Dal macero alle donazioni che fine fanno i libri invenduti?
In Italia la metà dei libri stampati rimane invenduta e il successo di una casa editrice si fa in magazzino. Non tutto si può donare e il macero rimane ancora un costo. Edt e Mimesis ci spiegano come funziona
14 February, 2019
Il mondo della produzione libraria in Italia non se la passa bene, uno dei primi argomenti a supporto è la scarsa propensione alla lettura degli italiani. Secondo l’ultimo report dell’Istat “Produzione e lettura di libri in Italia” che analizza i dati del 2017 “la quota di lettori è pari al 41% della popolazione”. A salvare la media italiana sono le donne, infatti il 47,1% di loro (contro il 34,5% dei uomini) ha letto almeno un libro nel corso dell’anno.
Un dato, quello italiano, che se paragonato al resto d’Europa mostra tutti i limiti del settore. In Spagna a leggere più di un libro all’anno è il 68,1% della popolazione mentre in Gran Bretagna la media sale al 75% .
Per l’Aie (l’Associazione Italiana Editori) un perimetro ristretto del mercato della lettura significa un mercato ancor più ristretto in termini di acquirenti. “Significano minori risorse economiche e finanziarie a disposizione dei diversi attori della filiera per innovazione e investimenti. In tecnologie ma anche in nuove politiche autoriali, in rinnovamento della distribuzione e dei punti vendita al dettaglio, in processi di internazionalizzazione, nella partecipazione a fiere o missioni all’estero per vendere o comprare diritti”. Insomma mancano i lettori per rilanciare il settore.
Il settore è dominato dai “grandi editori” che, con oltre 50 opere all’anno, rappresentano il 15,1% degli operatori (su 1.459 editori attivi nel 2017) pubblicando più dell’80% dei titoli e circa il 90% delle copie stampate. Nel 2017 una ripresa del mercato c’è stata, infatti rispetto al 2016 i titoli pubblicati sono aumentati del 9,3% (per un totale di 70.159 titoli) e le copie stampate del 14,5% (per un totale di oltre 160 milioni di copie - circa due e mezzo per ogni cittadino italiano). Questa ripresa però ha interessato esclusivamente i grandi marchi (+12,6 per i titoli e +19,2% per le tirature) mentre per i piccoli e ancor più per i medi editori si sono riscontrate flessioni.
Nonostante la crescita di titoli e tirature che premia esclusivamente i “grandi editori”, il report dell’Istat mette in luce un ulteriore aspetto: “Il 22,1% degli operatori attivi nel settore (oltre il 25% nel 2016) dichiara che è rimasta invenduta oltre la metà dei titoli pubblicati nel 2017; tale quota sale al 26% per i piccoli editori, scende al 21,1% per i medi e si attesta all’11,4% per i grandi marchi”.
In pratica viene stampato il doppio dei libri che vengono venduti. Ma che fine fanno tutti questi libri invenduti? Vanno tutti al macero o esiste una seconda vita del libro nuovo invenduto?
Abbiamo provato a reperire dati certi su quanti libri finiscono al macero ma né l’Aie e né AssoCarta dispongono di questi dati. Quindi per capire meglio come funziona la gestione dell’invenduto da parte delle case editrici e che fine fanno questi libri abbiamo interpellato Lorenzo Pompei (responsabile delle vendite e del marketing di Edt) e Roberto Revello (amministratore e caporedattore di Mimesis Edizioni). Due punti di vista che mostrano come il mercato dell’editoria italiana sia attento e consapevole degli sprechi e per prevenirli risulta fondamentale una gestione oculata del magazzino.
L’esperienza di Edt
“Difficilmente le piccole medie case editrici utilizzano il macero, è un discorso che vale per le grandi concentrazioni editoriali. Fino a qualche anno fa per Edt – racconta Lorenzo Pompei - il macero era solo un costo, adesso riceviamo pochi centesimi per ogni chilogrammo di carta smaltito, ma non è questo il motivo per cui la casa editrice macera. C’è un motivo gestionale determinato dal fatto che il magazzino ha un valore che rappresenta un cespite del bilancio. Se un libro non vende nel suo ciclo di vita è previsto anche il macero e questo Edt lo fa molto raramente. Invece il discorso cambia per guide di viaggio che seguono un percorso totalmente differente.
Abbiamo un elenco di enti, associazioni, biblioteche, biblioteche carcerarie, ospedaliere a cui mandiamo periodicamente tutta una serie di volumi che noi abbiamo identificato come bassovendenti oppure volumi leggermente rovinati e che non sono più adeguati alla vendita.
Ovviamente il problema qual è, provo a fare un esempio. Se ti trovi con mille copie di eccedenza di un libro non è che a una biblioteca scolastica ne puoi mandare dieci, se ne possono mandare al massimo due o tre e questo tipo di lavoro bisogna intenderlo spalmato su una quantità di realtà infinite. Per cui ti trovi ad avere delle micro eccedenze che si possono smaltire attraverso la donazione e delle macro eccedenze che si possono smaltire con il macero".
Mi confermi la cifra di 5 centesimi per ogni chilogrammo di carta mandato al macero?
Dovrei controllare ma non superiamo i 4 centesimi al chilo. Non c’è un guadagno da parte della casa editrice, per una realtà come la nostra i soldi che riceviamo non valgono il costo delle pedane utilizzate per movimentare i libri che finiscono al macero. Forse l’unico risparmio è dato dal fatto che è il maceratore a venirsi a prendere i libri. Credo di aver reso l’idea.
Per Edt, in percentuale, quanto vale il macero e quanto le donazioni?
Se non consideriamo le guide di viaggio e se non c’è una situazione contabile e di magazzino particolare il rapporto è tutto donazioni e nulla macero. La casa editrice non ha una politica di maceri sistematici, per cui se un libro dopo due anni non ha venduto la prima soluzione è la donazione. Mentre in una logica di gestione contabile del magazzino bisognerebbe comportarsi in questo modo: il libro non vende, la novità non va e quindi la macero. Quando ho lavorato per altre case editrici più grandi c’era questa policy. Essendo quello editoriale un mercato basato sulla tentata vendita l’errore è facilissimo. Faccio ancora un esempio, se viene pubblicato il libro di Lucarelli che normalmente vende 300 mila copie – ripeto è un esempio – e le librerie mi prenotano 100 mila copie, io ne mando 120 mila. Ma se il libro non vende diventa un problema enorme. Quindi tutte le copie invendute tornano indietro e in quel caso, gestionalmente parlando, si va al macero fino a che quel libro ha ancora un valore di magazzino andando ad abbassare così il valore contabile del magazzino che ricordo viene tassato perché rappresenta un cespite del bilancio.
La produzione oggi è diventata più just in time e quindi una eventuale eccedenza è giustificata solo nella prima tiratura, perché se il libro comincia a vendere allora si può pensare alle ristampe. Negli anni ‘80 le grandi case editrici son fallite perché hanno sbagliato la gestione degli stock. In generale per un libro che rimane in magazzino più il suo valore unitario è altro più incide sul magazzino contabile.
Chiaramente la donazione, per me, dovrebbe essere qualcosa di intrinseco nel lavoro della casa editrice, nella diffusione. Poi ovviamente bisogna selezionare a chi dare questi libri con un orizzonte sensato. Se per esempio ti chiede dei libri l’Ospedale infantile Regina Margherita non puoi mandare guide di viaggio ma libri per ragazzi, non invio young adult ma libri per lettori dai tre agli undici anni. Quindi anche per evadere le richieste di donazione e gli omaggi c’è dietro un lavoro.
Quindi nella vostra casa editrice c’è una figura professionale che fa questo o lo fate nei ritagli di tempo?
C’è una persona addetta a questo, ovviamente non si occupa solo di questo perché non arrivano cento richieste al giorno ma all’interno dell’organizzazione aziendale esiste questa figura.
A tua memoria la donazione più grande che hai mai fatto?
In realtà in Edt non facciamo enormi donazioni ma sono tante piccole donazioni da 20/30 al massimo 40 copie. Ovviamente per i grandi gruppi editoriali questi numeri saranno superiori. Una volta, nel precedente lavoro, ricordo di aver spedito a un plesso scolastico tre bancali di libri. Ma quantitativi del genere sono molto rari.
Nel tempo l’evoluzione tecnologica ha aiutato a gestire meglio i magazzini così da limitare il macero e di fatto lo spreco di libri?
In passato le economie di scale erano diverse, oggi posso stampare 100 o 1000 copie senza difficoltà con costi contenuti e tempi celeri mentre in passato – e questo valeva sopratutto per le grandi case editrici - dovevo stampare 3000 copie altrimenti i costi erano esorbitanti. Sì, l’evoluzione tecnica ha limitato molto gli sprechi. Per esempio Edt nella gestione delle tirature si è dotata di un processo che definisce le tirature nella maniera più precisa possibile per limitare il macero. Perché il macero per un editore è un costo.
Però di contro bisogna considerare altri fattori che portano allo spreco. Oggi per esempio la saggistica divulgativa strizza l’occhio alla narrativa e quindi il libro ha un ciclo di vita più breve. Senza dimenticare che le stesse librerie oggi hanno una politica di rotazione di scaffale sempre più veloce e quindi tengono i libri in negozio molto meno. È diventata una lotta per la gestione dello spazio, in libreria o in magazzino, oggi il business del mercato editoriale è la gestione dello spazio e ognuno prova a valorizzarlo al meglio e in modo diverso. Altro errore poi, ma questo è un problema di tutto il mercato editoriale, è credere che ogni libro abbia un pubblico ma non è così: il libro deve raggiungere il pubblico. Se un libro è percepito come non vendibile la libreria non lo espone. Quello che una volta funzionava tantissimo come le recensioni stampa non tirano più le vendite. Ricordo le prime edizioni dei programmi tv di Fazio, quando andava un autore bisognava riaccendere le rotative perché il suo libro andava sicuramente in ristampa. La recensione non garantisce più la vendita, la divisione del tempo libero è contesa tra una varietà quasi infinita di attività e quindi la lettura risulta sempre più marginale.
In tutto questo non dimentichiamoci di Amazon, perché avendo a disposizione degli spazi enormi e gestendo un catalogo potenzialmente infinito è diventato un player importante, un venditore fortissimo su quelli che sono i titoli di catalogo. Per assurdo gli store online sono quelli che aiutano di più l’editoria di catalogo, nel senso che la novità la trovi ovunque dal supermercato, alla libreria, all’Autogrill mentre se cerchi un determinato libro la libreria deve ordinarlo e quindi tanto vale che lo compro online. Senza dimenticare che questa modalità di vendita uccide la distribuzione, perché Amazon per avere quel tipo di servizio strozza tutta la catena a monte, mandando al distributore ogni giorno un ordine da ventimila righe di micro ordini. Quel lavoro non lo paga Amazon, lei paga solo lo spazio dove sono conservati i libri strozzando i distributori e affaticando tutto il circuito della distribuzione in Italia. È sempre una lotta di spazio e molti dei parametri di successo del mercato editoriale dipendono dalla gestione degli spazi.
L’esperienza di Mimesis
Dalla Edt di Torino passiamo alla milanese Mimesis, dove Roberto Revello spiega l’approccio della casa editrice al macero e alle donazioni.
Quanti titoli pubblica Mimesis in un anno? e quante copie mediamente stampate per ogni titolo?
Un po’ più di 300 titoli all’anno. Le tirature variano molto da titolo a titolo, facendo sia una saggistica più divulgativa, sia una saggistica prettamente universitaria. Diciamo che la media è intorno alle 500 copie. Inoltre, da quando ci serviamo maggiormente della stampa digitale, ci teniamo più bassi sulla prima tiratura andando poi a rifornire successivamente per mezzo di ristampe.
L’obiettivo di qualsiasi casa editrice è quello di vendere tutti i libri ma, per qualche ragione, non tutti vengono acquistati. Cosa accade a questi testi? Rimangono in magazzino e per quanto tempo in media?
Anche per questo aspetto conta il tipo di editore che si è. La maggior parte dei nostri titoli non invecchiano particolarmente col tempo, essendo tesi di approfondimento e di studio. La nostra politica è quindi di tenere quasi tutto il nostro catalogo disponibile, sia pure con scorte molto misurate. Se un titolo ha avuto dei resi più forti del previsto, dopo il suo lancio, è possibile che entro due o tre anni la scorta venga assottigliata macerando delle copie, così come a distanza di molti anni si decida di assottigliare il quantitativo di un vecchio titolo, ma come detto sopra gestiamo il nostro magazzino con un’attenta politica sulle tirature e un rapido servizio di ristampa e rifornimento.
Se proprio non vengono venduti che succede? vanno direttamente al macero o avete un canale per le donazioni?
Ovviamente si preferisce provare a rivenderli fortemente scontati sul cosiddetto secondo canale, vale a dire il remainders. Le donazioni che al momento facciamo non seguono propriamente questa logica. Decidiamo di fare donazioni perché ce lo chiede una scuola, una biblioteca comunale, un’associazione o dei detenuti. Naturalmente quando prepariamo una lista diamo allora preferenza a titoli “accumulati”.
In percentuale quanto va al macero e quanto donato?
30% macero, 70% donazioni
Avete una politica aziendale particolare per le donazioni? Come avvengono e chi sono i beneficiari?
Non abbiamo una politica aziendale, decidiamo di accogliere le richieste che ci giungono o di aderire a una specifica iniziativa. Le tipologie sono quelle di cui ho parlato sopra.
Conviene (non solo dal punto di vista economico) portare i libri al macero o donarli?
Credo sia difficile rispondere in assoluto perché nel caso della donazione dipende dalla massa di libri e dal tipo di spedizione. Naturalmente, in un’ottica sociale ed ecologica sembra preferibile donarli. Ho l’impressione però che non sia affatto facile sistematicamente appoggiarsi alle donazioni. Ad esempio non è scontato che molte biblioteche accettino le donazioni, per motivi di spazio, burocratici, ecc.