IL TEMPO RITROVATO
Milano senza il traffico
09 February, 2004
Il nostro tempo non è mai uguale. Cambia dipendentemente da quello che facciamo, pensiamo, proviamo. Le ore in una domenica senza traffico, come ieri, diventano più lunghe; i minuti non sono di sessanta secondi ma sembrano di dieci, venti, cento pensieri. Forse perché ogni secondo che si vive ha il tempo di avvisarci che c’è e che se ne sta andando. Anche i nostri passi lo aiutano a bisbigliarci qualcosa. Il vero orologio che lo misura è in noi e muove le sue lancette con le nostre sensazioni. È facile accorgersene: ogni tanto basta guardarsi dentro anziché occhieggiare il piccolo quadrante che di solito è al polso. La domenica senza macchine più che un giorno in cui respirare meglio sembra una palestra per capire come vivere diversamente il tempo. Milano o qualsiasi altra città privata del traffico diventano spazi da conquistare, dimensioni che ritrovano improvvisamente una verginità. Una camminata si fa esplorazione, una strada che si attraversa si popola di pensieri. L’occhio, chissà perché, vede cose nuove. E ogni lasso di tempo avverte un retrogusto piacevole. Siamo così tecnologicamente proiettati in avanti che, quando riusciamo ad anestetizzare per qualche ora la corsa della nostra vita, proviamo piacere. Difficile spiegarne i motivi; certamente il più facile da scoprire sta proprio nella sensazione del tempo guadagnato, così come agli inizi del ’900 i film muti divertivano perché i ridicoli protagonisti si agitavano freneticamente per catturare il futuro. Milano, insomma, era un’altra cosa. Sembrava quasi che la patina nera dello smog fosse stata vinta dai passi e dalle voci. Ogni blocco della circolazione restituisce stupori e senso di meraviglia ormai perduti. Parrà incredibile, ma vale la pena ripassare anche le piccole cose di una giornata siffatta: chi avesse attraversato i bastioni poteva ascoltare i propri tacchi sull’asfalto, gli zoccoli di un cavallo che giungeva (anche i nobili equini sono stati protagonisti della giornata), le parole di qualcuno che riuscivano a diffondersi. I tubi di scappamento inquineranno l’aria, ma soprattutto impongono una specie di dittatura con il loro funzionamento: un rumore che sovrasta e inghiotte tutti gli altri. Una prepotenza acustica chi ieri non c’è stata, se non per qualche permesso isolato, scrutato sempre dai passanti con sguardo indagatore. E poi il silenzio restituito sa spiegare che Milano è una città troppo vecchia e non fu concepita per gli ingorghi, né per ospitare un milione di automobili al giorno. La facciata della Scala o Santa Maria delle Grazie (una chiesa o un pezzo di anima congelato nella pietra?) non si possono godere con i cortei strombazzanti che le assediano. Né Sant’Ambrogio, basilica dalle linee che riportano la fantasia nel tardo impero romano, può essere osservata mentre un clacson chiede strada. Ma forse la storia più bella riguarda noi. Con il ritmo ritrovato si capisce finalmente che vivere non significa inseguire i ritardi. E che i giorni non li abbiamo solo per programmare continue corse verso il nulla che farcisce troppi dei nostri impegni. di ARMANDO TORNO