Sacchetti a pagamento dal 2018 : non tutto il male viene per nuocere...
24 March, 2023
Dal 1° gennaio 2018 dovremo dire addio ai sacchetti distribuiti gratis nei reparti ortofrutta, gastronomia e di altri generi alimentari, con e senza manici. Proviamo ad ipotizzare quali potrebbero essere i benefici ambientali ed economici, diretti e non, che l’applicazione di questa norma potrebbe innescare qualora portasse ad una riduzione del consumo usa e getta. Se, a cominciare dal comparto ortofrutta, si desse cioè ai consumatori la possibilità di servirsi di sacchetti riutilizzabili, come suggerito dalla nostra associazione già sette anni fa con l’iniziativa “Mettila in rete”. Intanto Coop Svizzera li ha introdotti dimostrando che, in questo caso, “volere è potere”.
Si avvicina la data del 1° gennaio 2018 in cui entrerà in vigore la norma che impone l’utilizzo di plastiche biodegradabili e compostabili anche per i sacchetti ultraleggeri con spessore inferiore ai 15 micron, (con o senza manici). Si tratta dei sacchetti utilizzati per trasporto e/o asporto merci per fini di igiene e/o come imballaggio primario di prodotti alimentari quali carni, pesce, prodotti da forno, gastronomia e ortofrutta.
Oltre ad essere realizzati con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile (almeno il 40% per iniziare) questi sacchetti dovranno essere ceduti esclusivamente a pagamento. Previste per chi contravvienesanzioni piuttosto severe, a partire da 2.500 euro.
Va detto che il legislatore italiano, al contrario di altri paesi membri, ha recepito la direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio (che modifica la direttiva 94/62/CE ) che chiede interventi di riduzione sull’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, mettendo fuorilegge i sacchetti ultraleggeri in plastica.
Nelle ultime settimane si è aperto sui media e tra gli operatori del settore un dibattito sul provvedimento che non viene accolto favorevolmente dai consumatori. Questi ultimi, tra le altre cose, contestano l’impossibilità di evitare l’acquisto dei sacchetti ultraleggeri, cosa invece possibile per gli shopper biodegradabili alle casse che una parte degli italiani ha sostituito con le sporte utilizzabili. Come abbiamo sempre sostenuto l’opzione meno impattante per l’ambiente è il riuso, di qualunque materiale. Condividiamo pertanto le 7 raccomandazioni del network delle agenzie ambientali europee EPA rivolte alla Commissione Europea che si appresta a licenziare entro fine anno la sua Plastics Strategy. In particolare la prima, che indica la necessità di prevenire il consumo usa e getta con alternative riutilizzabili.
Dai pareri raccolti sul provvedimento da parte di alcuni media emerge per lo più la contrarietà degli intervistati che contestano la mancanza di proposte alternative da parte della GDO. Anche sui social si leggono commenti in negativo sul provvedimento da parte di consumatori che considerano anche la possibilità di rivolgersi maggiormente al verduriere sotto casa o acquistare nei mercati. In realtà saranno in tanti a dover venire a patti con questa misura se consideriamo che una parte consistente delle vendite di ortofrutta avviene nei supermercati. Come rileva un recente sondaggio Ipsos il 66% degli italiani acquista frutta e verdura nei supermercati (contro il 33% che si rivolge al fruttivendolo).
Siccome il punto di vista e le percezioni del cliente consumatore “contano” è importante mettersi nei suoi panni per potergli dare delle risposte. Le sue reazioni “piccate” derivano da quasi 30 anni di assuefazione ai sacchetti usa e getta, ricevuti automaticamente e gratuitamente per qualsiasi tipo di acquisto. In questo modo gli è passato il messaggio che i sacchetti siano un “servizio accessorio dovuto” quando si acquista un bene. Non è in alcun modo invece passata l’informazione circa le conseguenze ambientali ed economiche del consumo usa e getta. L’opinione pubblica non è cosciente che, dietro all’emergenza del marine litter oltre alle ben note responsabilità, c’è l’elefante nella stanza con cui non si vuole realmente fare i conti: il modello economico lineare che sfrutta le risorse del pianeta distruggendo i sistemi naturali dai quali dipendiamo.
Poi è arrivata nel 2012 la legge che vietava la commercializzazione di shopper in plastica non compostabile e i supermercati hanno cominciato a fargli pagare i sacchetti bio, anche se la prassi di allungarne qualcuno gratis non è mai scomparsa. Non c’è stata purtroppo ad oggi una reale e diffusa sensibilizzazione ad un consumo responsabile degli shopper monouso di qualunque materiale. Sono ancora tante le famiglie che continuano a prendere e accumulare sacchetti monouso biodegradabili e compostabili ceduti dai supermercati pensando di “fare bene” all’ambiente. Di pari passo avere i sacchetti in plastica ceduti gratuitamente nei negozi e nei mercati non ha certamente aiutato.
Per sostenere la valenza ambientale della misura in questo contesto, che presenta i sacchetti in bioplastica come un’alternativa meno impattante dei sacchetti tradizionali, è necessario, a nostro parere, intervenire in contemporanea sui seguenti fronti :
1) Rendere effettivamente compostabili i sacchetti della GDO risolvendo il problema dell’etichetta che ostacola il compostaggio : smaterializzandola oppure realizzandola in materiale compostabile con inchiostri adeguati. Dubitiamo però che si troveranno soluzioni a brevissimo termine su questo aspetto, anche se non è per nulla marginale.
2) Permettere azioni di riduzione e ottimizzazione degli imballaggi che sono già possibili o tollerate già da ora in alcuni punti vendita della GDO come apporre ad esempio l’etichetta direttamente sul prodotto per alcune tipologie di ortofrutta (melone, banane, melanzana, ecc) oppure mettere un paio di referenze diverse nella stessa busta. La GDO non può più esimersi, come verrà chiarito più avanti, dal trovare delle soluzioni per permettere ai propri clienti di usare meno imballaggio.
I clienti dal prossimo gennaio saranno nella condizione “ottimale” per rilevarle e apprezzarle. Queste stesse azioni saranno d’altronde quelle che i consumatori potranno mettere in pratica dal verduriere sotto casa o al banco del mercato, dove le diverse tipologie di ortofrutta possono andare direttamente nella borsa, come facevano i nostri nonni.
3) Last but not least : adottare una propria linea di sacchetti ortofrutta riutilizzabili. La prima iniziativa in questo senso è stata lanciata dalla nostra associazione nel 2010 all’interno della nostra prima campagna nazionale Porta la Sporta. Denominata “Mettila in rete” proponeva una borsa a rete prodotta in Italia realizzabile in cotone e in poliestere (anche da riciclo). Questa opzione alternativa “volontaria” che le insegne dei supermercati potrebbero sviluppare in collaborazione e co-progettazione metterebbe a tacere tutte le rimostranze e gioverebbe alla causa, anche come comunicazione. Se il motivo di un provvedimento è di ordine ambientale la gerarchia di europea di gestione dei rifiuti ci dice che dopo la prevenzione, l’opzione ambientalmente più efficace è il riuso, ancor prima del riciclo o compostaggio. Per la grande distribuzione ridurre gli ordinativi di sacchetti tra shopper alle casse e sacchetti ortofrutta rappresenta pur sempre una riduzione dei costi di gestione complessivi. Introdurre i sacchetti ortofrutta riutilizzabili ha sì un costo iniziale che viene però poi ammortizzato, una volta che il sistema è a regime.
PRIME INIZIATIVE NELLE FIANDRE E COOP SVIZZERA
Nelle Fiandre è la stessa associazione del commercio che ha coordinato un progetto pilota di utilizzo di sacchetti riutilizzabili in alcuni punti vendita delle insegne leader della GDO per raggiungere l’obiettivo di riduzione per le borse di plastica in materiale leggero (sotto i 50 micron) e ultraleggero (sotto i 15 micron) in recepimento della direttiva UE 2015/720 (che modifica la direttiva imballaggi (94/62/CE) . In svizzera la Coop è andata oltre alle chiaccheremettendo a disposizione dei clienti delle retine Multi-Bag realizzate in Lenzing-Modal®, una fibra a base di cellulosa ricavata da legno di faggio sminuzzato certificato FSC (Forest Stewardship Council). Un set di tre retine costa 4,95 franchi (circa 4,55 €). I clienti da Coop possono utilizzare queste retine o altri sacchetti portati da casa (purché semitrasparenti) e mettere più prodotti nella stessa retina (vedi infografica). Abbiamo più di un “sospetto” per pensare che l’iniziativa svizzera possa essesi ispirata anche alla nostra “Mettila in rete“ . Purtroppo, come spesso accade in Italia quando capita di precorrere i tempi in qualche campo, succede che per qualche motivo ci si blocchi, e le nostre idee trovino applicazione oltre frontiera.
Insegne com e Simply*, Conad Leclerc , Coop, Gruppo Gabrielli**, l’avevano valutata, e addirittura effettuato qualche singolo progetto pilota. Evidentemente però i tempi non erano abbastanza maturi per implementare il sistema e in particolare a spingere le insegne a trovare le soluzioni ad alcune piccole criticità come la gestione di due tare e l’approvvigionamento/gestione dei sacchetti riutilizzabili.
A distanza di pochi anni lo scenario è però cambiato. A livello legislativo le direttive europee sui rifiuti e del pacchetto sull’economia circolare (in prossima uscita) impongono ai paesi membri obiettivi più stringenti in termini di prevenzione, riduzione, riciclo dei rifiuti e di efficienza nell’uso delle risorse. Allo stesso tempo sta crescendo nell’opinione pubblica la preoccupazione sull’impatto della plastica nei mari e sulle ripercussioni sulla salute umana visto che la plastica è entrata nella catena alimentare.
SCONFIGGERE IL MERCATO DEI SACCHETTI ILLEGALI
Assobioplastiche confida nell’applicazione di questa legge per reprimere la pratica illegale di diciture quali “sacchetti a uso interno” messa in atto per eludere la legge sugli shopper che ha determinato che questi sacchetti siano ancora utilizzati in larga parte del commercio ambulante e negozi di prossimità. Per prevenire questo fenomeno alla radice sarebbe stato sufficiente, anni fa, rendere onerosa per legge la cessione di tutti i sacchetti per asporto merci, così come si è fatto in Olanda per plastica e bioplastica dal gennaio 2016. Altrimenti risulta incomprensibile al cittadino perché alcuni sacchetti possano essere ceduti a titolo gratuito, ad esempio in farmacia, e in altri settori no, con il risultato che l’esercizio commerciale che rispetta la legge viene sospettato di voler lucrare sui sacchetti e quello che la contravviene (cedendo gratuitamente qualsiasi tipo di sacchetto) viene guardato con occhio benevolo.
Qualora tutti gli esercizi del commercio venissero obbligati per legge a trasferire in modo trasparente il costo sui clienti, questa leva economica farebbe calare drasticamente il consumo di sacchetti monouso a favore di opzioni riutilizzabili. Infondere consapevolezza e informazione sulla necessità di fare un uso efficiente di tutti i materiali resta un compito importante al quale assolvere da parte del governo attraverso tutti i possibili canali e strumenti e di tutti gli stakeholder che condividono questo obiettivo.
PLASTICHE E BIOPLASTICHE UN REBUS PER I CONSUMATORI
Questo provvedimento potrebbe inoltre contribuire a ridurre gli attuali errori di conferimento a fine vita da parte dei cittadini che confondono tra loro plastiche tradizionali e bioplastiche, anche se non sarà mai possibile escluderli del tutto a causa della somiglianza tra i due materiali. Questo dato di fatto che riguarda il fine vita delle bioplastiche ancora non viene considerato quando si progettano prodotti e campi di applicazione per questi materiali e si rischia di fare gli stessi errori di valutazione che si fecero con le plastiche tradizionali.
Infatti, tra gli altri adempimenti obbligatori della normativa che concernono la comunicazione, è previsto l’obbligo di apporre sui sacchetti elementi identificativi e diciture che possano fornire informazioni sull’uso e conferimento dei sacchetti ultraleggeri a fine vita.
Plastiche e bioplastiche hanno destinazioni diverse a fine vita , pena la contaminazione dei rispettivi circuiti. In Olanda gli impianti di compostaggio lamentano un aumento della plastica tradizionale nell’organico che non si era mai vista prima dell’avvento delle bioplastiche immesse al commercio. Anche Plastic Recyclers Europe ha recentemente allertato sulla presenza di bioplastiche nei flussi di plastica tradizionale provenienti dal sud Europa (dove sono più alte le quantità immesse al consumo rispetto al nord) che creano problemi al riciclo .
Per evitare che si ripetano situazioni che confondono i cittadini come avvenuto, ad esempio, con i colori dei cassonetti della differenziata diversi in ogni regione, sarebbe importante definire e optare per una dicitura unica da apporre su tutti i sacchetti ultraleggeri compostabili in tutto lo stivale, rafforzata da una comunicazione altrettanto omogenea per tutto il territorio nazionale e presente in tutti i punti vendita .
Quando l’Olanda decise di introdurre nel 2016 l’obbligo di fare pagare i sacchetti in plastica e bioplastica mise a disposizione degli esercizi commerciali un sito informativo e tutta una serie di template e poster scaricabili da esporre al pubblico.
Ci auguriamo che i produttori dei sacchetti che verranno commercializzati con il prossimo anno (e loro associazioni di riferimento) si siedano al più presto intorno ad un tavolo indetto dai ministeri per l’ambiente e lo sviluppo economico per definire, tra le altre questioni correlate al provvedimento, un approccio di comunicazione unico verso i cittadini. A tale tavolo dovrebbe partecipare insieme al Conai un’ampia rappresentanza di tutti i soggetti coinvolti e che possono dare un contributo importante come rappresentanti delle istituzioni governative, ANCI, associazioni di categoria come Federalimentare e Federdistribuzione, associazioni dei consumatori, ecc
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