Che futuro per il settore del riciclo? Situazione, criticità, prospettive. Colloquio con Enzo Favoino | Prima parte
Sono sempre maggiori gli allarmi sulla crisi del mercato della carta da macero, che si associano a quelli sul riciclo della plastica dopo la famosa stretta cinese. Gli operatori chiedono un tavolo tecnico di confronto tra Istituzioni e piattaforme "al fine di scongiurare il rischio di blocco delle raccolte differenziate". Ne abbiamo parlato con Enzo Favoino, Coordinatore Scientifico di Zero Waste Europe
16 February, 2020
Negli ultimi mesi sono sempre maggiori gli allarmi lanciati dagli addetti ai lavori, in Italia e in Europa, sulla crisi del mercato della carta da macero, che si associano a quelli sul riciclo della plastica dovuti alla famosa stretta cinese del 1° gennaio 2018. Nel nostro paese alcuni operatori del settore chiedono "al Ministro dell’Ambiente l’istituzione urgente di un Tavolo tecnico di confronto tra Istituzioni e piattaforme del riciclo, al fine di scongiurare il concreto e diffuso rischio di blocco delle raccolte differenziate". Una situazione che ha spinto alcuni attori in campo a mettere in discussione il sistema del riciclo e il paradigma dell'economia circolare, proponendo in alcuni casi un ritorno allo smaltimento dei rifiuti.
Ne abbiamo parlato con Enzo Favoino, della Scuola Agraria del Parco di Monza, e Coordinatore Scientifico di Zero Waste Europe. In questo primo intervento, vengono anticipate alcune valutazioni sulla dimensione globale del problema. Successivamente, verranno esaminate le tendenze in atto a livello UE, gli effetti indotti dalle politiche di settore, e come raccordarsi armonicamente con le stesse.
Favoino che momento sta vivendo il settore del riciclo alla luce dei divieti all’export di carta e plastica?
“Come qualunque settore anche quello del riciclo vive in un'economia pienamente globalizzata e quindi può risentire di trend globali e di alcune specificità congiunturali. Le mosse cinesi, e non solo, sia sulla carta che sulla plastica sono una novità importante e di cui tenere conto, ma come è stato giustamente rilevato anche da altri, stiamo parlando di materia di bassa qualità, cioè quella che supera un certo grado di contaminazione. Questa cosa ha messo sotto stress le filiere del riciclo per quei quantitativi di bassa qualità che venivano esportati verso l'estero, che a quanto ci risulta anche dai report internazionali ufficiali però non sono la prevalenza”.
Di che numeri si parla?
“Un recente rapporto europeo specificava ad esempio che le esportazioni di plastica dall'Italia erano dell’ordine delle 100 mila tonnellate all'anno, ridotte poi a 60 mila negli ultimi anni, verosimilmente anche per effetto dei divieti cinesi ed asiatici. Dunque gran parte del tonnellaggio esportato residuo dovrebbe essere rappresentato da polimeri di valore inviati a processi effettivi di riciclo e valorizzazione. Questo su un totale di plastica immessa al consumo di 6 milioni di tonnellate, di cui circa 2,5 milioni sono di plastica da imballaggio, quella oggetto dei meccanismi EPR e dunque dei circuiti di raccolta differenziata, e circa 1 milione sono le tonnellate avviate a riciclo”.
“Il ricorso all’export non è dunque trascurabile e lavoriamo quotidianamente anche con gruppi di lavoro internazionali, perché venga eliminato il fenomeno del 'recupero truffa', ma sulla base di questi dati non si può inferire che sia fondamentale, e che bloccato il flusso dell’export di plastiche di basso valore il sistema nel suo complesso sia al collasso. Certe filiere del riciclo sono certo sotto stress, uno stress congiunturale in attesa dell’adattamento ai nuovi scenari causati dalle mosse cinesi ed asiatiche, ma questa non è una quota prevalente né è una condizione eterna. Richiede adattamenti che, nello spirito della agenda UE, non sono quelli del 'ci vogliono più inceneritori per smaltire gli scarti'. Ci sono soluzioni congiunturali, come opzioni di valorizzazione del plasmix, sostenute dai meccanismi di stimolo al mercato, e soprattutto strutturali, di lungo termine. Queste ultime sono le dinamiche di maggiore interesse, in prospettiva”.
(Le esamineremo nel dettaglio nella seconda parte dell'intervista, anticipiamo solo che l’istituzione di una 'cabina di regia', come chiesto da molti operatori, potrebbe essere un valido strumento per governare la transizione, ndr)
Il problema tuttavia non riguarda solo l'Europa. Come si stanno muovendo fuori dall'UE per far fronte alla situazione?
“Consideriamo ad esempio le contromosse di una delle realtà più avanzate ed ambiziose nelle politiche e pratiche di differenziazione e riciclo, la città di San Francisco. San Francisco è ad oggi sopra l’80% di raccolta differenziata, e non pensa minimamente a riassestarsi su scenari meno ambiziosi, piuttosto il contrario. Non solo la strategia e la pratica Zero Waste va avanti, ma la città vuole incrementarlo aumentando i tassi di riciclo, le strategie di riduzione e quant'altro, come da programma. Un recente programma di facilitatori per ogni stabile intende ad esempio andare ad intercettare ulteriori materiali valorizzabili che attualmente finiscono nel rifiuto residuo. Il tutto, peraltro, in un contesto operativo e regolamentare ben meno favorevole di quello europeo”.
“A San Francisco non hanno aspettato il divieto cinese per sincerarsi delle effettive filiere di recupero, ed avevano mandato loro ispettori a controllare la destinazione effettiva dei flussi verso l’Asia. Per cui avevano già individuato le pratiche di scam recovery, il 'recupero truffa', e avevano rescisso i contratti con gli intermediari meno affidabili. Per affrontare il problema del miglioramento dei flussi di riciclo, avevano già migliorato le proprie capacità di selezione e oggi riescono ad arrivare alla migliore definizione possibile dei vari tipi di polimero e dei vari tipi di carta e cartone avviabili al mercato, minimizzando i materiali di bassa qualità. Va inoltre sottolineato che il sistema nord americano, si basa generalmente su una raccolta rifiuti a tre bidoni: organico, residuo e imballaggi, dunque con questi ultimi raccolti in modalità 'commingled' non tipizzata, e non a cinque come da noi. Questo sistema genera tipicamente materiali di peggiore qualità dei nostri, tanto che diverse città stanno pensando di passare alle raccolte tipizzate, alcune lo hanno già fatto”.
"Condivido perfettamente le ottime
valutazioni di chi ha già sottolineato che la qualità delle
raccolte deve essere una delle determinanti del sistema, assieme alla
quantità. Essendo tra coloro che per primi hanno ad esempio promosso
le raccolte tipizzate e domiciliari, mettendo in risalto le
prestazioni incrementali, per quantità e qualità delle raccolte, rispetto a raccolte multimateriali e/o stradali, questo è sempre
stato un argomento per noi prioritario".