La plastic tax è legge: il commento di CONAI
La plastic tax è stata appena approvata alla Camera nella sua versione definitiva con importo di 45 centesimi al chilo (esentati i quantitativi di plastica riciclata e i manufatti in plastica biodegradabile compostabile). Intervista di Eco dalle Città al presidente CONAI, Giorgio Quagliuolo
24 December, 2019
La plastic tax è stata appena approvata alla Camera nella sua versione definitiva con importo di 45 centesimi al chilo (esentati i quantitativi di plastica riciclata e i manufatti in plastica biodegradabile compostabile). A livello comunitario, inoltre, esiste una proposta simile con un'entità maggiore italiana. Qual è il suo punto di vista su questa misura?
Non solo come presidente di CONAI, ma soprattutto a livello personale credo si tratti di una tassa ingiustificata. Parliamo di un valore di 450 euro per ogni tonnellata di plastica quando la materia prima ne costa 800. Trovo questa tassa poco sensata sia in termini numerici, visti gli importi, sia in termini “filosofici”: grava su prodotti, come gli imballaggi, che sono già sottoposti a un contributo ambientale, applicato per far sì che chi li immette sul mercato paghi per gestire l'impatto ambientale del loro fine vita. Per questo non c'è motivo per tassarli ulteriormente. È una misura pensata essenzialmente per fare cassa. La proposta europea non è molto diversa: nasce con lo stesso scopo. In quel caso ammonterebbe addirittura a 800 euro a tonnellata: lo stesso valore della materia prima! Siamo di fronte a una logica di tassazione che non ha nulla a che vedere con una misura di carattere ambientale. L’ambiente non si tutela tassando un prodotto in questo modo.
La plastic tax non potrebbe indurre i produttori ad orientarsi verso imballaggi ancora più leggeri e favorire l'utilizzo di polimeri riciclati laddove possibile?
È un tema più complesso di quanto si immagini. Premetto che credo avrebbe avuto più senso esentare dal pagamento della tassa le plastiche riciclabili, non quelle ottenute da plastica riciclata. Perché una domanda sorge spontanea: chi va a controllare il quantitativo di riciclato usato per produrre un imballaggio? Prendiamo una bottiglia di PET: non è possibile distinguerne una che contiene il 25-30% di riciclato da una fatta interamente con materia prima vergine. Il rischio cui andiamo incontro è quello di avere sul mercato un prodotto presentato come ottenuto con materia riciclata, ma senza poter controllare che sia effettivamente così. Vogliamo parlare di riduzione di peso, ossia della cosiddetta “sgrammatura”? Avviene già. Non solo per il vantaggio ambientale che porta con sé, ma anche per una questione squisitamente economica: se si può impiegare meno plastica, si spende meno. Un uso inferiore di materia prima significa infatti minori costi. Non serviva certo una nuova tassa: è un fenomeno che si stava già verificando motu proprio.
Ci saranno conseguenze per le aziende del settore?
La plastic tax metterà sicuramente in difficoltà molte aziende. Non solo da un punto vista economico, ma anche da un punto di vista finanziario, se consideriamo che la materia prima normalmente incide per il 70% sui costi di un'azienda che fa trasformazione di plastica. Se il costo della materia prima aumenta del 50%, la conseguenza diretta sarà rappresentata da un aumento del 35% della sua esposizione finanziaria: le aziende che non hanno grandi riserve finanziarie dovranno andare alla ricerca di credito. Ma le banche oggi non sono certo entusiaste di prestare soldi a chi fa plastica. Anche per questo stiamo parlando di una misura che rischia di mettere in ginocchio un settore in cui l'Italia è ai primi posti in Europa.
Saranno avvantaggiate le bioplastiche?
Le bioplastiche non hanno la possibilità di sostituire tutte le applicazioni che oggi vengono soddisfatte dalle plastiche tradizionali. Non hanno caratteristiche tecnico-meccaniche elevate, dobbiamo ricordarlo: laddove si rende necessario un imballaggio complesso, con determinate prestazioni, la bioplastica spesso non si rivela adeguata. Forse in futuro non sarà così ma, allo stato delle tecnologie attuali, questa è la situazione. Pensiamo poi ai quantitativi: ogni anno vengono immessi sul mercato 2 milioni e 300 mila tonnellate di imballaggi in plastica, mentre la produzione di bioplastica raggiunge al massimo le 150 mila tonnellate. Anche per questo la bioplastica, che pur offre alcune soluzioni utili, non può sostituire tutte le applicazioni soddisfatte oggi dalla plastica tradizionale. Credo che, in ogni caso, occorra maggiore onestà intellettuale. Il sentire comune oggi pensa alla bioplastica come a qualcosa che può dissolversi naturalmente nell’ambiente: un imballaggio in bioplastica, però, se finisce in mare può sì degradare più velocemente di un imballaggio in plastica, ma non sparisce certo in due giorni. E nemmeno in due mesi.
A breve potrebbe nascere il nuovo consorzio dedicato ai manufatti in plastica biodegradabile compostabile nell'ambito del sistema Conai...
C’è solo una piccola riflessione che vorrei fare, prima di rispondere. Una riflessione che prende forma in una domanda molto semplice: la bioplastica è davvero un materiale diverso dalla plastica? Ce lo chiediamo perché la catena polimerica è la stessa. L’unica differenza è rappresentata dall'origine della materia prima: una è ottenuta da fonti rinnovabili, l’altra invece dal petrolio. In ogni caso, noi di CONAI guardiamo a questa iniziativa con curiosità e imparzialità assoluta: attendiamo le decisioni del Ministero.