Delocalizzazione e diritti dei lavoratori nel Nord e nel Sud del mondo.
Il ruolo del sindacato come "ponte" e garanzia tra sviluppo e sostenibilità. "Rimettiamo il lavoro e la vita al centro dell'economia".
03 April, 2006
<i>Comunicati stampa Terra Futura
Firenze, 1 aprile 2006 </i>• Il libero commercio e la globalizzazione dei mercati e dell’economia permettono oggi alle imprese transnazionali di muoversi senza vincoli a livello mondiale. Una possibilità che sta però accelerando in maniera spaventosa la corsa verso il fondo in materia di tutela ambientale, sociale e dei diritti dei lavoratori.
La delocalizzazione di tante imprese significa sovente scarse tutele per i lavoratori, stipendi più bassi, minori diritti. Le Istituzioni sindacali sono chiamate a confrontarsi con questa realtà per riportare i diritti sociali e dei lavoratori e la tutela ambientale al centro delle scelte della politica.
Forte dunque anche il ruolo del sindacato, accanto agli altri attori presenti a Terra Futura, mostra convegno delle buone pratiche di sostenibilità (Firenze, Fortezza da Basso) in questo percorso di costruzione di un modello socioeconomico più equo. Perché sostenibilità vuol dire coniugare l’idea dello sviluppo con i temi della tutela ambientale e della giustizia sociale.
Pierpaolo Baretta, segretario confederale CISL, ha detto: «Questo cambiamento grandissimo interroga il sindacato, le associazioni, la politica. E il ruolo del sindacato è importante perché sta dentro ai processi di cambiamento e di difesa della gente. La leva fondamentale di impegno, anche per cambiare le regole del gioco della nostra economia, è riportare la persona al centro nei processi produttivi ed economici. Si tratta di una necessità, non più solo di un’opzione valoriale. Il nostro ruolo diventa centrale perché il sindacato è proprio sul punto di confine tra l’esigenza di assicurare alle imprese sviluppo e competitività». «Occorre continuare insieme il percorso nato intorno al progetto Terra Futura – ha continuato - e farne appunto una piattaforma comune, per non moltiplicare inutilmente i progetti, ma sostenerne invece di unitari e condivisi; per fare insieme pressione forte sul governo affinché abbia un atteggiamento diverso sulle clausole sociali e sul WTO».
Va anche rafforzato il ruolo del sindacato internazionale, ha sottolineato Baretta, ma ci vuole pure un nuovo ruolo delle istituzioni internazionali: solo così si potranno garantire i diritti dei lavoratori anche nel Sud del mondo.
E sul tema del rapporto tra sviluppo e uso delle risorse Renzo Bellini, segretario confederale CISL, Sviluppo sostenibile e politiche ambientali, ha evidenziato: «La popolazione mondiale cresce di 80 milioni di persone l’anno. Le risorse naturali nel prossimo secolo si ridurranno del 60%. È chiaro quale sarà il futuro del mondo. Allora la sfida fondamentale non è solo quella di riuscire a far sì che lo sviluppo avvenga puntando sulla produttività del lavoro. Cosa importante ma l’elemento dirimente sarà la produttività delle risorse naturali se vogliamo promuovere un mondo più giusto e può equo, perché dobbiamo garantire che anche i paesi in via di sviluppo possano accedere a una quantità di risorse per rispondere alle loro esigenze di natura sociale. Ma uno sviluppo sostenibile vuol dire anche consegnare le risorse anche alle future generazioni. Non c’è sviluppo senza energia, è evidente. Ma se continuiamo a produrre energia col petrolio le conseguenze ormai si conoscono (in termini di inquinamento, conflitti…): bisogna puntare alle energie rinnovabili».
Presente a Terra Futura anche un membro del sindacato cinese, Cai Chongguo, a raccontare l’altra faccia della medaglia dell’esponenziale crescita economica del suo Paese, che va dai disastri ambientali alle violazioni dei diritti. «Nei paesi occidentali in questo periodo si parla molto della nostra crescita, ma la maggior parte dei cinesi non ne trae vantaggio. La situazione è pesante per i lavoratori e numerosi sindacalisti manifestanti sono stati imprigionati quando anno cercato di rivendicare i loro diritti. Molte imprese francesi e occidentali investono in Cina per il basso costo della manodopera e perché lì sono proibiti i sindacati. Per questo chiediamo aiuto alle organizzazioni sindacali internazionali, perché sostengano i lavoratori cinesi. Bisognerebbe che la stampa occidentale, estera, desse notizia di tutte le manifestazioni che si fanno in Cina e di tutti i morti delle nostre miniere. Più si farà informazione su questo, più si farà pressione sulle autorità. Dietro lo sviluppo della Cina ci sono tante vite nella precarietà e nessuna tutela dei diritti, anche di quelli dei lavoratori che stanno producendo questo sviluppo. È vero che in Cina i ricchi sono più numerosi, ma la povertà in realtà non è diminuita. E le disuguaglianze sono più forti che in America».
<i>Firenze, 1 aprile 2006</i> • Sono quelle della tutela della biodiversità e della tutela dell’acqua le sfide lanciate a Terra Futura da Vandana Shiva, direttore Fondazione di Ricerca per la Scienza, Tecnologia, ed Ecologia «Solo mantenendo queste risorse pubbliche, considerandole beni comuni è possibile garantire la salvezza e la salvaguardia del pianeta e della popolazione che ci vive».
Shiva apre denunciando, instancabile, i gravi problemi conseguenti alla privatizzazione dell’acqua: «Quello principale è che l’acqua viene trasformata in merce e resa inaccessibile alla natura stessa, ad animali, piante e… ai poveri. Così l’acqua non scorre più secondo le regole della gravità, dalle colline al mare, ma seguendo le regole del profitto. Ciò porta anche più corruzione e conflitti e guerre, come purtroppo stiamo vedendo nel mondo. Così l’acqua diventa una sorta di “petrolio” per le multinazionali, che, come hanno investito per estrarre e privatizzare il petrolio, ora stanno cercando di farlo anche con le risorse idriche. Ma negare ai cittadini più poveri l’acceso a un bene come l’acqua vuol dire negare loro la possibilità di esistenza».
La privatizzazione è necessaria, si dice, perché solo con i relativi investimenti si potranno realizzare le infrastrutture: «È una bugia – sostiene Shiva -, perché questi soldi arrivano alle imprese multinazionali principalmente dai prestiti della Banca mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, e quindi gli investimenti delle multinazionali sono indirettamente i soldi dei privati cittadini. Le conseguenze della privatizzazione dell’acqua sono dunque non accesso all’acqua - perché “privatizzazione” dell’acqua significa nei fatti “esclusione” -, aumento delle tariffe, e aumento del debito pubblico nei confronti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale da parte di paesi già poveri. Alcune ripercussioni poi si riflettono nel corso degli anni come a Manila, in Sud Africa, in Argentina; a causa delle garanzie sui prestiti, anche quando le multinazionali se ne sono andate, senza rispettare i contratti, i paesi si sono trovati a pagare comunque il debito anche negli anni successivi. È questo il motivo principale per cui in India hanno lottato – e ci sono riusciti - per bloccare l’ingresso della Suez nella gestione delle acque di Nuova Delhi.
L’acqua come bene commerciale diventa motivo di conflitti tra stati ma anche tra comunità. Come rischia di accadere se sarà avviato un altro grande progetto della Banca Mondiale, quello del “River Linking” che intende unire il percorso di alcuni fiumi in India. «200 milioni di dollari di investimento – racconta Shiva -. In India stiamo facendo resistenza perché se questo progetto venisse realizzato significherebbe la guerra tra un bacino e un altro bacino, tra una comunità e l’altra, e guerre tra Nepal e India, Bangladesh e India, Cina e India. Noi invece vogliamo la pace».
Shiva sottolinea poi il fondamentale ruolo dei movimenti, della società civile. «Nella stessa Nuova Delhi il movimento è riuscito a cacciare la Banca Mondiale e ora è previsto un piano di cooperazione tra il sistema di distribuzione idrica e la cittadinanza, una Public Partnership, “pubblica” davvero».
Un esempio spettacolare è Cocha Bamba (Bolivia), dove un movimento dal basso è riuscito a cacciare la “Bentel” e si è formata una comunità-cooperazione, tra cittadini, sindacati, chiese per la gestione comune dell’acqua.
Riflessioni simili per i semi e la biodiversità, che vanno tutelati anch’essi come bene comune. «Manipolare la biodiversità (ogm) è eroderla – spiega sempre Shiva -, e significa erodere con essa i diritti di sopravvivenza dei contadini. In India 40.000 contadini si sono suicidati da quando la Monsanto ha iniziato a introdurre semi geneticamente modificati, i cosiddetti “semi terminator”, che durano un solo raccolto e costringono ogni volta i contadini a ricomprarli».
E a proposito di semi e di agricoltura sostenibile, ieri a Terra Futura tre coltivatori “custodi” toscani sono stati premiati per il loro impegno nella conservazione della biodiversità: un’iniziativa di ARSIA e di Regione Toscana. All’elenco dei “custodi” sono iscritti oggi 58 coltivatori toscani, che dal 1999 hanno riprodotto oltre 400 campioni di semi conservati presso la Banca regionale del germoplasma.
Sempre Regione Toscana e Arsia, in collaborazione con Legambiente Toscana, hanno presentato il “Progetto Activa”: uno studio per capire le potenzialità di sviluppo di alcune filiere agroindustriali toscane - colture dedicate ad uso energetico, biocarburanti, biolubrificanti, fitofarmaci di origine vegetale, fibre naturali, coloranti naturali, bioplastiche - e le potenzialità produttive di specie vegetali con utilizzazioni non alimentari. Il progetto culminerà, entro la fine del 2006, in una sperimentazione che vedrà viaggiare in Toscana autobus di linea, urbani ed extraurbani e camionette della nettezza urbana alimentati con carburante naturale, il biodiesel derivato dall'olio di girasole.