Riciclo chimico: la nuova frontiera del recupero di materia per la plastica
De-polimerizzazione, pirolisi, gassificazione: viaggio nelle tecnologie di riciclo chimico per la plastica. Eco dalle Città intervista Antonio Protopapa, Direttore ricerca e sviluppo COREPLA: "È l'unica opzione per recuperare alcune frazioni di imballaggi che oggi non sono recuperabili. È anche l'unica alternativa che abbiamo alla termovalorizzazione"
19 May, 2020
Giuseppe Iasparra
Partirei chiedendole, anche per chi non conoscesse molto la materia, in cosa consiste il riciclo chimico?
Iniziamo sottolineando un aspetto importante. Il riciclo chimico, nella sua definizione più ampia, si pone innanzitutto come attività di recupero di materia complementare al riciclo meccanico. Non è un'attività sostitutiva, non è alternativa, ma è complementare. Sottolineo questo aspetto perché il riciclo meccanico permette di ottenere con determinati materiali dei risultati che con il riciclo chimico non si possono ottenere: è il caso della bottiglia in PET che permette, attraverso lavorazioni meccaniche, di ottenere delle scaglie che possono tornare ad essere usate per produrre nuove bottiglie.
Si tratta quindi di un recupero di materia ottenuto in maniera diversa rispetto al riciclo meccanico, dove, invece, la materia polimerica rimane intatta nella sua struttura. Nel caso della bottiglia di PET, ad esempio, quando procedo al suo recupero attraverso il riciclo meccanico, la molecola del polimero rimane tale e quale. Nel caso del riciclo chimico, invece, si interviene sulla composizione di quella materia e in parte viene demolita, riducendola in termini di lunghezza della catena polimerica, oppure, nel caso in cui il riciclo arrivi alle condizioni più estreme a livello tecnologico, portandola alle frazioni molecolari di base.
Si tratta quindi, come detto, di un'attività complementare che affianca il riciclo meccanico nel momento in cui le attività tradizionali di recupero di materia non consentono di riciclarlo.
Può essere utilizzato per qualsiasi tipologia di polimero? Può favorire il riciclo delle frazioni eterogenee, più difficili da riciclare meccanicamente?
Vediamo i diversi aspetti. Il riciclo chimico si può applicare su flussi mono-materiale, cioè una composizione che in fase di selezione dei rifiuti di materie plastiche permette di garantire la presenza di un solo polimero. In questo caso parliamo di de-polimerizzazione: il materiale viene sottoposto ad un processo chimico per cui viene riportato al suo stato antecedente la polimerizzazione. Ritorna a quelli che erano i monomeri di partenza: i cosiddetti mattoni con cui quel polimero era stato prodotto.
Prendiamo il caso del polistirolo. Ci sono oggi diverse tecnologie in grado di riportarlo alle dimensioni di stirolo-monomero, quindi alla sua componente di partenza. Attraverso un procedimento chimico, il monomero viene poi avviato agli impianti che lo ritrasformeranno in un prodotto identico a quello di partenza: nuovo polistirolo.
Questo tipo di riciclo chimico è un esempio concreto di quella che viene definita “economia circolare”. Si recupera la materia al suo livello qualitativo più elevato, cosa che non avviene nel riciclo meccanico per via del cosiddetto “downgrading”: non posso utilizzare il prodotto recuperato nelle stesse applicazioni da cui proviene, soprattutto quando si parla di imballaggi nel settore alimentare. Se, invece, uso la depolimerizzazione quel monomero lo faccio diventare nuovamente polimero, lo posso riutilizzare nella produzione di un imballaggio e rimetterlo in circolo esattamente come il prodotto da cui è provenuto.
Se invece di avere un mono-materiale, abbiamo più polimeri messi insieme cosa accade?
La de-polimerizzazione si può fare esclusivamente quando si ha un flusso mono-materiale. Non è possibile farla se si hanno uno o più polimeri messi insieme. Questo perché le condizioni di processo e i catalizzatori da utilizzare non sarebbero idonei: se insieme al polistirolo vi fosse un altro polimero, non riuscirei ad usare questa tecnologia.
Nel caso di miscele eterogenee di prodotti non riciclabili meccanicamente devo utilizzare altre tecnologie di riciclo chimico. E qui si apre un mondo più variegato...
Entriamo pure nel dettaglio per capire meglio anche il tipo di tecnologie e i risultati che si possono ottenere...
Nelle frazioni eterogenee possiamo trovare più materiali mischiati meccanicamente tra loro, come nel caso del residuo delle attività di selezione, oppure frazioni eterogenee iniziali, nel caso di poliaccoppiati di più materiali, i cosiddetti multimateriali (ad.es plastica/carta). In tutti questi casi il riciclo chimico diventa l'unica alternativa al recupero energetico. In questo ambito si sono sviluppate diverse tecnologie. La più comune è il processo della pirolisi.
Si tratta sostanzialmente di una degradazione delle materie plastiche in assenza di ossigeno che attraverso il fenomeno termico rompe le catene dei polimeri e li riduce di dimensioni: questa catene più corte compongono il gas o il liquido che esce dagli impianti di pirolisi. Il risultato di questo processo cambia a seconda della qualità del prodotto che si vuole ottenere, ma anche delle tecnologie di trasformazione: in passato il risultato che si cercava di ottenere era il syngas (gas di sintesi) o un liquido condensato che poteva essere utilizzato come un diesel molto grezzo. Oggi, invece, la strada che stanno seguendo le grandi aziende che operano nel settore della petrolchimica è quella di andare a produrre un prodotto che assomigli il più possibile alla virgin-nafta. Quest'ultima è la materia prima principale usata nel mondo della petrolchimica: si tratta del prodotto da cui si parte per ottenere le materie prime che poi vengono trasformate nei vari polimeri. Dalla virgin-nafta si passa all'etilene, al propilene e così via. Tutti mattoncini che messi insieme servono a formare il polietilene, il polipropilene, etc...
La virgin-nafta normalmente deriva dalle attività di raffineria del petrolio, quindi è di origine fossile. L'idea che si sta cercando di sviluppare attraverso il riciclo chimico è quella di sostituire la virgin-nafta di origine fossile con il prodotto ottenuto dai processi di pirolisi. Questo, inoltre, permetterebbe di chiudere il cerchio delle materie plastiche in maniera analoga a quanto avviene nel mondo degli altri materiali: ricordiamo che la plastica, insieme al legno, è l'unico prodotto che viene riciclato meccanicamente e che mantiene la sua struttura e composizione durante la fase di riciclo. Se andiamo infatti a vedere quello che accade a vetro, ai metalli e alla carta, sono tutti materiali che vengono sostanzialmente distrutti e poi ricostruiti. Questo concetto per la plastica non è mai stato applicato perché non era economicamente sostenibile. Oggi con le nuove conoscenze e una nuova visione, si vuole fare lo stesso anche con le frazioni eterogenee delle materie plastiche, iniziando dagli imballaggi.
Oltre alla pirolisi ci sono altre tecnologie di riciclo chimico per il recupero di frazioni eterogenee?
Un’alternativa importante alla pirolisi è la gassificazione. Si tratta di spingere la trasformazione e la distruzione di quelle catene di cui parlavo prima, alle molecole di base. Arrivare quindi, ad esempio, alla produzione di idrogeno, di ossido di carbonio e anidride carbonica che possono diventare materia prima per nuovi processi. Un caso concreto è il progetto del gruppo Eni, che ha deciso di investire in un impianto di produzione di idrogeno (presso la bioraffineria di Porto Marghera) partendo da frazioni eterogenee di plastica attraverso un processo di gassificazione che permetta la distruzione completa della molecola.
Che grado di sviluppo hanno raggiunto le tecnologie di riciclo chimico e quando si arriverà ad un livello industriale?
Nel caso della de-polimerizzazione le tecnologie sono ormai a livello di impianto industriale. Se invece parliamo di pirolisi, al momento in Europa ci sono pochi impianti che marciano (la maggior parte in Spagna). Purtroppo in Italia non c'è nessun impianto che sia già operativo, anche perché chi ci ha provato si è scontrato con dei vincoli autorizzativi che richiedono molti sforzi per impianti relativamente piccoli. Occorre infatti tenere conto anche delle dimensioni: un impianto di pirolisi è un impianto da 10-15 mila tonnellate/anno. Diverso è il discorso per un impianto di gassificazione che può arrivare a trasformare anche 200 mila tonnellate/anno di materiali.
Oggi l'unico materiale che possiamo considerare venga utilizzato nel riciclo chimico è un prodotto che deriva da una selezione particolare di Corepla che viene usato all'interno delle acciaierie ad altoforno. Si tratta del cosiddetto SRA (Syntetic-Reducing-Agent) che viene prodotto in Italia e venduto ad una acciaieria in Austria.
Guardando al futuro, è possibile prevedere un aumento significativo del recupero di materia grazie all'implementazione di procedimenti di riciclo chimico?
Non abbiamo alternative. Il mio auspicio è che nel giro di 5 anni il settore industriale si sia fortemente adeguato a questa nuova realtà. Sicuramente vedremo nascere molti impianti sia in Italia che in Europa, sperando che le condizioni normative, burocratiche e amministrative ce lo permetteranno.
Per poter raggiungere gli obiettivi di riciclo che ci verranno imposti dalla regolamentazione nazionale ed europea non esiste alternativa al riciclo chimico. È anche l'unica opzione per recuperare alcune frazioni di imballaggi che oggi non sono recuperabili. È l'unica alternativa che abbiamo alla termovalorizzazione.