Al Parlamento europeo l'incontro di Legambiente e Kyoto Club su marine litter e microplastiche nel Mediterraneo e laghi italiani
Parlamentari, Commissione europea, ambientalisti e industria a confronto per definire azioni e politiche di prevenzione a partire dal pacchetto sull’economia circolare
01 February, 2017
Quante e quali plastiche viaggiano nei nostri laghi e mari e si spiaggiano sulle nostre coste? La risposta è nello studio condotto l’estate scorsa da Legambiente ed ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Un’analisi della tipologia delle plastiche campionate durante le campagne estive di Legambiente Goletta Verde e Goletta dei laghi 2016, indirizzate non solo a fare la conta delle tipologie di materiale dei rifiuti trovati e la loro caratterizzazione chimica, ma anche a individuare soluzioni per il loro possibile recupero.
I risultati sono stati presentati al Parlamento europeo grazie alla collaborazione con l’onorevole Simona Bonafè che ha aperto i lavori a cui hanno partecipato l’onorevole Marco Affronte della commissione pesca, Giorgio Zampetti, Legambiente’s scientific manager, Loris Pietrelli, Enea, Nicolas Kalogerakis, Technical University of Crete, Matjaz Malgaj, Head of Unit of Marine Environment and Water Industry, Francesco Degli Innocenti, Environmental Affair Novamont e Michel Loubry, Regional Director, West Region, PlasticsEurope
“Neanche i laghi sono esenti dal problema delle microplastiche, ritrovate in tutti i campionamenti eseguiti - ha dichiarato Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente -. Il risultato emerso dal nostro monitoraggio, che prende in considerazione cinque laghi italiani, il primo a livello nazionale, ci conferma purtroppo quanto già osservato per gli studi effettuati in mare. Il problema dei rifiuti dispersi in mare e lungo le coste sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti, come dimostrano i dati che raccogliamo ogni anno con Goletta Verde. Purtroppo, la cattiva gestione dei rifiuti a monte resta la principale causa del fenomeno e la plastica costituisce il 97% dei rifiuti galleggianti in mare. Al tempo stesso i nostri dati evidenziano come buona parte dei rifiuti che troviamo negli ambienti costieri e marini potrebbero essere riciclati. Elemento da tenere in considerazione nel determinare le azioni per la gestione del problema. È indispensabile prevenire il problema attuando campagne di sensibilizzazione e lavorando sull’innovazione di processo e di prodotto e sull’avvio di una filiera virtuosa del riciclo”.
Tra i risultati presentati oggi particolare importanza hanno avuto i dati raccolti durante le campagne condotte da Legambiente durante l’estate 2016. Nell’edizione 2016 di Goletta dei Laghi è stato effettuato un primo studio preliminare sulla presenza di microplastiche nei laghi italiani, un lavoro che ha visto la collaborazione tra Legambiente, ENEA, l'Università Ca' Foscari di Venezia e ARPA Umbria. I risultati riportati si riferiscono a cinque laghi: Maggiore, Iseo, Garda e i laghi di Bolsena e Albano nel Lazio e sono relativi alle particelle rinvenute con dimensione compresa tra 1 e 5 millimetri. In tutti i campioni analizzati sono state trovate microplastiche: un dato inconfutabile sulla diffusione di questa contaminazione in ambiente lacustre, nonostante le diversità di ogni lago.
Durante l’estate 2016 della campagna Goletta Verde di Legambiente, inoltre, è stata monitorata per il terzo anno consecutivo la presenza dei rifiuti galleggianti. 58 rifiuti per ogni kmq di mare. La densità più alta è stata registrata nel mar Tirreno (62 rifiuti/kmq). Il 96% dei rifiuti è costituito da plastica e al primo posto troviamo le buste (16%). A seguire teli (10%), reti e lenze (4%), frammenti di polistirolo (3%), bottiglie (3%), tappi e coperchi (3%), stoviglie (2%), assorbenti igienici (2%) e cassette di polistirolo intere o in frammenti (2%). Le principali fonti dei rifiuti galleggianti monitorati sono la cattiva gestione dei rifiuti urbani e dei reflui civili oltre che l’abbandono consapevole (29%) e le attività produttive, tra cui pesca, agricoltura, industria (20%). Per quel che riguarda i rifiuti legati alle attività produttive, il 46% deriva dal settore della pesca (reti, lenze, cassette di polistirolo intere e frammentate). Sul fronte della cattiva gestione dei rifiuti urbani, l’83% di questi è costituito da packaging, per lo più di plastica usa e getta.
Per questo motivo, come è stato ricordato nell’incontro di oggi davanti ai parlamentari europei, da Marrakech, durante la ventiduesima conferenza internazionale sul clima, Legambiente ha lanciato l'appello, cui hanno aderito Kyoto Club e Alleanza per un Mediterraneo sostenibile, con l'obiettivo di estendere la messa al bando delle buste di plastica non biodegradabili e compostabili con spessore inferiore ai 100 micron già in vigore in Italia, anche ai paesi dove il bando si limita ai 50 micron come Francia e Marocco (che lo ha introdotto proprio quest'anno tra le decisioni di politica ambientale in vista della conferenza internazionale sul clima - a tutti i Paesi del Mediterraneo - http://international. - essendo sempre più evidente che un basso spessore non rende realmente riutilizzabili a lunga vita gli shopper.
L'impegno di Legambiente insieme a Kyoto Club e Alleanza per un Mediterraneo sostenibile non si esaurisce quindi con la richiesta di messa al bando delle buste di plastica non biodegradabili e compostabili. Nel mirino degli ambientalisti anche le microparticelle di plastica utilizzate nei cosmetici e i cotton fioc non biodegradabili e compostabili, per cui a Marrakech insieme al bando, è partita la proposta della definizione di un piano per ridurre e riciclare la plastica in tutti i settori e una campagna internazionale per incrementare la raccolta differenziata.
“Il pacchetto della economia circolare e i nuovi importanti obiettivi fissati nell’ultimo passaggio in Commissione ambiente giocano un ruolo importantissimo anche nella riduzione del marinelitter - ricorda Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club e promotore della legge italiana sul bando ai sacchetti non compostabili - Se si mettessero in campo delle politiche di prevenzione ad hoc infatti, si avrebbero risultati importanti, a partire dalla riduzione dei rifiuti in mare. Ad esempio, con l’adozione degli obiettivi Ue, una seria politica di prevenzione e riduzione dei rifiuti, a partire dalla plastica, l’utilizzo di un unico standard di valutazione, l’aumento del riciclaggio dei rifiuti e del packaging, la riduzione e l’eliminazione delle discariche, si avrebbe la massima riduzione del marine litter (-35,45%) e un ricavo sui costi di 168,45 milioni di euro all’anno. Nello specifico, se si aumentasse la percentuale di riciclo dei rifiuti, ci sarebbe una riduzione di quelli marini del 7,4% e un ricavo sui costi di 35,16 milioni di euro all’anno. L’aumento del riciclo del packaging (tra l’80% e il 90%) permetterebbe di diminuire il marine litter del 18,41% e il ricavo dai costi aumenterebbe a 87,48 milioni di euro all’anno.”
Lo studio di Enea. Grazie alla collaborazione con ENEA, l’indagine ha permesso di identificare le matrici polimeriche dei rifiuti presenti in mare e sulle spiagge. Questo rappresenta un fattore essenziale per valutare un loro possibile riciclo e reimpiego. Una frazione compresa fra 85-94% delle plastiche raccolte e caratterizzate è costituita di polimeri termoplastici, in prevalenza Polipropilene (PP) e Polietilene (PE) a bassa e alta densità, materiali che per semplice riscaldamento possono essere rimodellati e riciclati. La loro tipologia rende assolutamente fattibile l’inserimento di queste plastiche in un ciclo virtuoso ed economicamente sostenibile. Tra le plastiche raccolte in mare c’è una netta prevalenza di polietilene, materiale normalmente utilizzato per shopper e teli. Sulle spiagge inoltre oltre il 50% degli oggetti ritrovati sono frammenti derivanti dalla degradazione/frammentazione di oggetti più grandi e il 28% dei frammenti è costituito da Polipropilene e Polietilene quindi anch'essi avviabili a riciclo. In particolare i frammenti derivano, presumibilmente in base alla forma, da packaging, come per esempio buste e flaconi. Ricordiamo che il PP e il PE rappresentano, ancora oggi, i materiali polimerici più venduti al mondo e che il packaging, da solo, rappresenta il settore che utilizza circa il 40% dell’intera produzione europea di materiali polimerici: 59 milioni di tonnellate nel 2015”.
I costi del problema. Affrontare il problema dei rifiuti marini rientra nella to do list stilata dalla Comunità europea e riportata nel testo della Marine Strategy, la direttiva 2008/56 dedicata all’ambiente marino e che prevede il raggiungimento del buono stato ecologico, per le acque marine di ogni Stato membro, entro il 2020.
Otto miliardi di euro all’anno è l’impatto economico mondiale del marine litter stimato nel rapporto 2016 Marine Litter Vital Graphics di Unep (United Nations environment programme) e Grid-Arendal. Su scala europea, invece, secondo uno studio commissionato ad Arcadis dall’Unione Europea, il marine litter costa 476,8 milioni di euro all’anno. Una cifra che prende in considerazione solo i settori di turismo e pesca perché non è possibile quantificare l’impatto su tutti i comparti dell’economia. In particolare, il costo totale stimato per la pulizia di tutte le spiagge dell’Unione Europea è pari a 411,75 milioni di euro, mentre l’impatto sul settore pesca è stimato intorno ai 61,7 milioni di euro.
Definizione del marine litter. Il rifiuto che costituisce marine litter è quello abbandonato in mare o, ancora, quello già presente sulle spiagge e che viene portato a largo da onde, mareggiate o dal vento. Vengono considerati rifiuti marini solamente i materiali solidi persistenti prodotti dall’uomo presenti nell’ambiente marino. Non sono compresi i residui semisolidi quali oli minerali e vegetali, paraffine e altre sostanze chimiche. Se insieme a questi rifiuti si considerano anche quelli abbandonati dai cittadini sugli arenili, nonché quelli provenienti da corsi d’acqua, dalle acque di dilavamento e da scarichi urbani non filtrati e che si depositano nei pressi delle foci, si ha ciò che viene considerato beach litter. I frammenti più piccoli (microlitter) che si generano per degradazione dei materiali a opera degli elementi climatici sono di rilevante importanza. Le microplastiche, in particolare, sono la causa principale dell’introduzione di plastica nel biota: esse vengono ingerite direttamente ma anche involontariamente dagli organismi acquatici con conseguenti lesioni interne, ridotta fecondità, disturbi ormonali, intossicazioni da sostanze chimiche e bioaccumulo nella catena trofica.