Rapporto Ambiente Italia 2008: energie sprecate
Presentato il rapporto annuale di Legambiente: peggiora l’efficienza energetica, aumentano i consumi dei trasporti, diminuiscono le tasse sull’inquinamento. Rinnovabili in crescita, ma sotto la media Ue
15 February, 2008
Si allontana il rispetto degli impegni di Kyoto, peggiora l’efficienza energetica, aumentano i consumi dei trasporti, diminuisce la tassazione ambientale, le rinnovabili sono in crescita, ma restano sotto la media europea. Nelle politiche energetiche e nella lotta al cambiamento climatico, insomma, l’Italia è indietro. Ma ce la può fare. Il rapporto Ambiente Italia 2008 di Legambiente, Scenario 2020: le politiche energetiche dell’Italia, dimostra che, cifre alla mano, anche da noi è possibile realizzare gli obiettivi fissati dalla Ue al 2020 per il potenziamento dell’efficienza energetica, la diffusione delle fonti rinnovabili e la riduzione delle emissioni di gas serra.
L’edizione 2008 di Ambiente Italia, l’annuale rapporto di Legambiente pubblicato da Edizioni Ambiente (256 pagine, 18 euro), è <b>interamente dedicata all’energia e alla lotta al cambiamento climatico</B>. Con tutti i numeri italiani ed europei sui consumi energetici, le fonti rinnovabili, le emissioni di CO2, i costi e le tassazioni energetiche, suddivisi in 30 indicatori. Una nuova sezione del volume presenta invece una rassegna di buone pratiche, dalla Germania alla Grecia, passando ovviamente per l’Italia. Interventi che mostrano come gli obiettivi della strategia europea “20-20-20” a tutela del clima non siano utopistici, ma già raggiungibili con le tecnologie a disposizione. Anche nel nostro Paese. Il ruolo che l’Unione Europea si è candidata a svolgere sul palcoscenico internazionale, con la decisione di assumere chiari e vincolanti obiettivi per il 2020 (-20% di riduzione di CO2, aumento del 20% dell’efficienza energetica, 20% di energia da fonti rinnovabili) è infatti una novità fondamentale degli ultimi mesi.
Ambiente Italia 2008 è stato presentato a Roma dal presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, da Roberto Della Seta, della segreteria di Legambiente e da Duccio Bianchi, della direzione di Ambiente Italia.
I numeri parlano chiaro: nello scorso decennio, in Italia, tutti gli indicatori energetici e quelli relativi alle emissioni climalteranti hanno mostrato un segno contrario alle speranze di un’evoluzione verso una economia più efficiente e rinnovabile.
- crescono le <b>emissioni di gas serra</B>, giunte nel 2005 a oltre 580 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (+ 0,3% sull’anno precedente), ma nei due anni successivi si registra finalmente una lieve inversione di tendenza;
- siamo il <b>terzo paese europeo per emissioni</B> (eravamo il quinto nel 1990 e il quarto nel 2000);
- mentre l’<B>Unione Europea ha ridotto del 7,9% le proprie emissioni rispetto al 1990 (nell’Europa a 15 sono scese del 3%), l’Italia le ha viste crescere del 12,1%, soprattutto a causa dell’aumento dei consumi per trasporti (+27%), della produzione di energia elettrica (+16%) e della produzione di riscaldamento per usi civili (+21%)</B>;
- le nostre emissioni procapite di gas climalteranti sono, sia pure di poco, superiori alla media europea e circa il doppio della media mondiale;
- l’intensità di emissioni di CO2 rispetto alla ricchezza prodotta (misurata come Pil) è aumentata in Italia del 2% tra il 2000 e il 2005; rispetto al 1990 per ogni milione di euro (a valori costanti) le emissioni di CO2 sono diminuite in Italia del 7%, mentre in Germania e negli Stati Uniti sono scese del 24%, in Gran Bretagna del 33% e in Cina del 44%.
<B>Emissione di CO2</B>. Sono diversamente distribuite lungo la penisola. In termini assoluti (anche considerando l’import-export di energia elettrica) il primato spetta alla Lombardia (16% del totale), seguita da Sicilia, Veneto e Puglia (tutte poco sotto il 10% delle emissioni nazionali). Forti differenze si registrano, invece, in termini di emissioni procapite: Sardegna, Valle d’Aosta, Puglia, Friuli Venezia Giulia guidano la classifica con oltre 10 t/ab (a fronte di una emissione media nazionale di 7,9 t/ab di CO2 da usi energetici). I valori più bassi si registrano nelle regioni meridionali caratterizzate da bassi consumi energetici procapite (come la Campania o la Calabria) o da un forte ricorso a fonti rinnovabili (come il Trentino Alto Adige).
<B>Consumi energetici lordi</B>. Sono quasi stabili, ma ancora basati sulle fonti fossili. Nel 2006 sono stati pari a 196 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep). Rispetto al 2005 si è registrata una lieve riduzione (ca. 1 milione di tep, a causa delle condizioni climatiche più calde nel periodo invernale), mentre rispetto al 1990 l’incremento assomma a circa il 20% (in linea con la Ue). I consumi procapite di un italiano restano un po’ inferiori a quelli medi europei (anche per ragioni climatiche), sono circa la metà di quelli di un cittadino degli Stati Uniti (3,5 tonnellate di petrolio a testa in Italia, 7 tonnellate negli Stati Uniti), ma tre volte quelli di un cinese e quasi nove volte superiori a quelli di un africano.
<B>Trasporti</B>. L’Italia ha un parco auto con consumi energetici specifici tra i più bassi d’Europa. Ma ha anche la più alta densità di motorizzazione europea e percorrenze nettamente superiori alla media europea. Di conseguenza i consumi energetici e le emissioni procapite da trasporti sono superiori alla media europea. I consumi per i trasporti stradali sono cresciuti dell’1% nell’ultimo anno e del 27% rispetto al 1990.
<B>Intensità energetica</B>. Nel 2005 i consumi energetici per ogni mille euro di Pil sono superiori alla media europea (191 kg di petrolio equivalente rispetto a 185) e, soprattutto, accusano un peggioramento costante. In particolare, peggiora l’intensità energetica dell’industria e crescono più della media europea anche i consumi nel settore residenziale. Restano invece molto contenuti (e crescono meno della media europea) i consumi elettrici residenziali, i più bassi d’Europa (1,15 MWh ad abitante contro una media dell’Europa a 15 di 1,85 MWh/ab), in virtù soprattutto di un sistema tariffario che ancora penalizza alte potenze e alti consumi.
<B>Fonti rinnovabili</B>. Il contributo energetico da fonti rinnovabili stimato nel 2006 si è assestato a 16 Mtep, pari a circa l’8,3% del totale dei consumi energetici, in crescita sul 2005. Nel settore elettrico le fonti rinnovabili rappresentano nel 2006 il 16,6% della produzione nazionale, uno dei valori più bassi degli ultimi anni (a causa della riduzione degli apporti da idroelettrico). Tra il 2006 e il 2000 è molto cresciuta la produzione di energia da rinnovabili in Italia: del 427% la produzione di energia eolica, del 364% la produzione elettrica da biomasse, del 124% la produzione da fotovoltaico (e nel 2007 è atteso un vero boom), del 140% la produzione termica da solare. Ciò nonostante l’Italia ha grandi margini di crescita in questo settore.
<B>Fisco</B>. Mentre in Europa (e in gran parte del mondo) è cresciuta nel tempo la tassazione ambientale, in Italia negli ultimi dieci anni è avvenuta una “controriforma” fiscale che ha favorito l’inquinamento e i consumi e penalizzato lavoro e impresa. Bastano due numeri per renderlo esplicito: tra il 1997 e il 2006 il prelievo fiscale ambientale (energia, auto, rifiuti, acqua) di tutte le amministrazioni pubbliche è diminuito a prezzi costanti di oltre 6 miliardi di euro; tra il 1995 e il 2005, sempre a prezzi costanti, la tassazione delle emissioni di CO2 (calcolata in funzione della tassazione energetica) è diminuita di circa il 20% per ogni tonnellata di CO2 emessa.
Ma Ambiente Italia 2008 delinea anche obiettivi e strumenti per superare i ritardi accumulati, e conseguire gli obiettivi europei nell’arco dei prossimi dodici anni. La sfida è quella di indirizzare radicalmente l’Italia su un sentiero “a bassa emissione di anidride carbonica” entro i prossimi 5 anni. L’attenzione deve essere posta più sulla strumentazione normativa, regolamentare, fiscale che sulla sola analisi delle risorse tecnologiche. Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono necessari ma non possono essere alternativi ad azioni immediate, che utilizzino le tecnologie già commercialmente disponibili. Le maggiori opportunità sono legate, da un lato all’efficienza energetica nei trasporti, nell’industria e nell’edilizia e, dall’altro, allo sviluppo delle energie rinnovabili (in particolare solare termico, eolico e biomasse).
Legambiente traccia un quadro dove gli obiettivi di efficienza energetica al 2020 prevedono una riduzione del consumo interno lordo pari a circa 45 milioni di tep rispetto ai consumi attesi in quell’anno (e pari a una riduzione del 5% rispetto alla situazione attuale). Uno scenario che prevede di arrivare nel 2020 a una produzione da rinnovabili equivalente a 35,3 Mtep di energia primaria (107.000 GWh di produzione elettrica da fonti rinnovabili e a 17,6 Mtep di usi termici). Questa riduzione dei consumi di energia e l’incremento delle fonti rinnovabili, abbinato a una sostituzione del metano ad alcuni consumi petroliferi e a una riduzione delle emissioni da centrali a carbone, potrebbe consentire di ridurre del 20% rispetto al 1990 le emissioni di CO2, superando gli obiettivi assegnati all’Italia dalla UE.
Sul fronte fiscale, Legambiente ritiene che vi sia oggi grande spazio per una riforma in senso ambientale, con l’eliminazione di alcuni <B>“sussidi perversi”</B> (soprattutto nel settore energetico) e con lo spostamento di una quota non irrilevante di fiscalità dal prelievo sul lavoro al prelievo sui consumi energetici, sulla motorizzazione, sulla produzione di rifiuti, sulle emissioni. <B>Ricondurre l’entità del prelievo fiscale ambientale all’incidenza sul Pil di dieci anni fa, significherebbe generare oggi una entrata aggiuntiva pari a circa 12 miliardi di euro. Che potrebbero essere detratti dalla fiscalità sul lavoro e sulle imprese</B>.
“Sono necessarie politiche ambientali, fiscali, industriali, di ricerca e sviluppo forti e integrate. E l’attuazione di questo scenario richiede decisioni rapide - ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. La strategia energetica delineata dall’Unione Europea non è solo lo strumento necessario per contrastare il cambiamento climatico. Offre ai paesi della comunità una tripla opportunità: sviluppare nuove attività industriali e di servizi ad alto contenuto tecnologico, ridurre la dipendenza energetica da paesi instabili o non democratici, migliorare contemporaneamente la qualità ambientale e della vita riducendo altri fattori di inquinamento e di degrado. In Italia - ha aggiunto Cogliati Dezza - ancora non fa parte del senso comune della cultura politica pensare che le azioni di contrasto dei cambiamenti climatici siano un interesse di tutto il Paese. Contro l’effetto serra, quello che serve è una politica nazionale che ripensi completamente l’attuale modello energetico per invertire la rotta”.