Divieto sacchetti di plastica monouso e compostabilità: le differenze tra Francia e Italia
Cerchiamo di capire in cosa si differenzia, rispetto al caso italiano, il provvedimento francese di messa al bando dei sacchetti di plastica che entrerà in vigore all’inizio di luglio. Intervista a Marco Versari, presidente di Assobioplastiche
21 April, 2016
Il 1° luglio 2016, in Francia, entrerà in vigore il divieto alla vendita e distribuzione (gratuita o a pagamento) degli shopper monouso in plastica per asporto merci. Sono esclusi dal divieto i sacchi frutta e verdura ottenuti da materie prime rinnovabili e idonei al compostaggio domestico. Quest’ultimo requisito rappresenta una differenza rispetto al provvedimento in vigore in Italia (che prevede per i sacchi monouso in plastica, requisiti di compostabilità a livello industriale). Abbiamo approfondito questa differenza insieme a Marco Versari, presidente di Assobioplastiche, l'Associazione Italiana delle Bioplastiche e dei Materiali Biodegradabili e Compostabili: “Il requisito francese sulla compostabilità domestica fa riferimento ai sacchi frutta e verdura e non fa riferimento alle buste della spesa. Quest’ultimi dovranno essere sopra i 50 micron come previsto dalla direttiva europea. Sotto quella dimensione non potranno circolare”. Indipendentemente dalla loro compostabilità. Nell’analisi delle differenze, occorre sottolineare come lo scenario francese sia diverso rispetto a quello italiano. “La Francia - ha spiegato il presidente di Assobioplastiche - ha un tipo di utilizzo di buste per asporto merci diverso dall’Italia. I francesi adoperano buste grosse con forme diverse dalla nostra monouso: sono sacchi riutilizzabili con le maniglie, conosciute in Francia come sacs cabas. Loro già da tempo sono passati a quella tipologia di sacco intraprendendo un percorso che favorisse la diffusione delle borse riutilizzabili”. Nell’analisi dei due provvedimenti, inoltre, bisogna tenere conto della diversa struttura del commercio: Oltralpe c’è una diffusione dei supermercati molto superiore alla nostra. “Di conseguenza - ha osservato Versari - vi è una forte presenza dei sacchetti per frutta e verdura. Da qui nasce la scelta francese, diversa da quella italiana. L’obiettivo era quello di andare ad agire sull’uso massiccio collegato ai rotolini del supermercato. È lì che si spiega perché hanno toccato quel terreno. Le buste di plastica tradizionale, molto probabilmente, per i francesi, sono già un fattore sotto controllo”. Le scelte, sia quella francese che quella italiana, si inseriscono comunque nel quadro generale europeo. “Il fatto di andare a livelli particolari di analisi dei livelli della degradazione, non è un fatto che ha inventato la Francia con la sua legge, visto che - ha continuato il presidente di Assobioplastiche - esistono a livello europeo dei requisiti di compostaggio per i sacchetti: l’OK compost industriale e quello “home”. Nel caso francese è stato scelto il secondo. Come mai? Verrebbe nuovamente da chiedersi, visto che per il compostaggio domestico, non vi sarebbe teoricamente la necessità di utilizzare la busta. Ma anche in questo caso, per capire le scelte, bisogna analizzare inquadrare lo scenario nel quale sono state prese. “Nel sistema francese, ad esempio, la diffusione della raccolta differenziata non è così estesa come nel nostro Paese. Di conseguenza - ha concluso Versari - una gestione industriale della frazione organica non è altrettanto capillare. Il legislatore francese si è quindi preoccupato di garantire un livello di degradazione che sia collegato a sistemi locali”.