V.I.V.A. “La Sostenibilità della Vitivinicoltura in Italia”, il progetto del Ministero dell’Ambiente al Vinitaly 2019
Fiamma Valentino: “La parola sostenibilità va molto di moda e spesso si tratta solo di un abuso. Il progetto guarda agli aspetti ambientali, economici, sociali e culturali che rappresentano il quarto pilastro della sostenibilità, perché il vino, e soprattutto in Italia, è cultura e caratteristica identitaria dei territori”
07 April, 2019
di Luigi Vendola e Matteo Paolini
In questi giorni Verona è la capitale del vino. Fino al 10 aprile al Vinitaly i principali produttori di vino italiani si incontrano per far assaggiare i propri prodotti e proporli al mondo. Infatti tra un assaggio e l’altro è possibile incontrare e scambiare impressioni con acquirenti provenienti da ogni angolo del mondo. Il loro obiettivo non è comprare solamente un vino buono ma sono alla ricerca della vera qualità, una qualità certificata e che guarda alla sostenibilità ambientale come valore aggiunto per conquistare i palati dei loro committenti.
Non è facile districarsi tra migliaia di etichette accattivanti, marchi, bollini e diciture delle più disparate. I consumatori sono sommersi da una infinità di informazioni che invece di semplificare rischiano solo di confondere e disorientare. Tutti i produttori dicono di esser attenti alla sostenibilità del loro prodotto, di guardare al rispetto dell’ambiente prima che al profitto, di curare la vigna come se fosse un figlio. Sacrosante verità (si suppone) ma come fa il consumatore a verificare tutto questo?
Da qualche anno un progetto avviato dal Ministero dell’Ambiente cerca di tutelare i consumatori (e i produttori) su questi aspetti. Il progetto si chiama V.I.V.A. “La Sostenibilità della Vitivinicoltura in Italia” e al Vinitaly abbiamo incontrato la dr.ssa Fiamma Valentino (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – AT Sogesid) per capire meglio di cosa si tratta e quali sono le prospettive future. Ovviamente se siete a Verona in questi giorni vi consigliamo di passare dal Padiglione 3 (stand F5) e conoscere il progetto.
Il progetto Viva nasce nel 2011 ed è promosso da Ministero dell’Ambiente. La sua particolarità risiede nel fatto che non è nato in seno alle istituzioni ma è stata la spinta delle aziende, una vera e propria strategia bottom up. Alcune aziende erano già sensibili ai temi della sostenibilità e già lavoravano in quest’ottica ma la richiesta da parte loro era una formalizzazione del loro impegno e una standardizzazione delle pratiche.
Gli altri partner che hanno dato vita al progetto, oltre al Ministero e alle aziende, sono state le università italiane che hanno curato la parte scientifica del progetto. Durante la fase sperimentale iniziale il gruppo di lavoro era composto da nove aziende selezionate in base al territorio e al prodotto, due centri di ricerca come Agrinnova dell’Università degli Studi di Torino e Opera (l’Osservatorio europeo per l’agricoltura sostenibile) dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza, che è ancora partner scientifico del progetto.
Quali sono questi criteri?
L’obiettivo del progetto è quello di misurare e migliorare le prestazioni di sostenibilità di una azienda. Oggi la parola sostenibilità va molto di moda e spesso si tratta solo di un abuso nell’uso del termine. Quindi la filosofia alla base del progetto è quella di rispettare l’uso della parola sostenibilità, con un approccio olistico, un approccio a 360 gradi che guarda agli aspetti ambientali, economici, sociali e culturali che rappresentano il quarto pilastro della sostenibilità, perché il vino e soprattutto in Italia è cultura e caratteristica identitaria dei territori.
Per questo sono stati individuati quattro indicatori, codificati in altrettanti disciplinari tecnici: aria, acqua, vigneto e territorio. L’indicatore aria va a verificare l’impronta ambientale in un contesto di cambiamenti climatici, quello relativo all’acqua va a misurare l’impronta idrica come il consumo di acqua dolce in campo e in cantina. L’indicatore vigneto va ad indagare su quali sono le pratiche agronomiche, dalla fertilizzazione all’erosione e alla compattazione del terreno. Mentre l’aspetto veramente innovativo è l’indicatore territorio che guarda ad altri aspetti legati alla sostenibilità come quelli economico, sociale e culturale.
Il progetto prevede due tipi di certificazione, quella di prodotto e quella di azienda. La certificazione di prodotto, di colore nero, è quella che viene fisicamente apposta sull’etichetta e quindi sulla bottiglia che permette al consumatore, anche grazie a un QR Code, di verificare gli indicatori di quel determinato prodotto e in più ha la possibilità di osservare gli external communication report, in pratica delle informazioni aggiuntive che caratterizzano meglio il prodotto. Inoltre il consumatore può visionare il certificato di verifica realizzato da un ente terzo. Mentre l’altra certificazione, quella di azienda o di organizzazione (di colore bianco) non può essere apposta sul prodotto ma viene inserita sulle brochure, siti internet e tutto il materiale informativo delle aziende. In pratica l’obiettivo è quello di informare al meglio i consumatori per evitare che il messaggio non sia fuorviante evitando anche il green washing da parte delle aziende.
Quali sono le strategia di crescita del progetto per il futuro?
Il consumatore oggi è sicuramente più attento alla sostenibilità dei prodotti che acquista e sta acquisendo pian piano una diversa sensibilità, ma si ritrova disorientato perché c’è una varietà di progetti quasi infinita ma in tutta Italia i progetti pubblici che guardano alla sostenibilità del mondo vitivinicolo solo solo due, Viva per l’appunto e il Sqnsi Sistema di qualità nazionale di produzione integrata del Ministero dell’Agricoltura. Quello che si sta facendo è armonizzare i due progetti pubblici attraverso una intesa interministeriale avviata nel 2017 per creare degli standard unici. Inoltre questo tavolo tra i due ministeri si sta ampliando con l’obiettivo di coinvolgere gli stakeholder come Federbio, Unione Italiana Vini, Federdoc, Confagricoltura e altri così da avere un unico riferimento nazionale per le aziende. Il tavolo è aperto e ci stiamo lavorando.
C’è un reale interesse da parte dei produttori a essere inseriti in questo circuito?
Sì c’è tanto interesse, da una parte c’è una vocazione aziendale per la sostenibilità che sta cambiando e dall’altra c’è una forte richiesta del mercato nazionale e internazionale di prodotti sostenibili certificati.