All'Associazione Gabriele Bortolozzo il Premio Internazionale Alexander Langer 2003
Il Comitato scientifico e di Garanzia della Fondazione Alexander Langer
30 June, 2003
Il Comitato scientifico e di Garanzia della Fondazione Alexander Langer, composto da Renzo Imbeni (presidente), Gianni Tamino (Vicepresidente), Anna Bravo (relatrice), Ursula Apitzsch, Patrizia Failli, Annamaria Gentili, Liliana Cori, Pinuccia Montanari, Margit Pieber, Alessandra Zendron, ha deciso di attribuire il premio Internazionale "Alexander Langer" 2003, dotato di 10.000 Euro, alla memoria di Gabriele Bortolozzo per tramite dell'associazione che porta il suo nome. E' difficile immaginare una lotta più solitaria e pionieristica di quella che Gabriele Bortolozzo, operaio al Petrolchimico di Porto Marghera, inizia nei primi anni settanta contro l'uso nello stabilimento del cloruro di vinile monomero (Cvm). All'epoca il sindacato locale è concentrato sul tema della difesa del posto di lavoro, la sensibilità ecologista è minoritaria, gli organismi preposti al controllo della nocività e la magistratura sono sordi alla questione Cvm. Si sa poco e non si fa niente per sapere, con il risultato che nel corso degli anni si arriverà a 260 vittime (157 operai morti e 103 ammalati) e alla devastazione della laguna. Nel 1973, subito dopo aver saputo che l'Oms ha riconosciuto gli effetti cancerogeni del Cvm, Gabriele Bortolozzo dà il via a un lungo scontro con il colosso chimico. Non accetta di farsi visitare nell'infermeria di fabbrica precisando di non fidarsene; protesta perché agli operai ammalati si fanno mancare le cure; di anno in anno accumula esposti e denunce sulla nocività nei reparti e sull'inquinamento ambientale, e si impegna per promuovere una campagna di opinione contro lo scarico nel mare Adriatico dei fanghi Montedison. E' il primo operaio in Italia a dichiararsi obiettore di coscienza alle produzioni nocive e a rifiutarsi pubblicamente di lavorare nei reparti del Cvm, tra i primi a sollevare il problema dello smaltimento e occultamento all'estero dei residui tossici delle lavorazioni. Nel frattempo svolge una inchiesta capillare per censire le vittime del Cvm. Parte dalle persone che conosce, e seguendo i fili delle relazioni allarga il campo di ricerca; forte della sua conoscenza del ciclo produttivo, mette insieme liste di nomi reparto per reparto, raccoglie le schede mediche, parla con gli ammalati e con le vedove; un passo dopo l'altro, una notizia dopo l'altra, scopre i casi e li cataloga. A questo lavoro da detective accompagna lo studio. Si procura tutti i dati disponibili della Montedison, dell'Oms, di fabbriche simili all'estero, esamina i risultati e a volte li corregge e li integra, dove c'era il vuoto fa nascere un patrimonio di conoscenza. E diventa, prima di qualsiasi medico, magistrato o specialista, il vero esperto della nocività del Cvm. La risposta aziendale è una serie ininterrotta di soprusi, fino all'isolamento in un reparto confino. Ha dalla sua parte la Commissione Ambiente del Consiglio di Fabbrica, ma il sindacato nel suo complesso non lo sostiene. Negli anni novanta Bortolozzo è meno solo. Sull'onda della crescente attenzione ecologista e quindi anche dell'interesse per i suoi dossier su problemi di inquinamento, viene invitato a convegni e dibattiti, e va a parlare in alcune scuole, l'attività che gli sta più a cuore. Stringe rapporti con Medicina Democratica, e nel 1994 pubblica sulla rivista del gruppo un dossier sulle morti e malattie da Cvm al Petrolchimico; nello stesso anno presenta al Pubblico Ministero di Venezia Felice Casson un esposto che sarà la base delle indagini per il processo contro i dirigenti Montedison ed Enichem iniziato nel '98 e conclusosi con una generale assoluzione nel 2001, ma con una forte crescita di consapevolezza sulla necessità di costruire strumenti di tutela dei cittadini e dei lavoratori dai danni ambientali. Questa è una storia importante, lungo la quale Bortolozzo sceglie costantemente di fare da ponte fra diritti/bisogni spesso contrapposti, come quello di avere un lavoro e quello di preservare salute e ambiente. Ma non è tutta la sua vita. Lontanissimo dal "lavorismo" tanto diffuso nel movimento operaio, Bortolozzo è un uomo che si dedica ai figli e ai rapporti umani, un uomo attento al bello, alle piccole cose, al privato, al "superfluo", che per sé e per gli altri vuole il pane, ma anche le rose; che spende tempo e energie per approfondire la conoscenza del territorio, dei fiumi, della flora, della fauna, e sa distinguere centinaia di uccelli dal canto e ricostruire gli itinerari veneti di Hemingway. Il pensionamento dà più spazio a queste passioni. Studia, organizza per amici e scononosciuti gite ciclo-botaniche nei dintorni della sua casa, e escursioni a tema su un artista o sull'architettura di un dato periodo storico, per esempio le ville del Terraglio e della riviera del Brenta, i paesini costruiti intorno al fiume o al canale; pensando soprattutto ai più giovani, fornisce schede e materiali informativi. Sono aspetti e modi di vita che rivelano una concezione della mascolinità rinnovata e aperta, in cui la pensione è una gioia anziché una crisi da perdita di ruolo, e un ideale educativo fondato sulla condivisione delle esperienze, sul fare (ancora una volta) da ponte fra persone, temi, punti di vista. Gabriele Bortolozzo muore il 12-9-1995 a Mogliano Veneto, investito mentre pedalava sulla amata bicicletta. L'Associazione a lui dedicata, creata dai suoi figli Betarice e Gianluca con altri amici e estimatori, è impegnata per la salvaguardia del patrimonio culturale e ambientale del territorio veneto. Ha partecipato al processo contro l'Enichem, creato due borse di studio, sviluppato un sito Internet per divulgare la propria attività e costituire una biblioteca telematica. Ha pubblicato, postumo, il libro di Gabriele Bortolozzo L'erba ha voglia di vita, l'inchiesta "Terra, Aria, Acqua, Valutazione o Svendita", il volume "Processo a Marghera". Di fronte all'urgenza di "globalizzare" il diritto al lavoro e insieme la tutela della vita umana animale e ambientale, di fronte alla deriva efficientista che divora il tempo e schiaccia la soggettività e di fronte al rischio di un azzeramento della memoria operaia, la Fondazione Alexander Langer Stiftung vede in Gabriele Bortolozzo una preziosa figura di riferimento e nella Associazione una garanzia per la continuazione dei suoi studi, del suo lavoro e della sua visione del mondo. Il presidente della Fondazione Helmuth Moroder Il presidente del Comitato Scientifico Renzo Imbeni