Raee. Arienti: ‘C’è un margine di crescita enorme ma lo Stato deve fare la sua parte. Urgente recepire la direttiva sull’economia circolare’
Intervista a Giorgio Arienti direttore generale di Ecodom sul mondo dei Raee e sul futuro del settore del recupero dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche
09 January, 2020
La raccolta dei Raee nel 2019 ha subito una crescita che fa ben sperare per il futuro, Dimostrazione di questo sono i dati diffusi dal Consorzio Ecodom a inizio anno. Per capirne di più sulla gestione dei Raee e per avere uno sguardo più chiaro sul settore del recupero delle apparecchiature elettriche ed elettroniche, abbiamo intervistato Giorgio Arienti direttore generale di Ecodom.
Nel 2019 i dati relativi ai Raee intercettati da Ecodom sono molto positivi, cosa è successo?
Ci sono due fattori che hanno permesso questa performance. Probabilmente il primo è dato dal fatto che gli italiani hanno capito che i Raee vanno gestiti in maniera differenziata, e dai dati emerge che questo sta diventando una vera e propria abitudine. Una buona abitudine direi. Il merito non è del consorzio ma dei cittadini che fanno una raccolta più attenta su questa tipologia di rifiuti. In particolare questo vale sui piccoli rifiuti che normalmente vengono gettati nel sacco nero.
Il secondo fattore che ha permesso questo risultato è meno virtuoso. Molto spesso i Raee vengono intercettati da soggetti che non sono i consorzi ma soggetti interessati a guadagnare pochi euro dai Raee. Chiamiamoli rottamai, ovvero soggetti che cercano di ricavare piccole quantità di ferro, rame o alluminio dalle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Quando il valore delle materie prime cala, questi soggetti fanno un passo indietro e sono meno interessati a intercettare i Raee e quindi, come è successo nel 2019 quando il valore delle materie prime è sceso, più Raee arrivano ai consorzi.
Inoltre, ed è bene sottolinearlo, nel settore dei Raee c’è un margine di crescita enorme, Oggi i Raee che vengono intercettati da Ecodom e dagli altri consorzi sono circa un terzo del totale. Parliamo del totale stimato dei Raee generati, ovvero quelli che escono dalle nostre case. C’è un potenziale enorme. Noi potremmo raccogliere tre volte tanto. Il 16% è un buon risultato ma non mi sarei stupito di leggere anche un più 50%. Quello che si perde è perché viene recuperato dai rottamai, o lo si butta nel sacco nero, oppure rimane nelle nostre cantine, o ancora viene ceduto come se fosse materiale usato per poi finire in Asia o Africa.
La qualità dipende totalmente da noi, da Ecodom e dagli altri consorzi, perché ciascuno dei consorzi sceglie i propri fornitori di trattamento e fa in modo che chi fa il riciclo dei Raee lo faccia per bene. Quindi la qualità è molto elevata. Per quanto riguarda Ecodom parliamo di un riciclo in peso di circa l’89%, un dato molto superiore ai limiti stabili dalla legge. Da questi Raee ricaviamo ferro, alluminio, rame, plastica ma anche cemento, legno e altri materiali in quantità rilevanti. Questo significa che dal punto di vista ambientale il beneficio è enorme, perché riciclare i Raee comporta un dispendio energetico inferiore all’energia necessaria per estrarre una quantità di materie prime equivalente dalle miniere. Abbiamo stimato che il corretto riciclo di queste 122 mila tonnellate di Raee ha permesso nel 2019 un risparmio di oltre 150 milioni di Kw/h, pari al consumo domestico annuo di una città di oltre 140 mila abitanti.
Non solo un risparmio energetico significativo ma anche una riduzione delle emissioni di CO2. Abbiamo fatto una analisi tra il totale degli impatti in termini di CO2 generati dalla filiera di Ecodom e quelli di una ipotetica filiera in cui Ecodom non esiste e i Raee vengono gestiti male da soggetti che non si curano della qualità. La differenza tra questi due impatti è circa 850 mila tonnellate di CO2 equivalente. In pratica la stessa anidride carbonica che riesce ad assorbire in un anno un bosco di 800 km2.
Se vogliamo rimanere in tema della qualità un altro elemento è la puntualità del ritiro dalle isole ecologiche. Su oltre 50 mila ritiri fatti in tutta Italia nel 2019, nel 99,6% delle volte siamo arrivati puntali. Rispettando di fatto i tempi stabiliti con l’Anci.
In una nota stampa di qualche giorno fa lei lamentava una carenza legislativa per il settore. A cosa si riferiva?
Da un lato siamo in attesa che venga emanato un decreto fondamentale sulla qualità del trattamento. Decreto che aspettiamo dal 2014 e che, speriamo, costringa tutti coloro che trattano i Raee ad adottare i nostri alti standard di qualità. Così facendo da un lato si hanno enormi vantaggi dal punto di vista ambientale e dall’altro, quello economico, porre un freno alla concorrenza sleale. Chi oggi tratta i Raee in modo non corretto dal punto di vista ambientale fa una concorrenza spietata e sleale agli impianti che adottano standard di qualità elevati. Bisogna metter tutti sullo stesso piano. Aspettiamo questo decreto dal 2014 e noi chiediamo al ministero il perché di questa attesa.
In parallelo mancano adeguati controlli. Come detto prima se i due terzi dei Raee prendono strade non virtuose, se ci fossero più controlli forse qualcosa in meno finisce nelle mani sbagliate. Però i controlli van fatti sul campo, bisogna andare dai rottamai, nei porti, bisogna andare a vedere se ci sono Raee dove non dovrebbero esserci.
Rimaniamo in campo legislativo, dal suo punto di vista il sistema Italia come è messo in merito alla direttiva europea 2012/19 sui Raee?
Rispetto ai target di raccolta stiamo messi maluccio. Nel senso che oggi l’Italia, in termini di raccolta dei Raee, è vicina al 50% dell’immesso sul mercato ma dovrebbe arrivare al 65%. L’obiettivo era fissato al 2019 e quindi non ci siamo.
Quali sono gli obiettivi per il 2020?
Sempre quello di recuperare il 65% dell’immesso sul mercato e siamo certi che se non succede qualcosa dal punto di vista del legislatore e dello Stato l’obiettivo verrà disatteso. C’è bisogno di più controllo e diminuire il numero degli operatori che possono mettere le mani sui Raee. Però dal punto di vista normativo c’è una occasione ovvero il recepimento delle nuove direttive europee, quelle sull’economia circolare che riguardano anche i Raee. Lo Stato italiano deve recepirle il prima possibile perché sono una occasione per disegnare meglio il sistema Raee. Il termine ultimo è luglio 2020, sono già passati 18 mesi da quando sono state emanate le direttive e in tutto questo tempo non è stato fatto nulla. La nostra preoccupazione è che lo Stato non riesca a fare in sei mesi quello che non ha fatto in 18. Non bisogna perdere questa occasione.
Rimaniamo sulla direttiva europea per l’economia circolare che individua il riuso come uno dei pilasti per la futura programmazione. Dal vostro punto di vista il riuso è un valore aggiunto o meno?
Il riuso è una ottima possibilità per estendere la vita delle apparecchiature e ridurre l’impatto delle nuove apparecchiature sul consumo dei materiali, ovviamente a patto che si rispettino due vincoli. Sui Raee i vincoli non sono facili da rispettare. Il primo è che l’impatto lungo tutto il ciclo di vita sia effettivo e minore. Per esempio se io ricondiziono un frigorifero vecchio di dieci anni e allungo la sua vita di quattro o cinque, questo frigorifero consumerà durante l’esercizio probabilmente il 70% in più rispetto a uno nuovo perché non è in classe A++ ma in classe E o F. In questo modo l’impatto globale del ciclo di vita di un frigorifero è devastante dal punto di vista ambientale,andando a consumare tanta elettricità prodotta con fonti fossili in un paese come l’Italia.
Il secondo vincolo è legato alla sicurezza, nel senso che quella fase che la legge chiama come ‘preparazione al riutilizzo dei Raee’ deve essere fatta con molta cura. Bisogna garantire che ci siano dei soggetti qualificati che fanno questo. Un frigorifero è differente da una bicicletta, funziona con la corrente e quindi c’è bisogno di qualcuno qualificato che lo esamini prima di metterlo sul mercato come prodotto. A parte questo il riuso è una gran bella cosa, molto diffusa all’estero e meno in Italia. Su questo fronte noi partecipiamo a un progetto di ricondizionamento promosso da un nostro socio che si chiama Astelav, per replicare queste attività all’interno del Carcere di Bollate. Tra un anno spero di poterle dire che c’è una attività di preparazione al riutilizzo dei Raee all’interno del laboratorio del carcere, nel quale già oggi facciamo attività di riciclo. Il riuso è una ottima attività da tutti i punti di vista, in primis quello ambientale.
Sempre di più si parla di un intervento del legislatore su possibili fenomeni legati all’obsolescenza programmata da parte delle aziende, questo fenomeno incide sull’attività dei consorzi che lavorano con i Raee?
Credo che se ci fossero veri fenomeni di obsolescenza programmata andrebbero bastonati selvaggiamente e mi scusi l’espressione. Parliamo di una scorrettezza clamorosa. Un produttore non può prendere in giro il consumatore vendendo un prodotto che si guasta a tempo. Spero che nessuna azienda lo faccia realmente.
Quello che invece vale la pena di dire è che qualunque normativa vada fatta sui prodotti, dall’ecodesign alla modulazione degli ecocontributi Raee in funzione di quanto un prodotto è riciclabile o freni all’obsolescenza programmata, se vuole essere efficace deve essere perlomeno a livello europeo. Questo perché oggi i produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche producono per i vari mercati nazionali. Fare normative nazionali su temi di rilevanza ambientale sapendo che vanno a regolamentare l’azione di produttori mondiali non ha senso, bisogna fare normative omogenee a livello perlomeno europeo.
Per esempio se prendiamo la norma tutta italiana sulla modulazione dei contributi Raee in vigore da qualche anno, sa quanti produttori si son dati da fare per avere dallo Stato italiano la possibilità di ridurre gli ecocontributi Raee? Zero. Perché non possono fare prodotti solo per l’Italia e quindi è una legge che non ha efficacia.