I supermarket buttano tonnellate di cibo ma la metà è ancora commestibile
Viaggio nell’impianto di compost tra ammassi di verdure, pane e formaggi - da La Stampa del 21.04.2016
22 April, 2016
Ci sono i numeri dello spreco di cibo. E fanno impressione: 5 milioni e mezzo di tonnellate l’anno, 12 miliardi buttati al vento in Italia. Ma il potere evocativo dei dati (fonte Politecnico di Milano con Fondazione banco alimentare) è poca cosa di fronte a quello delle immagini: «Lo vede? È un pezzo di formaggio ed è ancora commestibile». Luca Rossi, direttore dell’Ipla (Istituto per le piante e per l’ambiente del Piemonte), ha ragione: su quel pezzo di toma non c’è alcuna traccia di muffa. Anche la crosta, a prima vista, è quasi perfetta. E non ha l’odore di un cibo andato a male. Peccato, però, che non si possa più mangiare.
Luca Rossi ha preso il latticino da un ammasso di rifiuti organici provenienti dalla grande distribuzione e scaricata per terra nell’aia di stoccaggio dell’impianto di compost gestita dalla società Territorio e Risorse alle porte di Santhià, in provincia di Vercelli. Ci sono baguette, pane casereccio di ogni forma e dimensione; filoni integrali e alle noci. E poi tranci di pizza rossa e bianca («È ancora morbida, si poteva recuperare»), formaggio stagionato, peperoni, sedani, limoni, mele. Ottocento chili, forse una tonnellata. Osservare tutto quel cibo scartato fa star male ed è ancora peggio quando Rossi, con occhio esperto, si china per raccoglierne qualche campione e dimostra che è ancora buono. Mentre il direttore di Ipla parla, il suo presidente, Igor Boni, in una decina di minuti, e senza scavare dentro l’ammasso, raccoglie prodotti che avrebbero potuto essere conservati in frigo e poi essere cucinati. «Non hanno un brutto aspetto dopo due viaggi dentro i compattatori».
Siamo nel Vercellese ma Ipla fa verifiche negli altri impianti del Piemonte e «la storia si ripete». Anche nel resto d’Italia. Quanto cibo scartato potrebbe essere recuperato? «Più o meno la metà» spiega Boni. Il direttore è più cauto, ma ammette: «Una parte significativa di questo cibo avrebbe potuto non finire qui». Il sedano bianco non sembra aver risentito di questo viaggio, nemmeno melanzane e zucchine. «Vengono scartati - spiega Rossi - per rispettare obblighi di legge o perché vengono giudicati inadatti per la vendita. Ma anche se non hanno un bell’aspetto si possono ancora mangiare». Basta recuperarlo. Per Rossi è un circolo virtuoso dove ci guadagnano tutti, anche la grande distribuzione che potrebbe risparmiare riducendo i rifiuti da smaltire.
Qualcosa si sta già facendo. «In Italia - spiega il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina - recuperiamo ogni anno 550 mila tonnellate di cibo che viene distribuito a milioni di persone in difficoltà». Il Parlamento ha approvato una legge in materia e promette di recuperare un milione di tonnellate entro l’anno. Un passo avanti, sicuramente. Ma c’è un problema. Il Politecnico di Milano ha studiato gli sprechi della filiera. Si parte dai campi dove si butta, a causa della deperibilità, il 34% del prodotto. Il ministero afferma di recuperare 300 mila tonnellate di ortofrutta l’anno. L’1% è legato alle lavorazioni industriali mentre il 14 agli scarti della grande distribuzione. Il consumo domestico pesa per il 47%. E in questo non serve una legge ma l’educazione alimentare.