Vivere senza patente
Controcorrente: chi ha deciso di non "automobilizzarsi"
16 February, 2004
PAOLO FERRARI Bicicletta, scarpe robuste, treno, autobus, tram, autostop, motorini. Il pianeta dei senza patente è pieno di mezzi di trasporto alternativi all’automobile personale. D’istinto verrebbe da compatirne la mancanza di indipendenza e comfort, poi li incontri e ti rendi conto di quanto vivano meglio della maggior parte dei bipedi loro simili, soprattutto metropolitani. Senza rinunciare ad attività lavorative spesso frenetiche e cariche di responsabilità. Difficile immaginare, per esempio, che non abbia rapporti con il volante l’operatore culturale Fabrizio Gargarone, 41 anni, direttore artistico di Hiroshima Mon Amour, corresponsabile di Extra Festival, uomo dall’agenda intasata di riunioni e colazioni di lavoro: «Ma adesso sono rose e fiori, Torino è una città non immensa e al tempo stesso ben servita; peggio mi andava da ragazzo, quando stavo a Tronzano Vercellese. Lì senza auto non si combina niente, ma io ero l’eccentrico del paese, il primo a mettere l’orecchino e a fare l’obiettore di coscienza, così evitai di allinearmi anche sotto questo profilo. Poi venne l’università, a Milano, e lì senza auto si vive molto meglio; ora sto bene così, in giro a piedi e in taxi, anche perché adoro commentare il mondo con il tassista». Nessuna crociata contro l’automobile, quindi: «Tutt’altro, il sogno nel cassetto è la Citroën DS, il mitico “squalo\" Anni 70; un giorno me ne compro una e prendo la patente solo per lei». Dal punto di vista estetico, l’auto piace anche a Guido Costa, 46 anni, che nella sua galleria d’arte in via Mazzini 24 racconta di trovarsi a volte a sfogliare il mensile di riferimento del patentato italiano, Quattroruote: «Sono begli oggetti, guardo persino i prezzi, ma in realtà non sono tentato. Vivere e lavorare in centro mi permette questo piccolo lusso, e per i frequenti viaggi all’estero mi muovo quasi sempre in aereo; d’altronde, oggi è più facile raggiungere Bangkok dal cielo che Pinerolo in auto all’ora di punta». In galleria sono esposte le belle foto con cui Fabio Paleari racconta lo spirito della famiglia Leu, i mitici svizzeri trapiantati a Ibiza cui si deve la penetrazione in Europa del tatuaggio moderno. Hanno un’aria molto freak, che induce Guido a svelare il suo passato di autostoppista con spirito hippy: «Pur non avendo mai avuto la patente, ero comproprietario con il mio gruppo di amici di un classico furgone Volkswagen attrezzato in stile comune itinerante; a quei tempi inoltre funzionava l’autostop, modo con cui partii dal casello di Torino per arrivare in Togo attraversando il Sahara». Anche Ruggero «Rù» Catania, chitarrista degli Africa Unite e leader del gruppo Wah Companion, utilizzava il metodo del pollice levato per supplire alla mancanza di auto e patente. Lo dissuase una disavventura: «Una sera mi caricarono tre tizi aggressivi, che pretesero di farsi offrire da bere. Per non buscarle li accontentai, dopodiché riuscii a fuggire; mi diedero la caccia, fui costretto a nascondermi nei cespugli, e da allora basta autostop, meglio gli autobus e i passaggi degli amici». Molta parte dell’anno del ventisettenne musicista pinerolese scorre in furgone: «Non avere la patente diventa in quel caso una grande fortuna, puoi finire la serata brillo e stanco quanto vuoi, ma nessuno ti chiederà di guidare. Però mi sento in colpa, e cerco di sdebitarmi facendo a turno il navigatore o il cabarettista della situazione». Parla tranquillo e disteso, Rù: al volante, tra semafori, cantieri e vigili urbani, c’è la fidanzata. Situazione in cui non può trovarsi il moroso di Maddalena: lei la patente non ce l’ha. Risponde dalla provincia di Piacenza, dove è appena tornata dopo tanti anni di residenza nel centro di Torino per studiare psicologia all’università: «Per noi emiliani la bicicletta è una compagna inseparabile, e nel periodo torinese ho iniziato decine di persone al suo culto, accompagnandole a Porta Palazzo a comprare bici usate». Mentre aspetta con trepidazione il varo della metropolitana subalpina, la trentenne paladina del pedale aggiunge alle considerazioni sull’auto un punto di vista femminile: «In città tra il luogo in cui si trova parcheggio e l’abitazione ci possono essere anche alcune centinaia di metri, e di notte quel tratto a piedi è inquietante; la bicicletta risolve il problema, la prendi sottobraccio e entri direttamente nel portone di casa». Su due ruote, però a motore, si è aggirato per anni in città anche Paolo Leonardo, 30 anni, pittore che espone alla Promotrice nell’\'ambito della Quadriennale e che sta curando un’imminente personale a Firenze: «Tra i 20 e i 29 anni ero sempre in Vespa, ne ho cambiate quattro, poi mi sono stufato del freddo che prendevo nonostante il parabrezza. Trovai la soluzione sfogliando Torino Affari. Un tizio vendeva una macchina francese da città, una minuscola Ligier che non ha targa, non paga la sosta, ha l’assicurazione equiparata ai motorini e si guida senza patente. Di seconda mano mi costò anche poco, e mi trovo benissimo: non posso superare i 60 all’ora, e in città non lo farei comunque, sono al riparo e finalmente posso trasportare colori, attrezzi, qualche tela piccola. Per gli spostamenti extraurbani c’è il treno, ottimo per riflettere, leggere, mettersi in pace con se stessi». E dire che tutto era cominciato con una défaillance: «A 19 anni provai a prendere la patente. Avevo superato la teoria, e anche l’esame di pratica stava procedendo bene. Finché quel signore mi domandò se per caso non avessi dimenticato qualcosa. Controllai gli specchietti, il cruscotto, tutto mi pareva in ordine. Peccato che avessi dimenticato di allacciare la cintura di sicurezza; mi fu concesso di terminare l’esame, ma a quel punto ero demoralizzato e combinai un sacco di pasticci». Bocciato, insomma. E ora felice di quell’errore. Un esame andato storto si nasconde anche nel passato di uno dei più popolari dj torinesi, Giorgio Valletta: «Mi iscrissi appena possibile alla scuola guida, l’istruttore mi trovava molto bravo nei parcheggi, mentre su strada non riuscivo a concentrarmi, l’occhio era continuamente distratto da particolari estranei alla conduzione. Alla prova pratica mi bocciarono, pensai di essere negato e rinunciai definitivamente». Con il passare degli anni, vivere senz’auto è diventata una scelta: «Se ne può fare benissimo a meno, di giorno mi sposto in pullman, quando sono carico di borse di dischi, il pesantissimo vinile, conto sui passaggi dei colleghi o prendo il taxi; per quante volte questo possa accadere, sono convinto che mantenere un’auto costi di più». Spesso all’estero, Giorgio propone una prospettiva europea del rapporto tra uomo e automobile: «Mi pare che l’ossessione per le quattro ruote sia un fenomeno molto italiano, nelle capitali europee è normale non averla. Certo, questi comportamenti civili vanno incentivati; se ci fosse una rete di trasporti pubblici notturni come quella londinese, anche a Torino la gente potrebbe ipotizzare di uscire la sera a piedi senza bisogno di abitare in centro». Sul pianeta dei senza patente, la domenica del pedone è un giorno qualsiasi.