Ambiente Italia 2007, il XVIII rapporto annuale di Legambiente. In libreria dal 6 marzo
I 100 indicatori del rapporto: al palo le rinnovabili (-6%), malissimo i gas serra (+12,1% rispetto al 1990) trasporto su gomma a livelli record (83,7% degli spostamenti), Piu’ auto e meno biciclette che nel resto d’europa, abusivismo edilizio +10% sul 2000. Ma dal biologico alle aree protette al turismo d’arte cresce nei territori l’economia della qualità
01 March, 2007
<b>Della Seta: “Diciamo no al Nimby che si oppone a tutto e no alle grandi opere che servono solo a chi le fa. Vogliamo le infratrutture utili e pulite per contrastare i mutamenti climatici, l’inquinamento, il traffico: eolico, rigassificatori, ferrovie, trasporto pubblico locale”
“Dal governo segnali positivi di svolta su energia e clima. L’ambiente in Italia e’ un problema grave ma anche una soluzione vincente”</B>
“L’Italia ha bisogno di infrastrutture utili e pulite per contrastare i mutamenti climatici, l’inquinamento, la congestione da traffico: servono impianti eolici e solari, rigassificatori, metropolitane, ferrovie. Questa è la via che proponiamo, contro il Nimby che dice no a tutto e ignora l’interesse generale, contro le grandi opere che servono soltanto a chi le progetta e costruisce, dal Ponte sullo Stretto all’autostrada tirrenica”. Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente, ha presentato così Ambiente Italia 2007, XVIII edizione del rapporto annuale di Legambiente. Il volume, realizzato con la collaborazione scientifica dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia e pubblicato dalle Edizioni Ambiente (256 pagine, 18 euro), è stato presentato stamane a Roma nel corso di una conferenza stampa che ha visto la partecipazione di Della Seta, di Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente e presidente della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati, di Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente.
Come di consueto, anche quest’anno Ambiente Italia è diviso in due sezioni: nella prima vengono approfonditi i temi connessi a infrastrutture e conflitti locali, la seconda contiene un quadro aggiornato con 100 indicatori sulla situazione ambientale dell’Italia. La diagnosi sulla salute del “belpaese” non è entusiasmante, in particolare proprio nei due campi più legati alle infrastrutture: energia e mobilità. Con un andamento in controtendenza rispetto ai trend dei maggiori Paesi europei, l’Italia vede calare il contributo delle rinnovabili ai consumi energetici complessivi: nel 2005 le fonti rinnovabili hanno pesato il 6% in meno sul mix energetico, per effetto soprattutto della riduzione della produttività degli impianti idroelettrici. Nel settore elettrico, l’incidenza delle rinnovabili nell’ultimo quinquennio è stata del 17,6%, un punto in meno della media dei precedenti cinque anni. Le fonti fossili coprono l’88% dei consumi energetici, alla faccia del Protocollo di Kyoto e della necessità di potenziare l’energia pulita. Siamo in ritardo anche nello sviluppo dell’energia eolica, che pure rimane la fonte pulita più diffusa in Italia: 6 MW eolici ogni 1000 abitanti, contro i 20 della Spagna, i 52 della Germania, i 73 della Danimarca. Praticamente statico il livello d’efficienza delle centrali termoelettriche, che passa dal 40,1% del 2000 al 40,2% del 2004, 8 punti percentuali in meno rispetto alla media europea. Direttamente collegato a questi numeri è il nostro drammatico ritardo nella lotta ai mutamenti climatici: le emissioni di gas serra sono cresciute del 12,1% rispetto ai livelli del 1990, mentre in Europa c’è stata nello stesso periodo una contrazione di circa mezzo punto percentuale: “Qui allora – ha sottolineato Della Seta – c’è da dire un primo, sonoro sì: agli impianti eolici, ai pannelli solari termici e fotovoltaici, anche ai rigassificatori visto che il gas è il combustibile fossile di gran lunga meno inquinante. Vanno fatti rispettando l’ambiente, ma vanno fatti, perché sono indispensabili per rendere più sostenibile il nostro modo di produrre e consumare energia. Per questo abbiamo accolto con favore l’inizio di svolta nella politica energetica saegnato dall’ultima finanziaria e dal recente pacchetto di misure varato dai ministri Bersani e Pecoraro: finalmente si comincia a capire che ridurre la dipendenza dal petrolio, scommettere sull’efficienza energetica e sulle rinnovabili, è uno dei più urgenti interessi dell’Italia”.
Altro fronte caldo è quello della mobilità. L’Italia è il Paese europeo dove le persone si spostano di più a motore (mediamente ogni abitante fa 15000 chilometri l’anno, +31% rispetto alla media europea e addirittura +60% rispetto alla Germania). E nel trasporto terrestre l’automobile copre circa l’82% della domanda. Abbiamo anche altri record negativi: ci sono 60 macchine ogni 100 abitanti, 10 in più rispetto agli altri Paesi europei, e si vendono appena 24 biciclette ogni 1000 abitanti, metà della media europea. I risultati di questa congestione sono sotto gli occhi (e il naso) di tutti: livelli record di polveri sottili (le nostre città, soprattutto quelle settentrionali, sono le più inquinate in Europa da Pm10), centri urbani dove ci si muove con una esasperante lentezza, una elevata incidentalità stradale (93 morti per milione di abitanti, due in più rispetto alla media Ue). Anche in questo caso, per Legambiente servono dei grandi e rapidi sì a nuove infrastrutture: a quelle ferroviarie come a quelle per il trasporto pubblico locale (tram, metropolitane, parcheggi di scambio). Ma il sì deve venire anche da chi governa: bisogna fare della manutenzione delle città, della riorganizzazione della mobilità in ambito metropolitano, l’opera pubblica prioritaria in Italia.
Ambiente Italia 2007 affronta poi il tema dei conflitti locali che spesso ostacolano e ritardano la realizzazione di infrastrutture: “Molte volte – ha detto Della Seta – l’opposizione locale è benefica, perché consente di fermare interventi inutili per la collettività e ambientalmente devastanti: come nel caso del Ponte sullo Stretto di Messina, che finalmente il governo Prodi ha tolto di mezzo, o dell’intenzione di realizzare una nuova autostrada tirrenica anziché ammodernare ed allargare l’Aurelia. Ma capita anche che per un eccesso di localismo non si riescano a realizzare opere necessarie, pure ambientalmente necessarie: questa sindrome Nimby è contro l’ambiente, e un ambientalismo efficace deve contrastarla senza sconti”.
Ma perché la sindrome Nimby attecchisce in Italia più che altrove? In parte per motivi che nascono dalla nostra storia - la cronica debolezza del concetto percepito di “interesse nazionale”, la diffusa diffidenza verso le scelte della pubblica amministrazione -, e in parte per la scarsa abitudine e disponibilità da parte dei promotori pubblici e privati di grandi opere a dialogare davvero con le comunità locali (come ad esempio avviene in Francia), pronti a informare ma pure a farsi informare, nonché per i troppi casi nei quali sotto il pretesto dell’interesse generale si sono realizzate o si è tentato e si cerca tuttora di realizzare opere di discutibilissima utilità sociale. Così, è stato un Nimby benedetto quello che ha contrastato il nucleare, il Ponte sullo Stretto, o a Gioia Tauro, negli anni ’80, ha impedito la realizzazione di una mega centrale a carbone, così come è vero che quelli che oggi si battono per la messa in sicurezza dell’Aurelia contro la nuova autostrada che sventrerebbe la Maremma forse agiscono in preda al Nimby, ma tutelano l’interesse generale assai meglio di chi sponsorizza il nuovo tracciato a sei corsie.
Tornando ai numeri di Ambiente Italia 2007, la fotografia che restituiscono è di un Paese fermo in tutti gli indicatori che misurano la capacità di innovare: spendiamo per ricerca e sviluppo meno della metà della Germania e un quarto della Svezia, e la bilancia dei pagamenti tecnologici mostra incassi irrisori, un forte deficit e un basso volume d’acquisti e di scambi (le esportazioni italiane di alta tecnologia rappresentano infatti il 7,1% del totale dell’export, contro il 18% della media dell’Unione europea a 25). E però, a dimostrazione che la dimensione locale non è affatto sinonimo di immobilismo, di declino, proprio dal territorio vengono i segnali più incoraggianti, di un promettente dinamismo di quella che si può chiamare l’economia della qualità: la percentuale di superficie agricola coltivata a biologico è doppia rispetto alla media europea, crescono le certificazioni ambientali (l’Italia è il quarto Paese al mondo per numero di siti certificati ISO 14001, alle spalle di Giappone, Cina e Spagna e seconda solo a Germania e Spagna per la Emas, la certificazione Ue), l’estensione delle aree protette sfiora ormai l’11%, i visitatori di musei e siti archeologici d’interesse nazionale hanno superato i 30 milioni con un aumento del 30% rispetto ai primi anni ’90. Ammonta poi a circa 5 milioni di ettari (il 16,5% del territorio nazionale, in parte sovrapponibile con parchi e aree protette) il patrimonio di Rete Natura 2000, l’insieme delle zone di conservazione speciale definite ai sensi della direttiva europea Habitat e individuate con i siti di interesse comunitario (Sic) e le Zone di protezione speciale (Zps). Resta invece grave, gravissima, la situazione dell’abusivismo edilizio, rilanciato alla grande dall’ultimo condono del governo Berlusconi: nel 2005 sono state più di 30000 le nuove costruzioni illegali, quasi il 109% in più del 2000.
Insomma, lo stato dell’ambiente in Italia è dominato dai chiaroscuri, che caratterizzano anche due altri settori di grande rilevanza come il mare i rifiuti. E’ stabile il dato sulle aulle acque costiere inquinate, con 420 chilometri di costa vietati alla balneazione (5,7% dell’intera costa campionata), di cui oltre la metà (240 chilometri) oggetto di divieti permanenti. Quanto alla spazzatura, finiscono in discarica 296 chili di rifiuti per abitante l’anno contro i 221 della media europea. Le cifre della raccolta diffferenziata continuano a disegnare un Paese diviso in due: viene recuperato meno del 25% dei rifiuti prodotti, ma nel nord la percentuale supera (in Veneto, Lombardia, Trentino Alto Adige) o avvicina la soglia del 35% fissata per legge, mentre nel sud è inchiodata a livelli minimi che spiegano il peso tuttora preponderante dell’illegalità e della criminalità delle ecomafie.
Insomma, Ambiente Italia 2007 conferma che l’ambiente nel nostro Paese è un problema persino più rilevante che nel resto d’Europa, ma testimonia al tempo stesso che può essere, più ancora che altrove, una soluzione: “Oggi – ha concluso Della Seta – con l’acuirsi delle drammatiche evidenze del cambiamento climatico e con le crescenti tensioni sull’approvvigionamento energetico, le tematiche ambientali sono protagoniste indiscusse di una credibile prospettiva di benessere, che promuova la qualità, la conoscenza, la ‘soft economy’. La visione ambientalista ha tutte le carte in regola per proporsi come risposta convincente e vincente ai rischi presenti e futuri, ma deve liberarsi dalla nostalgia e dal lamento e trovare il coraggio di proporsi come via del cambiamento, della riforma, di una rinnovata idea di progresso”.