Elogio del 'Suk' di Torino
Alessandro Stillo, Vice Presidente dell' Associazione ViviBalon: "Il suq, ovvero l'area di libero scambio della città, è un'economia informale che evita centinaia di tonnellate di rifiuti e versa alla Pubblica Amministrazione più di 120.000 euro l'anno. Bisogna sostenerla e migliorarla"
10 April, 2017
Ormai da molto tempo a Torino si discute del cosiddetto Suk e della sua collocazione in città. Che cos'è il Suk, più propriamente detto Area di Libero Scambio, ora denominato Barattolo? E' il luogo dove i raccoglitori informali di merci usate destinate ai rifiuti possono scambiare e cedere alla luce del sole e nella piena legalità gli oggetti che hanno raccolto. L'appuntamento dapprima è stato settimanale, al sabato nell'area del Balon, mercato delle pulci storico della città, probabilmente il più antico d'Italia, e da qualche anno il numero di operatori e le richieste ha trasformato l'appuntamento in bisettimanale, sia al sabato che alla domenica.
Le
Amministrazioni di Torino che si sono succedute, attraverso il Libero
Scambio hanno dato una risposta a un fenomeno storico cancellato dal
cosiddetto Decreto Bersani n.114 del 1998: il decreto cancellò
l'art. 121 del TULPS (Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza) che
elencava
i “mestieri di stracciaiolo, raccoglitore di ferro eccetera”, che
avevano la facoltà di vendere su area pubblica senza licenza
commerciale e con una semplice autorizzazione della Questura. La
risposta è stata l'istituzione di Aree di Libero Scambio, dotate di
un Regolamento (n.316 approvato nel febbraio 2006 dal Consiglio
Comunale di Torino), dove i raccoglitori non professionali potevano
operare: l'Area di Libero Scambio della domenica è stato più volte
spostata dalle Amministrazioni. Dal 2010, anno in cui è nata, ad
oggi ha utilizzato tre differenti aree cittadine per approdare, il
prossimo 23 aprile in una nuova zona, dove
dovrebbe collocarsi anche l'edizione del sabato.
Fin
qui la storia, fatta anche di interesse di altre amministrazioni
italiane verso la soluzione torinese, ma ora passiamo a
considerazioni più generali:
1. è evidente che il Suk, così definito non solo dai media ma dai cittadini contrari alla sua esistenza, è oggi considerato un bubbone da una parte dell'opinione pubblica, che non lo vuole nelle vicinanze della propria abitazione, ma che in generale non vuole altro che la sua eliminazione;
2. altrettanto chiaramente denigratoria è, negli intenti di chi la porta avanti, la definizione di Suk come di luogo in cui si concentra il malaffare, qualunque esso sia, dove gli scambi riguardano quasi esclusivamente merci illegali, il tutto condito da caos e da assenza di controllo;
3. il fenomeno di cittadini che raccolgono rifiuti e li reinseriscono nel ciclo di utilizzo è molto diffuso sul nostro pianeta, tanto che il sito di Global Rec (www.globalrec.org) individua esperienze collettive di cooperative, associazioni, federazioni, enti e indica 28 paesi e centinaia di organizzazioni che fanno parte dell'economia informale nel mondo: tra esse, Rete O.N.U. (Operatori Nazionali dell'usato) realtà italiana di cui l'Associazione ViviBalon che gestisce a Torino le Aree di Libero Scambio è socia fondatrice.
Per queste ragioni, e per molte altre che proverò a elencare, credo sia il momento di fare chiarezza. Il Suq nei paesi arabi è uno dei centri di incontro dei cittadini. Lo troviamo meravigliosamente sviluppato in tutte le città, grandi e piccole, lo frequentiamo nei nostri viaggi esotici, lì compriamo regali per noi stessi e per gli amici e i parenti. Se le aree di libero scambio sono un Suq, riprendono una tradizione millenaria, al pari delle nundiae, i mercati romani che si tenevano ogni nove giorni (da qui il loro nome nun-diae).
Se poi Suq vuole significare che i suoi frequentatori e operatori sono in stragrande maggioranza arabi, posso rassicurare tutti: gli operatori delle aree di libero scambio sono nati in Italia come all'estero, provengono da Torino, dall'Unione Europea e da tutto il mondo. E lo stesso vale per i frequentatori, il pubblico. D’altra parte sarebbe possibile che un mercato continui per vent'anni senza acquirenti e che anzi sia costretto a raddoppiare la sua frequenza? Visto che gli stalli (i posti per gli operatori) sono più di quattrocento, possiamo stimare che i frequentatori siano almeno venti volte tanto, dato che non tutti acquistano e che il costo complessivo per partecipare (costo dello stallo, spostamenti, sussistenza) è di alcune decine di euro. Se così non fosse, chi viene per vendere non avrebbe interesse a prenotare un posto e a pagarlo, visto che investirebbe inutilmente i propri soldi.
Inoltre
nelle Aree di Libero Scambio si vendono oggetti e merci che non hanno
più alcun valore per chi li ha lasciati nelle cantine, nelle
soffitte, nei cassonetti, mentre acquistano una seconda vita per chi
li compra per pochi euro, arredando le case e rendendo più semplice
la vita di chi li utilizza per cucinare, camminare, pedalare. Vivere
insomma.
E' una economia informale, difficile da quantificare, ma una stima per difetto suggerisce che la seconda vita delle cose usate a Torino in un anno eviti centinaia di tonnellate di rifiuti, in cui si trasformerebbero questi oggetti se qualcuno non li ripulisse e portasse a nuova vita. Non solo, ma in questi momenti di crisi, l'Area di Libero Scambio di Torino versa alla Pubblica Amministrazione più di 120.000 euro l'anno per l'occupazione bisettimanale del suolo pubblico e investe una cifra equivalente per smaltire i propri rifiuti: non certo una attività assistita da qualcuno!
Gli operatori di queste aree sono cittadini di Torino, nati qui come in altre parti del mondo, che si organizzano autonomamente e vanno oltre la richiesta di assistenza. Ricercano fortemente un riconoscimento di identità, che integrano redditi non certo esaltanti con la partecipazione a queste attività e, soprattutto, rafforzano la loro dignità di persone autonome, di cittadini attivi.
Per
questo sono i primi, e noi con loro, a volere controlli, regole,
strumenti per migliorare, affiancamento e sostegno da parte
dell'Amministrazione, delle Forze dell'Ordine, dei cittadini, ma
soprattutto il riconoscimento e la valorizzazione della loro
attività. Vogliono essere
considerati non un problema per la città ma una risorsa,
con un luogo stabile e riconoscibile in cui ritrovarsi e scambiare
liberamente.
Vice Presidente Associazione ViviBalon
Tesoriere Rete O.N.U.