Il 90% dei rifiuti italiani viene gestito in modo opaco: "Una miniera di risorse non sfruttata"
Si sa poco dei 130 milioni di tonnellate di materiali che fuoriescono da aziende e altri settori produttivi, l'attenzione è concentrata solo su una parte dei 30 milioni di tonnellate di scarti urbani. Lo short report "Materia Rinnovata"
21 June, 2016
Possiamo disinteressarci dell'impatto che la materia che abbiamo comprato avrà sulla nostra stessa vita o su quella dei nostri vicini? E se ne può disinteressare chi con quell'oggetto ha realizzato i suoi guadagni? Verrebbe da dire sì, che in Italia si può. Dei 161 milioni di tonnellate di rifiuti che si producono ogni anno nel paese, solo il 10% viene gestito in modo trasparente. Si tratta dei rifiuti che provengono dalle città.
Dei restanti 130 milioni di tonnellate di scarti provenienti da aziende e altri settori produttivi, si hanno invece informazioni poco chiare o contrastanti. A causa di deroghe, autocertificazioni, conteggi sbagliati, non ci sono dati sulla loro destinazione e spesso le cifre raccolte non tornano. Questa gestione opaca non determina solo un danno ambientale potenzialmente devastante, ma impedisce anche che si possa attingere ad una miniera di materie riutilizzabili preziosissime per l'economia circolare e quindi per l'economia tutta.
A lanciare l'allarme per un vuoto di informazione così penalizzante è lo short report Materia rinnovata. Quanto è circolare l'economia: l'Italia alla sfida dei dati, elaborato dalla rivista Materia Rinnovabile (Edizioni Ambiente) e presentato al Forum Rifiuti di Legambiente che si tiene dal 21 al 23 giugno alla Casa del Cinema di Roma. Secondo la Ellen MacArthur Foundation e il McKinsey Center for Business and Environment l'economia circolare vale per l'Europa un aumento del 7% del Pil. Bruxelles ci crede e a dicembre ha pubblicato un pacchetto di misure che, secondo i calcoli della Commissione, produrranno risparmi annuali pari a 600 miliardi di euro, 580 mila nuovi posti di lavoro, un taglio del 2-4 % delle emissioni serra. Dove si colloca l'Italia in queste stime?
A questo interrogativo prova a rispondere Materia Rinnovata. Ecco un estratto del lavoro:
In Italia nel 2013 sono stati prodotti 161 milioni di tonnellate di rifiuti: un grande afflusso di materia potenzialmente rinnovabile. Quanta è stata effettivamente rinnovata? La domanda, in tempi di sostenibilità declamata, suona ovvia. Ma la risposta non è scontata: le difficoltà che si incontrano nel fornire un dato realmente affidabile la dicono lunga sulla strada che c'è ancora da fare. Per una parte di questi rifiuti il quadro è più chiaro. E' la parte governata dai sistemi collettivi, strutture (talvolta obbligatorie, talvolta volontarie) create dai comparti industriali responsabili di una certa materia. Questi comparti (imballaggi, batterie, apparecchi elettrici ed elettronici, oli, pneumatici) si organizzano per gestire o finanziare sia la raccolta differenziata che l'avvio al riciclo o al recupero energetico dei prodotti di cui hanno la responsabilità. Hanno - nella maggior parte dei casi - dati trasparenti, alti livelli di valorizzazione, leggibilità dei trend in corso. Il meccanismo è perfettibile ed è in corso un dibattito su un loro possibile miglioramento, ma i risultati sono già quasi sempre buoni e l'obiettivo chiaro: ridurre il più possibile l'impatto ambientale del momento di fine vita delle merci e recuperare risorse preziose.
Parliamo però di poco più di un decimo del totale dei rifiuti. Andando a cercare gli altri nove decimi, vediamo che esistono situazioni molto differenziate. Aree che si autoregolano bene perché esiste una convenienza di mercato e la materia trova subito un acquirente (ad esempio materiali ferrosi e rame). Aree solo parzialmente tracciate come quella dell'organico (che viene monitorato nei rifiuti urbani, dove infatti esiste già un'economia di valorizzazione legata al compost, e non monitorato con dati aggregati nei rifiuti provenienti dal settore agroindustriale). Aree sfuggenti (ad esempio i rifiuti da demolizione) in cui tuttavia s'intravede la possibilità di un salto verso una maggiore capacità di recupero della materia.
Chi immette la materia sul mercato si assume la responsabilità del suo intero ciclo di vita, compreso il momento in cui la carta o lo schermo su cui state leggendo queste parole cesserà di essere utile e sentirete il bisogno di sbarazzarvene. Chi ha comprato una merce si assume la responsabilità dell'atto con cui si libera dell'oggetto che non intende più utilizzare.
Uno dei nodi da sciogliere è che mentre per i rifiuti urbani sappiamo quasi tutto e il dato è sostanzialmente omogeneo in Europa (il totale pro capite medio europeo nel 2013 è stato di 481 chili all'anno: di questi 147 kg, il 30,5%, vanno in discarica; 131 kg, il 27,2%, al riciclo; 122 kg, il 25,3%, all'incenerimento; 71 kg, il 14,7%, diventano compost; i numeri per l'Italia sono simili) per altri settori le informazioni sono molto meno precise.
Lo ricorda Massimo Centemero, direttore del Cic (Consorzio italiano compostatori): "Noi siamo riusciti a recuperare il 43% della frazione organica dei rifiuti urbani trasformandola in un milione e mezzo di tonnellate di compost. Ma ci sono flussi enormi di materia organica, milioni di tonnellate che sfuggono ai radar perché non compaiono nei dati aggregati delle statistiche. Ogni comparto del settore agroindustriale si muove in maniera autonoma seguendo logiche precise: l'industria agrumaria smista i suoi prodotti di scarto a chi li trasforma in pannelli per la mangimistica, i graspi del settore vinicolo vanno alle caldaie, i residui di lavorazione del latte entrano nella componentistica dei mangimi". Operazioni non certo illegittime ma spesso difficilmente tracciabili.
Un difetto d'informazione che potrebbe rivelarsi controproducente in un'era tecnologica in cui il valore degli scarti organici sta crescendo. Oggi ad esempio alcuni di questi prodotti potrebbero alimentare bioraffinerie in grado di attivare un circuito a cascata in cui dagli scarti di una lavorazione si ottiene la materia prima per la lavorazione successiva producendo, lungo il corso di questo processo articolato, componenti per la farmaceutica e la cosmetica, biolubrificanti, plastificanti, oli, energia. Siamo sicuri di stare utilizzando al meglio le potenzialità del sistema Italia?
Senza un quadro generale delle quantità di sostanza organica in circolazione e del loro valore si rischia di sprecare una risorsa preziosa. Mentre riuscire a organizzare al meglio questi flussi vuol dire, ad esempio, ottenere la materia prima per il comparto della chimica verde. Un comparto che vede l'Italia giocare un ruolo di primo piano a livello globale; che rappresenta la parte tecnologicamente più avanzata della bioeconomia che in Europa vale 2 mila miliardi di euro; e che ha una formidabile prospettiva di crescita: secondo le previsioni Ocse nel 2030 il 35% dei prodotti chimici e dei materiali deriverà da fonti biologiche.