditati, il direttore è di nomina politica, e si prevede di affidare i monitoraggi ambientali a società private.
Rischio sismico e danni ad attività economiche e turismo
Le trivellazioni modificano l’assetto geologico (subsidenza o sprofondamento del terreno/fondale marino), incidendo sul rischio sismico dei territori interessati, compromettono il paesaggio mettendo a repentaglio l’agricoltura e la pesca (moria di fauna ittica per gli esplosivi usati nelle indagini marine, microcistine cancerogene trovate nei pesci morti negli invasi lucani vicini agli impianti), con ricadute pericolose sulla salute umana e sulle attività economiche locali. L’attività estrattiva danneggia infine una delle principali industrie del Paese, il turismo, che solo nelle località adriatiche vale 19 miliardi di euro (secondo Unioncamere il 30% degli stranieri sceglie questa destinazione proprio per la qualità del patrimonio naturalistico). Questa importante risorsa economica e occupazionale rischia di essere compromessa dal moltiplicarsi degli impianti estrattivi presenti e in arrivo nel mar Adriatico, al netto del pericolo di incidenti che potrebbero causare conseguenze catastrofiche sull’ecosistema.
Vantaggi energetici irrisori
In cambio le estrazioni di idrocarburi offrono vantaggi irrisori sotto il profilo energetico ed economico: i giacimenti italiani rappresentano quantità infinitesimali delle riserve mondiali e sono di breve durata se è vero, come scrive il Ministero dello Sviluppo Economico, che le nostre riserve di idrocarburi ammontano a 130 milioni di tonnellate, di cui solo il 30%, circa 40 milioni, definite “certe” (il 50% sono “probabili”, il 20% “possibili”), destinate quindi ad esaurirsi in poco tempo al ritmo di 6 milioni di tonnellate di petrolio e 5 di gas estratti all’anno (dato 2015).
Royalties più basse d’Europa
Anche le royalties pagate dai petrolieri sono le più basse d'Europa: 402 milioni di euro a fronte di utili da attività estrattiva pari a 7 miliardi nel 2014 (7% e 4% sul valore di vendita rispettivamente di petrolio e di gas estratti in mare, 10% per i prodotti estratti sulla terraferma), mentre i territori interessati dai pozzi si spopolano e si impoveriscono, come testimonia il caso della Basilicata, dove si estrae l’80% del petrolio nazionale: il “Texas italiano” è infatti la regione con il Pil più basso d’Italia (-6,1%), con le royalties petrolifere più basse del mondo (139 milioni di euro nel 2011) e soli 143 residenti impiegati nel settore estrattivo a fronte di 576mila abitanti. Qui l’oro nero entra in competizione con il cosiddetto “oro bianco”: le trivellazioni mettono infatti a rischio le riserve idriche strategiche per il territorio sia a causa dell’inquinamento prodotto, sia ai “costi” di estrazione: 8-10 litri d’acqua per ogni litro di greggio. Italia Nostra propone di istituire i “Santuari dell’acqua” per salvaguardare il più grande serbatoio idrico dell’Italia centro-meridionale, che fornisce acqua a milioni di abitanti tra Basilicata, Puglia, Calabria e Campania.