«Siamo stati un Paese-cicala E’ tempo di scelte impopolari»
Casini: ritardi strutturali enormi, il blackout è un segnale d’allarme da non sprecare Opere pubbliche ferme per una malintesa concertazione, basta il no di un Comune
15 October, 2003
Le parole non sono facili da pronunciare. Evocando «scelte impopolari» e «sacrifici», Pier Ferdinando Casini, 48 anni il 3 dicembre, bolognese, presidente della Camera dei deputati, sa di chiudere anche lessicalmente una stagione di ottimismi e di illusioni. Ma è come se il blackout energetico della notte fra sabato e domenica avesse costretto tutti a guardare in faccia un’Italia in ritardo. «Siamo stati un Paese-cicala, che ha vissuto al di sopra dei propri mezzi. Ebbene, è necessario tornare all’operosità delle formiche. E, per chi governa, avere il coraggio delle scelte impopolari, e anche di sacrifici» spiega Casini al Corriere . «Credo che Silvio Berlusconi sappia per primo che non ci sono spazi per eccessivi ottimismi. L’ha capito quando ha aperto le casse dello Stato e visto la situazione dei conti pubblici. Il blackout dell’altra notte non deve diventare la metafora di un Paese che scivola verso un ritardo cronico». Le scelte impopolari richiedono concordia, presidente. L’Italia senza corrente elettrica, invece, ha già alimentato il solito scaricabarile delle responsabilità. «Me ne sono accorto. E non vorrei che il segnale di allarme arrivato col blackout diventasse l’ennesima occasione sprecata. Già vedo il rimpallo delle polemiche, prima ancora di capire che cosa sia accaduto, perché, e come si possa rimediare. E’ il vizio di un sistema autoreferenziale che rimuove una realtà più semplice e drammatica: siamo un Paese con ritardi strutturali enormi, che sotto il profilo energetico paga ed è a rischio più di altri. Non essendo autosufficiente e avendo scelto di abbandonare l’energia nucleare, ha finito per penalizzarsi». Non ha l’impressione che questo blackout finisca per diventare la metafora di un Paese «al buio», a rischio di declino? «Che l’Italia abbia grandi difficoltà strutturali è indubbio. Basta elencare la desertificazione industriale, i problemi delle università dove anche le eccellenze vengono frustrate per mancanza di fondi per la ricerca, o la lentezza con la quale per anni si è bloccato il raddoppio dell’autostrada Firenze-Bologna, che rischia di spezzare in due il Paese. Aggiungo che se la nostra rete idrica perde il 40 per cento di acqua nel Mezzogiorno, non possiamo accorgercene solo nei momenti di siccità: dobbiamo prevenire il problema». Lei traccia un quadro da brivido, ma non indica le responsabilità. «Non le indico perché le attribuisco un po’ a tutti. E’ proprio il caso di dire: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Per questo credo che rimpallarsi le colpe sia ridicolo. I problemi irrisolti chiamano in causa i governi, il Parlamento, e gli stessi enti locali. Per una politica di malintesa concertazione, sono anni che basta il rifiuto di un comune per paralizzare la costruzione di un’opera pubblica essenziale al Paese. Tutti vogliono l’elettricità ma nessuno vuole la centrale in casa propria: anche questo fa parte di una visione egoistica e deresponsabilizzante. Lo stesso si potrebbe dire per lo smaltimento dei rifiuti. Bisognerebbe siglare un patto di sistema almeno implicito, ognuno nel proprio ruolo, per incollarsi la responsabilità di scelte impopolari». Finora, tutti i governi che ci hanno provato sono stati costretti a fare marcia indietro. «E’ vero . Ricordo quando nel 1994 il primo governo Berlusconi tentò la riforma delle pensioni. Uscì un documento di intellettuali, fra i quali c’era Romano Prodi, che lo invitavano a perseverare. Ma alla fine ha prevalso la convenienza della battaglia politica strumentale. E chi governa protempore, non sempre vuole o può rischiare di essere bersagliato. Ma siamo più deboli, alla fine. Per decenni abbiamo vissuto come nella favola che mi raccontava mia nonna: quella delle cicale e delle formiche. Ecco, siamo stati un Paese-cicala che, dopo avere scialato molto, deve recuperare l’operosità delle formiche». Decenni: non rischia di dare ragione a Umberto Bossi che vorrebbe fucilare i vecchi democristiani? «Non voglio scendere sul piano delle battute. Ma sarebbe fin troppo facile rispondere che qualcuno, fra quei democristiani, è stato fucilato davvero: dai terroristi delle Brigate rosse. Penso ad Aldo Moro e al giurista Roberto Ruffilli, che ho ricordato due giorni fa a Forlì. Se vogliamo rimanere alla sostanza della provocazione, però, ammetto che è vero: nemmeno la Dc è esente da queste responsabilità. E nemmeno noi (e parlo anche per me che sto in Parlamento dal 1983) abbiamo saputo invertire la rotta negli anni declinanti della nostra esperienza. Ho detto più volte che non si può rifare la Dc anche per questo: dopo gli anni straordinari della ricostruzione democratica e civile dell’Italia, si appannò la spinta innovativa della Dc. Ma sulla bilancia della storia la Dc fu comunque un fatto straordinario». Il problema, presidente, è che anche la Seconda Repubblica non dà prova di sapere raddrizzare certe storture. Non aveva chiesto proprio Lei scelte impopolari sull’energia tre mesi fa, sul Corriere , dopo un primo blackout ? Oggi ci risiamo. «Non voglio fare processi. Ciascuno è in grado di vedere e valutare. Probabilmente, risolvere un problema del genere con rapidità non è mai facile. Ma anche sulle centrali elettriche le responsabilità sono insieme nazionali e locali. E poi, purtroppo nella Seconda Repubblica esiste un tasso di asprezza polemica che non ricordo da anni. Se penso che in Germania riescono a raggiungere intese parziali nel Bundesrat, anche se i rapporti fra Cdu e Spd sono pessimi... Da noi non ci si riesce ancora, ed è un guaio». Siamo condannati alla decadenza? «Non credo. Vengo dal Giappone, e c’è uno scarto fra come ci vediamo noi, e come ci vedono dall’estero: in Giappone siamo considerati perfino meglio di quanto non meritiamo». Non sarà perché il Giappone è molto lontano? «Non solo. In realtà, il nostro livello di vita è fra i più alti del mondo. E questo benessere diffuso è anche indice di un Paese che vive al di sopra delle proprie possibilità. Per non svegliarci di nuovo al buio, è bene prendere le contromisure da subito». Pensa a una nuova «politica dei sacrifici», tipo anni Settanta? «Non si tratta di replicare stagioni passate ma di avere ben chiaro che una classe dirigente responsabile ha il coraggio di affrontare l’impopolarità. Adesso, possiamo ancora scegliere quali sacrifici fare. Ma se stiamo fermi, le scelte ci verranno imposte dall’estero. Quando Carlo Azeglio Ciampi sollecita a creare rapidamente nuove centrali elettriche, a smaltire le lentezze, ipotizza nuovi impegni che implicano dei sacrifici. Non ci sono alternative». Crede che nel centrodestra e nell’opposizione ci sia la consapevolezza di questi ritardi? «Chi ha responsabilità di governo poteva essere ottimista prima di aprire la cassa dei conti pubblici. Ma poi Berlusconi ha visto la situazione e sa che non ci sono spazi per un eccessivo ottimismo. Oltre tutto, la congiuntura negativa dell’economia internazionale acuisce la nostra emergenza, non l’aiuta». Saprà che qualcuno imputa parte delle difficoltà all’euro. «L’euro può avere fatto lievitare i prezzi, ma ha anche stabilizzato l’economia italiana. Fuori dall’euro, avremmo rischiato una fibrillazione permanente. Oggi tutta l’Europa ha gli stessi problemi. Se le pensioni sono in primo piano in Francia e Germania, una ragione ci sarà pure. Una persona del centrosinistra avvertita come Enrico Letta se ne rende conto. La riforma delle pensioni non è all’ordine del giorno per una mania del ministro Tremonti, ma perché si tratta di una questione reale. Sulla previdenza solo il settarismo può dividere tra favorevoli e contrari». Ma la realtà è che ci si schiera tra favorevoli e contrari. Si litiga e si ritorna al principio. «Usiamo il blackout come un monito. Smettiamola con la demonizzazione di Berlusconi, che è stato eletto dagli italiani. E smettiamola con l’evocazione dei comunisti che non esistono più. Occorre un’assunzione di responsabilità collettiva». Presidente Casini, non teme di essere frainteso, e accusato di fare il pontiere tra centrodestra e centrosinistra? «So che il buonsenso a volte viene scambiato per ambiguità. E non soltanto da una parte: da entrambe. Ma se non si comprende l’esigenza di dialogo che continuo a fare presente, dovremmo concludere che il buonsenso è una merce in via di estinzione nel nostro Paese. Sarebbe preoccupante, per l’Italia. Allora, davvero, il black out di una notte rischierebbe di trasformarsi nella metafora di questa fase. Io voglio credere che non sia così: che ci sia ancora la forza di non sprecare occasioni che saranno sempre più rare». Massimo Franco