Più rifiuti per tutti
In Italia crescono molto più del Pil. Anche se tra notevoli difficoltà, si diffondono però le iniziative per tentare di contenerne la produzione. Tra dispenser, raccolta domiciliare e tariffa premiale al posto della tassa, ecco cosa si tenta di fare nel nostro Paese. E che cosa suggeriscono gli ambientalisti - da Ecosportello New del 12.12.2005
13 December, 2005
<b>Alina Lombardo</B>
I consumi calano, i rifiuti (incredibile ma vero) crescono. E non di poco: superando il Pil, nel 2004 in Italia hanno raggiungo i 31,1 milioni di tonnellate, con un aumento del 3,7% sul 2003, l'incremento maggiore degli ultimi anni (nel periodo 2000-2003 l'aumento era stato dell'1,2%). Una crescita, rilevata da Apat e Onr nel "Rapporto rifiuti 2005", per molti inaspettata, per alcuni addirittura "misteriosa", che "potrebbe essere legata - ha commentato il direttore Apat, Giorgio Cesari - alla tendenza ad assimilare nell'ambito dei circuiti di raccolta differenziata sempre più tipologie di rifiuti speciali ai rifiuti urbani". Non è però da escludere che la crescita sia imputabile ad un aumento degli imballaggi. L'ultima parola spetta ad Apat Onr. Lo diranno quando avranno concluso i calcoli anche sulla quota di rifiuti speciali: sarà la rilevazione del loro andamento rispetto al 2003 a confermare una delle due ipotesi. Una cosa è comunque chiara sin da ora: i rifiuti che produciamo sono davvero troppi, facendo allontanare, anziché avvicinare, l'obiettivo nazionale di raccolta differenziata (25% per il 2001), che nel 2004 ha raggiunto il 22,7% (+1,6% sul 2003). A completare il quadro della gestione dei rifiuti in Italia, altri due dati: nel periodo 2000-2004 il Rapporto Apat Onr segnala una riduzione dei rifiuti avviati allo smaltimento in discarica dal 74,4% al 51,9% e una lieve crescita della quota sottoposta ad incenerimento (dall'8,5% del 2000 al 9,7% del 2004).
<b>Parola d'ordine: riduzione </b>
Comunque si voglia leggere, il quadro delineato dai dati che descrivono l'andamento del sistema di gestione dei rifiuti in Italia non è dei migliori. E c'è una voce che brilla per la sua assenza: la prevenzione. In particolare nella sottovoce "riduzione dei rifiuti".
Già, perché "prevenzione", così come la definisce la legge (art. 35, comma 1 D.Lgs 22/1997) deve essere intesa sia in senso quantitativo (riduzione, appunto) sia in senso qualitativo (riduzione della nocività per l'ambiente).
Uno degli organismi a carattere nazionale preposti a redigere piani e progetti per il raggiungimento di quegli obiettivi è il Conai. Lo fa da anni, con impegno e non senza risultati. Tuttavia, si legge nei suoi documenti ufficiali, tra i suoi compiti istituzionali "la prevenzione è l'unico per cui la legge non fissa alcun obiettivo quantitativo da raggiungere". Così, il consorzio ha coniugato "prevenzione" in sei azioni quantitative precise: risparmio di materia prima; riutilizzo; utilizzo di materiale riciclato; ottimizzazione della logistica; facilitazione dell'attività di riciclo; semplificazione del sistema d'imballo. E la riduzione?
<b>L'era del dispenser </b>
"È vero, c'è un grosso e diffuso sforzo di riutilizzo dei materiali di rifiuto raccolti, ma ancora poco è stato fatto per imballare di meno. E anche per imballare meglio c'è ancora da rimboccarsi le maniche", dice Stefano Ciafani della direzione nazionale di Legambiente. "Nel senso che - precisa - si imballa ancora molto più di quanto non sarebbe necessario. E sono ancora numerosi i contenitori polimaterici o che non contengono alcuna indicazione sulla loro composizione. Penso alle vaschette di plastica trasparenti per alimenti, che anche il consumatore più attento, il più delle volte, non sa in quale contenitore riporre". Anche la strada del contributo obbligatorio al Conai sugli imballaggi, evidentemente, si sta rivelando meno efficace di quanto si vorrebbe.
Qual è la soluzione, allora? Il ritorno al vuoto a rendere è sicuramente efficace, ma ormai sembra lontana milioni di anni... "In effetti, lo è - ammette Ciafani - non solo per i rivenditori, soprattutto della grande distribuzione organizzata, ma anche per molti consumatori. Tuttavia, tra il vuoto a rendere e il vuoto a perdere, esistono vie di mezzo praticate con successo in diversi paesi europei". Per esempio? "Si potrebbe ricorrere ad un uso più diffuso della spina per la maggior parte dei liquidi in commercio: bibite e bevande in tutto il settore della ristorazione, i detergenti liquidi per l'igiene della casa e della persona". Fantasie? Al contrario, è quanto vedremo accadere, probabilmente già dai primi mesi del 2006, in Piemonte, dove la giunta regionale sta mettendo a punto un'iniziativa che prevede, oltre all'introduzione di una minitassa sulle bottiglie di plastica per ridurne il consumo, la presenza di grandi dispenser in supermercati e ipermercati dai quali i consumatori potranno "ricaricare" i contenitori di detersivi già in loro possesso. Una scelta, quella piemontese, resa necessaria (guarda un po') dall'aumento, nel 2004, del 2,95% dei rifiuti, nonostante la raccolta differenziata abbia registrato, nello stesso anno, la cifra record del 32,9%.
<b>Ecotassa: occasione mancata? </b>
Tutto qui? Certo che no. A dimostrare che esistono diverse strade valide per superare brillantemente gli obiettivi minimi di raccolta differenziata e contenere la produzione dei rifiuti c'è un lungo elenco di Comuni, Province, enti gestori, associazioni e organismi di vario tipo e genere, pubblici e privati. Si pensi alle amministrazioni locali (ben 757) premiate da Legambiente in "Comuni Ricicloni 2005", o al lungo elenco di esperienze raccolte in "Rifiuti Lab", la banca dati on-line di Federambiente che "raccoglie e registra esperienze a livello locale di prevenzione e riduzione dei rifiuti alla scopo di descrivere che cosa si può fare".
Elenco dal quale, però, emerge anche che man mano che si sale dal livello locale, il numero di buone pratiche si assottiglia: diminuisce quando si passa dai Comuni alle Province, si riduce sensibilmente quando dalla Provincia si passa alla Regione. "Eppure, proprio a livello regionale - lamenta Ciafani - molto potrebbe cambiare nel giro di pochissimo tempo". Il riferimento è al "tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi", meglio noto come ecotassa regionale. Introdotta con la legge 549/1995 per disincentivare la produzione di rifiuti, lo smaltimento in discarica o l'incenerimento in impianti privi di sistemi di recupero energetico, l'ecotassa è un tributo dovuto alla Regione in cui ha sede l'impianto di stoccaggio definitivo. Una quota del 10% del gettito va alla provincia di competenza; il 20% dell'ammontare delle entrate derivanti dall'ecotassa va ad alimentare un apposito "Fondo per investimenti ambientali" da utilizzare, si legge nel testo normativo, "per il finanziamento di: misure finalizzate a favorire la minore produzione di rifiuti e le attività di recupero di materie prime e di energia, con priorità per i soggetti che realizzano sistemi di smaltimento alternativi alle discariche; opere di bonifica dei suoli inquinati, ivi comprese le aree industriali dismesse, il recupero delle aree degradate; progetti di intervento delle Agenzie Regionali per la Protezione dell'Ambiente finalizzati all'istituzione e alla manutenzione delle aree naturali protette".
"Ma sono davvero poche le Regioni e le Province che ne fanno l'uso prescritto dalla legge - dice Ciafani - spesso quei soldi sono impiegati per tappare buchi di bilancio di voci in deficit cronico come la sanità. Là dove, invece, le cose sono andate come dovrebbero i risultati non si sono fatti attendere. È il caso della Provincia di Torino, per esempio, che ha vincolato la sua parte di ecotassa a finanziare quei Comuni che vogliono convertire il sistema della raccolta differenziata in raccolta domiciliare, pagandogli l'extra costo per il primo anno. Molti Comuni, ovviamente, non si sono lasciati sfuggire l'occasione".
Anche il Veneto offre un esempio di buon utilizzo dell'ecotassa. Con la legge regionale n. 3/2000 ha introdotto un'incidenza del tributo inversamente proporzionale ai livelli di raccolta differenziata raggiunti dai Comuni. Scelta che ha portato Consorzi e Comuni ad orientarsi verso modelli di gestione integrata dei rifiuti con l'introduzione della raccolta differenziata secco - umido e della raccolta domiciliare, spesso accompagnati dall'introduzione del sistema tariffario. Risultato: negli ultimi anni il Veneto ha stabilizzato la produzione pro capite di rifiuti ad un livello molto inferiore alla media nazionale e del nord Italia (introrno ai 477 kg/ab/a contro gli oltre 600 della produzione nazionale).
<b>Raccolte domiciliari e tariffazioni puntuali le carte vincenti </b>
Ricapitolando, dunque, quali sono le priorità per una prevenzione seria ed efficace? "Un forte contenimento, e in alcuni casi una riduzione nella produzione di rifiuti - risponde Ciafani - si registra dove si converte la raccolta differenziata del cassonetto in strada in raccolta domiciliare. Ottimi risultati si stanno registrando anche nei Comuni, al momento solo 747, meno del 10%, che hanno abbandonato la tassa sui rifiuti in favore della cosiddetta tariffa puntuale: far pagare alla gente quote differenziate e proporzionate alla quantità di rifiuti effettivamente prodotti è certamente un buon incentivo a valutare meglio cosa e quanto buttare nel secchio della spazzatura".
Anche il governo nazionale, poi, deve fare la sua parte, conclude Ciafani, "utilizzando tutti gli strumenti fiscali possibili per incoraggiare l'innovazione tecnologica per stimolare e rendere economicamente vantaggioso lo sviluppo di materiali e prodotti che possano essere usati e riusati e con il minor impatto ambientale possibile".
<b>La promessa dell'ecodesign</b>
E l'ecodesign? Quanto può fare in termini di prevenzione la progettazione il design ambientale per prodotti e servizi? "Molto" risponde lapidario Ciafani. "Moltissimo" aggiunge altrettanto deciso Marco Capellini, architetto, fondatore nel 1995 di Capellini design e consulting, uno tra i primi studi professionali ad occuparsi in Italia di ecodesign. "Con l'applicazione di strategie di ecodesign - aggiunge Capellini - vengono progettati prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale per rispondere alle nuove esigenze di mercato e alle normative di settore". Esigenze che, con l'entrata in vigore della normativa (il Dm 203/2003) sull'obbligo per la pubblica amministrazione di acquistare prodotti "verdi" nella misura del 30%, stanno rapidamente aumentando, aprendo nuove e interessanti opportunità per le imprese. Certo, è la conferma che la coscienza ambientale deve sempre essere un po' incentivata o resa obbligatoria per legge, "ma è anche vero - precisa Capellini - che sono molte le amministrazioni che stanno applicando la legge innalzando volontariamente quella quota e intraprendendo una serie di iniziative a sostegno delle imprese che vogliono lanciarsi nel nuovo mercato dei prodotti verdi". La Lombardia, per esempio, dove la percentuale è stata innalzata al 35%, per contribuire al raggiungimento dell'obiettivo, ha deciso di realizzare "Ecotool" uno strumento on-line gratuito a disposizione di tutte le imprese, soprattutto medie e piccole, che vogliono avvicinarsi all'ecodesign e all'uso dei materiali riciclati o che vogliono sviluppare produzioni che utilizzano materiale riciclato. Ecotool, lanciato proprio in questi giorni (attivo dal 16 dicembre sul sito www.ecotool.it), permette di consultare tutta la normativa vigente in materia di "green public procurement", di ottenere informazioni sui materiali riciclati e sull'ecodesign, di verificare le possibilità di miglioramento del prodotto durante la progettazione. "In pratica - spiega Capellini - partendo dalle caratteristiche di un determinato bene che un'azienda produce, Ecotool consente di valutare, passo dopo passo, quante e quali modifiche si possono inserire per migliorarne la sostenibilità ambientale. Il programma Ecotool, infatti, permette di individuare tutti i cambiamenti produttivi necessari a modificare un prodotto in modo che questo abbia un impatto sempre minore sull'ambiente, mantenendo le sue caratteristiche di funzionalità".
Non sono solo le grandi aziende, dunque, a prestare attenzione a quanto l'ecodesign può offrire. "Assolutamente no - conclude Capellini - stiamo perfezionando la firma di un protocollo con la Confapi proprio per arrivare in casa delle piccole aziende per fornire informazione, formazione, azione". In una parola: prevenzione.