Le recensioni di Cinemambiente: The Stone River
15 July, 2021
di Angela Conversano
Un cimitero innevato e un uomo appoggiato su una pietra. Siamo a Barre, nel Vermont, e ad essere raccontata è la storia di quegli uomini che, verso la fine dell'Ottocento, emigrarono da tutta Europa per lavorare il granito. È la storia di chi si allontana dalla propria città e dalla propria famiglia nella speranza di dare un futuro dignitoso alla propria vita. Il film è un elogio all'arte della scultura e al lavoro degli scalpellini, ma al tempo stesso una denuncia delle condizioni dei lavoratori. Si intrecciano costantemente le immagini di tombe magnifiche ma anche quelle di uomini che, con gli strumenti da lavoro in mano, sono immersi in una nube fatta di polveri, quelle che si sollevano proprio durante le fasi di lavorazione del marmo.
Per anni l'aumento delle morti di coloro che nelle cave passarono le loro giornate fu attribuita alla tubercolosi e, invece, la scoperta avviene molti anni dopo: si tratta di silicosi. E l'anziano narratore della storia è una delle vittime di oggi di questa malattia. Sottolineo di oggi perché, se pure la storia possieda i colori e le fattezze del ventunesimo secolo, in realtà è costruito interamente su interviste recuperate dal regista nelle Rolex replica biblioteche della città e risalenti ai primi anni del Novecento. Passato e presente comunicano tra loro per tutta la durata del film, che in alcuni punti sembra un susseguirsi di cartoline che raccontano in tono poetico la morte. Di quella morte rappresentata attraverso tombe rifinite nei dettagli con incisioni e statue ma anche di quella che ha colpito chi ha intagliato quei capolavori. Sotto gli occhi di un pubblico che ha riempito per intero la sala, una pellicola che racconta con una musica malinconica e con ritratti nostalgici la forza distruttrice di ciò che appare invisibile, «il sangue della maledetta pietra» AmazingClock.