Tradizionalmente Napoli: la pizza fritta
Pochi cibi sono così tanto rappresentativi sia dell’Italia come nazione che di una città in particolare quanto la pizza, specialmente nella versione tradizionale di Napoli.
23 June, 2019
Tutti riconosciamo quella crosta altissima rispetto al centro, l’impasto morbido (al contrario della tradizione romana, bassa e “scrocchiarella”, croccante) e la semplice ricchezza di quei pochi ingredienti che caratterizzano la pizza margherita. L’avete assaggiata, vero? Avete provato il brivido lungo la schiena dopo che il cameriere ha appena lasciato quell’enorme pizza davanti a voi, mentre il vostro stomaco si chiede come fare a mangiare tutto (è troppo invitante per lasciarla ai topi!), salvo poi scoprire di averla già digerita appena alzati da tavola?
Anche se la tradizione culinaria napoletana non si riduce solo alla pizza da forno (fidatevi: non vi basta una settimana per assaggiare tutto!), evitate di commettere l’eresia di ripartire dalla città partenopea senza esservi goduti una bella margherita, magari da Salvo Pizzaioli, nelle due sedi di San Giorgio a Cremano e Napoli. I giovani fratelli Francesco e Salvatore hanno seguito la tradizione di famiglia (già nonna Rosa negli anni ‘50 offriva la sua pizza fritta ai fedeli che uscivano dalla messa alla domenica), rinnovandola sapientemente con prelibate ricerche gastronomiche.
Pizza fritta, l’anima segreta di Napoli
Oggi non voglio parlarvi più di tanto della già famosa pizza tonda napoletana (peraltro riconosciuta dal 2010 come Specialità Tradizionale Garantita dell’Unione Europea, mentre dal 2017 l’arte che porta alla sua produzione, quella del pizzaiolo napoletano, è ufficialmente Patrimonio Immateriale dell’Umanità), ma vorrei concentrarmi su una sua sorella più giovane, ma di certo non meno gustosa e “peccaminosa” dell’altra: la pizza fritta.
La leggenda, peraltro notoriamente priva di qualsiasi fondamento di verità, fa risalire la nascita della pizza tonda a tale Raffaele Esposito che nel 1889 creò la versione con pomodoro, mozzarella e basilico, dedicandola alla regina Margherita di Savoia. La storia della pizza fritta nasce “appena” nel secondo dopoguerra, quando la città era ancora in ginocchio dai combattimenti per la liberazione e non si trovavano facilmente né ingredienti né forni in cui cuocere la versione tradizionale.
Fortunatamente la friggitoria e la grande capacità di adattamento del popolo napoletano vennero in aiuto della città, per cui, mentre i panettieri producevano i loro prodotti tipici, le donne si assunsero l’onere della preparazione e della vendita della pizza fritta subito fuori l’uscio di casa. Anche se oggi si possono trovare di tutti i gusti, la versione tipica è fatta con ingredienti poco costosi come ricotta (facilmente reperibile nelle campagne intorno Napoli) e i ciccioli (o cicoli, la parte solida del grasso di maiale residuo di lavorazione dello strutto). Come si mangiava? In piedi, passeggiando per i vicoli e rigorosamente con le mani.
La pizza del popolo
Queste caratteristiche hanno contribuito a rendere la pizza fritta un prodotto tipicamente popolare, di basso costo, che tutti potevano facilmente permettersi. In più, visto che poteva essere acquistata a credito e pagata la settimana seguente, la versione “a ogge a otto” era quella che più veniva incontro alla povertà del dopoguerra, diventando quasi una forma di collaborazione tra famiglie.
Il successo della pizza fritta di quegli anni è stato
talmente grande da diventare anche un soggetto cinematografico. Come scordarsi
della splendida Sophia Loren che nel film L’oro
di Napoli (1954) diretto da Vittorio de Sica è una venditrice proprio di
questo cibo e “disgraziatamente” fa cadere l’anello di fidanzamento in uno
degli impasti di pizza… Per le strade di Napoli ancora oggi si può osservare
quello spaccato di vita quotidiana che, per quanto modificato dal tempo, è
ancora lì, vivo, e pronto ad essere gustato morso dopo morso mentre andiamo
alla scoperta degli angoli più nascosti di questa città.