Auto e pedaggi la lezione americana
San Francisco Milano
20 January, 2004
SAN FRANCISCO - L\' idea del sindaco Albertini di imporre un ticket agli automobilisti che entrano a Milano ha due antichi precedenti a New York e San Francisco, in questa America che pure è considerata il regno dell\' automobile. I ponti e viadotti di accesso che conducono rispettivamente all\' isola di Manhattan e alla penisola di San Francisco hanno tutti i loro caselli del «toll», cioè il pedaggio, che è un modo implicito per far pagare l\' ingresso in città. A San Francisco il significato del pedaggio è reso ancora più chiaro dal fatto che esso è asimmetrico: viene prelevato solo sulle corsie dei ponti che portano all\' ingresso in città; viceversa, nella direzione d\' uscita i due ponti del Golden Gate e Bay Bridge sono gratuiti. Se volete entrare pagate, se volete andarvene nessuno vi trattiene... È come se a Milano si pagasse per lasciare la tangenziale ed entrare in città, non per prendere l\' autostrada. Imporre un ticket per l\' accesso in città è un\' idea che dovrebbe piacere agli ambientalisti. Se un sindaco di destra fa una cosa giusta, una sinistra di opposizione seria deve dargliene atto, sennò perde credibilità. Ma in realtà la proposta non è verde né rossa né bianca. Nasce semplicemente da una corretta logica di mercato. Da anni il settimanale britannico The Economist, di cultura liberista, fa una campagna in favore di un pedaggio generalizzato per l\' uso di tutte le strade. Come sperimentiamo sulla nostra pelle ogni giorno, lo spazio urbano è un bene scarsissimo. La logica del mercato vuole che un bene quanto più è scarso tanto più sia caro: la regola vale per un palco alla Scala come per una villa con vista sul lago Maggiore. Solo in città, invece, si entra gratis e si scorrazza in automobile gratis a tempo indeterminato. Qualcuno può obiettare: ma quale gratis? C\' è il prezzo salatissimo della benzina, dell\' assicurazione, del bollo. Eh no, attenzione: quelli li pagate comunque, anche se guidate sul circuito del Mugello o nel deserto del Sahara, non sono una tassa specifica per l\' occupazione e l\' uso di un territorio limitato e conteso come quello di una città densamente abitata. In città l\' automobilista crea danni e disagi più accentuati: avvelena l\' aria proprio dove c\' è più gente che la respira, crea ingorghi e rumore, riduce gli spazi per camminare, per andare in bicicletta o per spingere i passeggini dei bambini. L\' altra obiezione, secondo cui questi danni ci sono già in qualche modo «addebitati» nelle tasse comunali che paghiamo, è anch\' essa infondata: le tasse le pagano tutti, anche chi va solo a piedi o in tram. Insomma, il ticket d\' ingresso per l\' auto in città non dovrebbe proprio scandalizzare nessuno, come nessuno si scandalizza di pagare il biglietto per entrare al cinema. L\' America però ci insegna altre due cose. Primo: il necessario complemento del ticket è che la città deve avere abbondanti parcheggi sotterranei, il cui uso deve essere reso praticamente obbligatorio da una politica inflessibile di multe per la sosta vietata. Se a San Francisco il traffico è molto più scorrevole e meno intasato che a Milano, lo si deve al fatto che non esistono il posteggio in doppia fila o le auto sui marciapiedi (la repressione è talmente implacabile da essere davvero dissuasiva). La seconda lezione riguarda invece l\' errore su cui non bisogna proprio imitare l\' America, e cioè la povertà d\' investimenti nei mezzi pubblici. Nelle grandi città americane la gente continua in maggioranza a usare la macchina — nonostante tutti i pedaggi dissuasivi e i costi salati dei parking obbligatori — perché i mezzi pubblici non sono un\' alternativa efficiente. L\' unica vera assurdità è che a Milano si parli di introdurre il ticket, e al tempo stesso di ridurre gli investimenti nel trasporto pubblico.