Né bio, né plastica: la vecchia sporta, ritorno al futuro?
Paolo Hutter fa il punto della situazione sulla messa al bando degli shopper: “Non è detto che la plastica biodegradabile sia l’unica alternativa per il futuro”. Tanto per cominciare, ricominciamo dalla sporta. Da La Repubblica Ed. Milano del 04.01.2011
04 January, 2011
Paolo Hutter
Com'era ovvio e prevedibile l'entrata in vigore da sabato 1° gennaio del bando dei sacchetti di plastica ha generato un po' di confusione, speranze, timori, ma ha davanti a sé ancora un lungo tragitto prima di mostrare tutti i suoi frutti. Per ora ha solamente dato un po' di incoraggiamento a chi aveva già avviato – per ragioni culturali o commerciali – una riconversione verso i sacchetti di carta o di bioplastica. Ma per il resto abbiamo avuto un Natale pieno di buste di plastica e non era pensabile che in dieci giorni cambiasse il mondo. Anzi, c'è chi ha già pensato di approfittarne per far pagare anche quelle bio.
Il governo ha deciso solo all'ultimo momento – grazie ad un'impennata di orgoglio “ambientalista” della Prestigiacomo – di non prorogare di un altro anno la commercializzazione dei sacchetti e non era pensabile che senza un'adeguata preparazione il divieto potesse realmente tradursi in realtà. D'altra parte le grande distribuzione ha avviato solo parzialmente e timidamente nel corso dell'ultimo anno la transizione togliendo e/o facendo pagare gli “shoppers” di plastica mentre complessivamente il commercio pur sapendo da anni che il provvedimento del governo Prodi sarebbe entrato in vigore – era già previsto per il 2010 – ha fatto una specie di resistenza passiva.
Siamo arrivati negli ultimi anni a ricevere buste leggerissime di plastica anche per una sola mela al mercato, è già tanto che non ce le diano all'edicola per portare i giornali. Il quadro complessivo in cui si inserisce il bando dei sacchetti di plastica è piuttosto paradossale. Da qualche anno infatti queste buste possono e devono – per i regolamenti comunali dei rifiuti – essere raccolte in modo differenziato nella plastica e riciclate, cioè utilizzate per riprodurre plastica. Viceversa laddove non si fa la raccolta differenziata dell'organico – è il caso di quasi tutta Milano – i sacchetti “biodegradabili” devono finire nel sacco nero dei rifiuti da avviare a discarica o inceneritore. E anche per quanto riguarda il ciclo di vita, ovvero il calcolo dell'energia necessaria per produrre qualcosa, è probabile che i produttori tradizionali non abbiano torto quando dicono che un robusto sacchetto di plastica dura molto di più – e poi si ricicla – e che quindi la produzione dei biodegradabili anche se non deriva dal petrolio risulta alla fin fine più energivora. Insomma, non è detto che il sacchetto biodegradabile sia l'alternativa del futuro.
Sia chiaro: in tutto il mondo è in atto la tendenza a superare la follia dell'utilizzo universale dei sacchetti di plastica usa e getta ma un bando totale, come quello che sulla carta stabilisce la nuova legge italiana, in Europa ancora non c'è. Non è facile prevedere se davvero – dopo alcuni mesi di transizione sotto la dicitura che occorre “esaurire le scorte” - i sacchetti spariranno o se la legge resterà lettera morta. Intanto ciascuno di noi può pensare a cosa è meglio davvero per l'ambiente. E' la pratica degli usa e getta – che sia di plastica o di carta o biodegradabile – che va superata a vantaggio di nuove ma soprattutto di vecchie soluzioni pratiche, come quella di portarsi sempre dietro una sportina leggera e resistente.