Torino: le 'bocche' di Salvatore Liistro realizzate in gesso, metallo e materiali riciclati
In una via del centro di Torino, a due passi da piazza Vittorio, c'è la bottega di un artista che da qualche anno si è messo in testa di comunicare in modo immediato, utilizzando materiali che erano rifiuto o rischiavano di diventarlo
22 May, 2017
Che il rifiuto rappresenti una risorsa sotto il profilo ambientale e occupazione è ormai cosa certa, che sempre più venga accostato all’arte diventando esso stesso l’arte, è una novità cui ci stanno abituando i grandi artisti. In una via del centro di Torino, a due passi da piazza Vittorio, scoviamo la bottega di un artista che da qualche anno si è messo in testa di comunicare in modo immediato, utilizzando materiali che erano rifiuto o rischiavano di diventarlo.
A corredo di questo binomio – arte e rifiuti – ci sono mani esperte di chi, come Salvatore Liistro, ha maturato una lunga esperienza come scultore e pregevole restauratore; da ragazzo di bottega con i calzoncini ancora corti a maturo artista quasi cinquantenne, non ha mai abbandonato la sua passione ed oggi mette in gioco la conoscenza di tecniche ormai quasi dimenticate per plasmare e ridare vita a materie che arrivano dal cassonetto.
Addentrandoci nel laboratorio pieno delle sue opere, si disvela davanti ai nostri occhi quello che potremmo definire il “chiodo fisso” di Salvatore in questo periodo artistico: la bocca. Con l’entusiasmo fresco di un ragazzino, ci racconta: “la bocca è il miglior strumento di comunicazione, quello più veloce e immediato, quello che appartiene a tutti, rappresenta quello che non può essere taciuto; la bocca è icona di femminilità, incuriosisce, diverte, appassiona ...”.
Salvatore Liistro ci presenta le sue “bocche”, realizzate in gesso, metallo, materiali riciclati – scaglie di plastica derivanti dalle bottiglie, alluminio delle lattine e frammenti di rame dei cavi, biglie di vetro dei contenitori a pressione incastonate come diamanti –, che ricordano nella forma e nei colori le immagini della pop art degli anni sessanta del secolo scorso. Ci incuriosisce una bocca semitrasparente avvolta dal filo spinato, anche questo riciclato; l’artista ci spiega che è una delle sue opere preferite perché denuncia la violenza sulle donne: il filo spinato protegge la donna come un confine inviolabile, così come respinge chi volesse prendere a mani nude l’opera. Rifiuti ripensati come strumento per comunicare la circolarità e un nuovo modello di sostenibilità: messaggio comunicato attraverso il più immediato dei simboli, una bocca.