Clima, la lotta nelle piazze non si ferma: a tu per tu con gli attivisti di Extinction Rebellion Italy
Nella giornata di domenica 13 ottobre, al sesto giorno di sciopero della fame in piazza Montecitorio, abbiamo intervistato telefonicamente tre attivisti. Una intervista che col passare del tempo è diventata corale, per capire i motivi della protesta e per conoscerne i prossimi passi
15 October, 2019
È stata una settimana di mobilitazione quella Extinction Rebellion Italia a Roma. Molte sono state le azioni per attirare l’attenzione sulla crisi ecologica e ambientale in atto. E il tutto secondo i canoni della non violenza.
Nella giornata di domenica 13 ottobre, al sesto giorno di sciopero della fame in piazza Montecitorio, abbiamo intervistato telefonicamente tre attivisti. Una intervista che, col passare del tempo, è diventata corale per capire i motivi della protesta e per conoscerne i prossimi passi.
Per ora le azioni andate in scena nella Capitale non hanno raggiunto il livello di quelle londinesi dove il centro, e non solo, della capitale britannica è stato bloccato per una settimana e più di mille persone sono state arrestate perché chiedono a gran voce un cambio di passo netto e deciso sulle politiche ambientali. Ma gli attivisti di Extinction Rebellion Italia guardano avanti e pensano già alla prossima primavera.
A rispondere alle nostre domande sono stati Gianluca (attivista veneziano di 23 anni), Margherita (padovana e studentessa a Bologna di antropologia) e Marco Bertaglia (49enne ricercatore scientifico e agroecologo).
Ciao Gianluca, sei al sesto giorno di sciopero della fame. Come stai e come sta andando la protesta?
Sto bene. Da quando è cominciato lo sciopero ho perso 4,2 kg. Siamo rimasti in sei a proseguire con lo sciopero della fame. Alcuni addirittura hanno deciso di non assumere sali minerali e quindi bevono soltanto acqua. Fino all’altro ieri eravamo assistiti da un medico. Siamo abbastanza sotto pressione perché oltre al digiuno in questa settimana partecipiamo e animiamo anche alle iniziative di sensibilizzazione.
Come è andata la settimana di mobilitazione appena trascorsa?
Siamo molto soddisfatti. È la rima volta che in Italia viene organizzato qualcosa del genere. Tutti i gruppi di Extinction Rebellion italiani si sono ritrovati a Roma per organizzare la mobilitazione. Inizialmente la nostra strategia puntava sulla visibilità ma la risposta dei romani ci ha sorpreso in positivo ed è stato facile coinvolgerli.
Siamo riusciti a incontrare il ministro Costa. Un incontro importate ma insufficiente. L’incontro nonostante tutto ha avuto una sua forte visibilità sui media, rappresenta il primo contatto con le istituzioni che contano, e comunque rimane un primo passo verso la direzione giusta perché un confronto è stato avviato.
Tra le altre azioni messe in atto c’è lo sciopero della fame che inaspettatamente ha avuto un grande eco sui giornali. Poi la Rebel Ride che ha coinvolto più di 150 ciclisti che per tre ore si sono ripresi gli spazi che tutti i giorni sono occupati dalle automobili. E poi ancora cortei e musica e tanto tanto confronto.
Non è stata una ribellione come quella londinese che ha visto migliaia di arresti nonostante le manifestazioni siano state nonviolente. Ma per l’aprile 2020 saremo pronti per una vera ribellione nonviolenta.
Quindi la reazione dei romani è stata sopra le aspettative?
Si, sono rimasto davvero colpito. In Italia il movimento di Extinction Rebellion non è molto conosciuto, quindi vedere semplici cittadini che solidarizzavano e si aggiungevano spontaneamente alle azioni di protesta è qualcosa che ti segna. E poi vedere tanti scienziati che avevano voglia di raccontare e spiegare spontaneamente la catastrofe che ci attende se rimaniamo inerti ai cambiamenti climatici, è il segno che l’azione di Extinction Rebellion si sta muovendo nel verso giusto. La partecipazione c’è stata ed è un segno importante.
Hai detto che l’incontro con il Ministro Costa è stato insufficiente. Cosa significa?
Forse avevamo delle aspettative diverse, probabilmente troppo alte. Abbiamo cercato di far emergere gli aspetti principali dell’emergenza in atto e che secondo noi il Dl Clima è troppo timido. Il ministro dal canto suo annuiva ma ripeteva che questo è solo un primo passo e che l’Italia sta facendo molto rispetto alla media degli altri paesi europei. Alla fine ci siamo lasciati con la promessa che il ministro avrebbe portato le nostre istanze al Presidente del Consiglio Conte, e che forse il governo dichiarerà l’emergenza climatica.
La settimana di mobilitazione è quasi conclusa. Quali sono i prossimi passi?
Dopo questa bellissima esperienza ritorneremo nelle nostre città. L’obiettivo è quello di ampliare e creare nuovi gruppi locali, communities di scienziati, di medici e di tutti coloro che vogliono affrontare e trattare il tema dell’emergenza climatica secondo le proprie competenze. Come di fatto sta accadendo a Londra e nelle altre città europee. L’obiettivo è quello di arrivare preparati all’appuntamento di aprile 2020. Puntiamo molto sulla creazione di comunità locali, sulla cultura rigenerativa spingendo per la nascita di un nuovo tipo di socialità basata su una cultura sana e resiliente dove le persone si ascoltino e dialoghino.
A interrompere la chiacchierata con Gianluca ci hanno pensato i Carabinieri che in piazza Montecitorio chiedevano di visionare i permessi e le autorizzazioni per la manifestazione. Tutto ovviamente si è svolto nella più totale cordialità ma è curioso immaginare che nella piazza antistante la Camera dei Deputati le forze dell’ordine chiedano ai manifestanti, al sesto giorno di mobilitazione, se hanno il permesso di stare in quel posto. Forse una mancanza di coordinamento? Chissà ma al telefono arriva Margherita.
Ciao Margherita, quali azioni avete messo in campo per attirare l’attenzione sull’emergenza climatica in atto?
Ci siamo incentrati su delle azioni che avevano come obiettivo colpire sull’emotività di chi era attorno a noi. In primis lo sciopero della fame, recuperando la dimensione umana cercando di far immedesimare gli spettatori con quelle persone che mettono in gioco il loro corpo e la loro salute per sensibilizzare sull’immediatezza di azioni per contrastare l’emergenza climatica. Anche per l’azione del 7 ottobre, quella del ‘sangue dei nostri figli’, abbiamo puntato sull’emotività. Una performance teatrale in cui veniva versato del sangue, ovviamente finto, su dei ragazzi che impersonavano le generazioni future accompagnando l’azione con la letture e musica. Una azione molto forte che ha attirato davvero l’attenzione di tutti e, addirittura, dei turisti inglesi sono scoppiati in lacrime.
Avete puntato tutto sulle emozioni. Che tipo di pubblico avete trovato?
Da un lato abbiamo trovato un pubblico incredulo e impreparato, che fatica a percepire la gravità del momento perché semplicemente non conoscono e hanno difficoltà a recuperare le informazioni necessarie a comprendere la complessità di questo momento storico. Ecco perché tra le nostre prime richieste c’è quella della verità, di far dire ai governi la verità di quello che sta succedendo.
Dall’altro abbiamo trovato un pubblico attento e sensibile, che chiedeva dove e come trovare le informazioni necessarie per informarsi e crearsi una coscienza critica.
E anche qui l’intervista è interrotta dalle forze dell’ordine alla ricerca del famoso permesso. E al telefono arriva la voce di Marco Bertaglia, ricercatore scientifico e agroecologo.
Hai fatto parte del gruppo che ha parlato con il Ministro Costa. In quell’incontro avete espresso le vostre considerazioni e preoccupazioni sul DL Clima. Puoi riassumerle?
Le misure messe in campo sono insufficienti. Addirittura meno efficaci di quelle che erano circolate nella bozza. Forse nemmeno il nome di Dl Clima riassume veramente le misure presenti nel decreto. Nella realtà è un decreto legge di misure urgenti per evitare l’infrazione sulle direttive europee sulla qualità dell’aria. Una serie di misure, diciamo antiche, come gli ecobonus, gli incentivi alla rottamazione. È come se avessimo da percorrere 8 mila chilometri e dopo il primo passo nella direzione giusta ci siamo fermati urlando “Yuppy abbiamo un decreto legge sul clima”. Le misure necessarie e urgenti sono quelle che ci chiede l’Ipcc . Parliamo di cambiamenti radicali sul nostro modo di trasportare noi stessi e le merci, di come ci vestiamo, di come ci nutriamo. C’è bisogno di stanziamenti molto più grandi, prevedere una seria calendarizzazione per l’uscita dai combustibili fossili, più drastica di quella contenuta nella bozza del DL Clima, bisogna ridurre ed eliminare i sussidi ai combustibili fossili, perché se nel 2025 le nostre emissioni non sono pari allo zero netto siamo semplicemente fottuti.
Quindi cosa ti aspettavi dal nuovo governo?
Mi aspettavo che non si spacciasse questo decreto per una cosa efficacie, ma che si dicesse che le azioni intraprese fino ad oggi sono insufficienti, la situazione è molto seria e ci adoperiamo per mettere in atto delle misure molto più drastiche. Dobbiamo uscire da una serie di meccanismi folli, non solo in merito al clima ma anche dal punto di vista degli ecosistemi. Mi sarei aspettato un “entro il prossimo anno dobbiamo ridurre del tot percento i sussidi alle fonti fossili” avendo già in mente la traiettoria da seguire, “entro il 2025 dobbiamo essere allo zero percento netto di emissioni di gas serra e per raggiungerli bisogna eliminare tutti i sussidi alle fonti fossili”. Ci vuole una road map, una gradualità.
L’altro giorno il ministro in piazza diceva che è impossibile uno switch on/off. Su questo siamo tutti d’accordo, ma se ho un incendio in casa non posso dire che stiamo facendo la manutenzione dell’estintore. L’estintore devo usarlo subito.
Lo ripeto, bisogna ridurre i sussidi immediatamente, smettere di detassare il cherosene per l’aviazione, e spostando la tassazione su tutte le pratiche inquinanti. Serve un decreto legge ampio che cerchi di uscire gradualmente ma rapidamente dall’uso dei pesticidi. Le tecniche per farlo ci sono. Ad oggi sono scomparsi fino all’82% di insetti volanti, senza gli insetti e senza gli impollinatori la nostra agricoltura come è oggi è spacciata.
La politica deve avere un approccio più radicale, molto probabilmente le risorse per guidare questa transizione non sono astronomiche e lo dico con cognizione di causa, da ricercatore e da scienziato. Confido ancora nella politica ma oggi deve prendere delle decisioni serie, radicali e che guardino al lungo peridio.
Anche qui l’intervista si interrompe. Solito motivo: i permessi. Al telefono ritorna Gianluca, al quale chiediamo di chiudere questa intervista corale.
“Voglio lanciare un appello – dice Gianluca - oggi a essere minacciati sono tutti gli ecosistemi e se collassano a subirne le conseguenze non saranno sono le piante e gli animali, ma anche la razza umana ne risentirà. La biodiversità è seriamente sotto attacco. Nei prossimi decenni sono a rischio estinzione più di un milione di specie animali e vegetali.
Solo per fare un esempio, lo scorso anno la Banca Mondiale in un suo report ha messo nero su bianco che entro il 2050 saranno 140 milioni le persone che per colpa dei cambiamenti climatici dovranno lasciare le proprie case. Veri e propri sfollati che dall’Africa sub sahariana, dall’Asia e dall’America Latina per colpa di carestie si muoveranno andando a incrementare sensibilmente la possibilità di conflitti. Una ondata inimmaginabile di migranti climatici che si muoveranno verso i paesi cosiddetti ricchi. Di fatto arriveranno alle nostre porte e cosa dovremmo fare? Costruire muri per non farli passare? Come gestiremo questa situazione? Di fatto arriveremo, o forse lo siamo già, a un regime di apartheid climatica.
Ecco perché tra le prerogative di Extinction Rebellion c’è quella di non far pagare i costi di questa crisi climatica alle fasce più deboli. Vogliamo che le decisioni vengano prese dal basso con l’aiuto di scienziati. Noi non chiediamo di superare i governi nella scelta delle soluzioni ma siamo a favore di un cambiamento efficace e immediato affiancando l’azione dei governi per scegliere assieme le azioni da mettere in campo, così da non lasciare nessuno indietro. Perché c’è il rischio concreto che si trovino soluzioni, forse efficaci, ma a solo uso e consumo delle fasce più ricche della popolazione.
Chiedo agli attivisti e alla gente comune - conclude Gianluca - di scendere in piazza e in maniera non violenta per questo, non necessariamente al fianco di Extinction Rebellion, ma al fianco del pianeta Terra e dei più deboli. Perché il rischio che collassi tutto è reale.