Reggio Emilia: si spegne il forno, si sceglie il “freddo”. Intervista all'assessore provinciale all'Ambiente
A maggio 2012 è previsto lo spegnimento dell'inceneritore di Reggio Emilia. La scelta di non costruire un nuovo termovalorizzatore puntando sull'aumento della raccolta differenziata e il trattamento (a freddo) meccanico-biologico. Intervista di Eco dalle Città a Mirko Tutino, assessore all'Ambiente della Provincia di Reggio Emilia
09 February, 2012
Inizierei chiedendole di ripercorrere brevemente le tappe che hanno portato alla decisione di spegnere il termovalorizzatore di Cavazzoli. Quali sono le ragioni che hanno portato a questa decisione?
L'attuale termovalorizzatore di Cavazzoli è un impianto relativamente piccolo, datato 1970, con l'autorizzazione ambientale in scadenza nel 2012. Ha una capacità di 50 mila tonnellate che corrispondono a meno di un terzo dei rifiuti indifferenziati della provincia di Reggio Emilia. Si tratta inoltre di un impianto localizzato vicino all'autostrada e la zona adiacente nel corso degli anni ha avuto un certo sviluppo residenziale. Non era quindi pensabile né un rinnovo dell'autorizzazione né una sua ristrutturazione perché sarebbero serviti consistenti investimenti. La scelta sarebbe stata quindi quella di delocalizzare l'impianto oppure percorre strade alternative.
Un nuovo termovalorizzatore era già previsto dal PPGR - Piano provinciale gestione rifiuti del 2004. Sono entrato in carica alla fine del 2010. In quel momento era stato affidato alla “Oikos progetti” il compito di realizzare il nuovo Piano d'ambito. Nel PPGR esisteva una clausola di uscita, qualora ci fossero state condizioni e dati che avessero reso possibile un'opzione alternativa. Ho colto quindi l'opportunità per chiedere alla Oikos, anziché discutere di termovalorizzatore, di ragionare su un Piano d'ambito che puntasse sulla strada del recupero di materia. Abbiamo quindi elaborato un modello che prevede il raggiungimento di una percentuale di raccolta differenziata del 67% e un sistema di raccolta domiciliare per quanto riguarda l'organico. La raccolta dell'umido ci permetterà quindi di ridurre l'organico presente attualmente nell'indifferenziato. L'umido avrà poi due destinazioni: gli scarti provenienti dal verde di sfalci e potature saranno destinati alla produzione di ammendante mentre lo scarto da cucina sarà destinato al biogas.
A questo punto, per l'indifferenziato, ho chiesto di pensare a un impianto per il trattamento meccanico-biologico capace di ridurre da 170 mila tonnellate/anno (previste dal PPGR 2004) a 26 mila tonnellate la frazione residua: una cifra che può essere gestita dal mercato senza bisogno di accordi provinciali. Dall'impianto di Tmb escono inoltre materiali recuperabili: ad esempio, circa 50 mila tonnellate di materiale di biostabilizzato che potrà essere usato per la copertura delle discariche esistenti. Un impianto così esiste già e abbiamo in programma di visitarlo: è in funzione presso l'Ecopark 4 di Barcellona.
L'Emilia Romagna ha un potenziale di combustione di un milione di tonnellate. Se tutte le province si dotassero di un modello analogo, potremmo ridurre il numero di inceneritori in regione.
Con l'adozione del nuovo modello basato su una maggiore percentuale di raccolta differenziata e l'utilizzo del trattamento meccanico-biologico non prevedete un aumento dei costi per la gestione dei rifiuti solidi urbani? Non risultava più conveniente, dal punto di vista economico, lo smaltimento tramite recupero di energia?
Ci saranno degli aumenti. Avremo però un aumento dei costi decisamente inferiore rispetto al costo che avremmo dovuto affrontare per un termovalorizzatore della capacità di 150-200 mila tonnellate. E questo impianto sarebbe costato quattro volte di più rispetto all'impianto di trattamento meccanico-biologico. Inoltre il maggior costo per la raccolta potrà essere compensato dal maggior recupero di materia riducendo il costo di smaltimento. Si stanno attivando già investimenti per la filiera del recupero.
Inoltre nel sostenere i maggiori costi del sistema complessivo è stato previsto che l'aumento fosse distribuito in modo omogeneo su tutto il territorio non penalizzando quei comuni che adottano sistemi più onerosi in termini di costi. Questo si affianca a un meccanismo provinciale di tassazione sullo smaltimento.
La provincia di Reggio Emilia ha 500 mila abitanti. Attualmente circa 70 mila cittadini sono serviti dal porta a porta a macchia di leopardo sul territorio. Contiamo di arrivare a poco più della metà degli abitanti serviti dal porta a porta e il restante 45% da un sistema capillarizzato. Il nuovo modello (porta a porta e capillarizzata) avrà un costo del 25% in più. La scelta è stata fatta in base alla conformazione geografica del territorio: il porta a porta nella parte settentrionale della provincia con i centri abitati più grandi e il sistema capillarizzato nei comuni dell'Appenino dove puntiamo anche qui di arrivare al 57-58%.
Il sistema capillarizzato prevede contenitori in strada per plastica, vetro, carta e organico di fianco al cassonetto dell’indifferenziato. Il sistema porta a porta riguarderà invece l'organico mentre rimarranno stradali le raccolte di vetro, carta e plastica. Per questi materiali registriamo elevati livelli di qualità. Nell'indifferenziato non si registra la presenza di vetro e carta rimane, tuttavia, solo un po' di plastica che cercheremo di intercettare attraverso campagne mirate e attraverso un aumento del numero di cassonetti per la plastica.
Crede che il vostro esempio sia un modello esportabile anche in territori con percentuali di raccolta differenziata più bassa della provincia di Reggio Emilia (che nel 2010 ha raggiunto il 58,4%)?
Si tratta di un modello che può realizzarsi anche in zone che partono da percentuali di raccolta differenziata più arretrate: è chiaro che potrebbe volerci più tempo. Fino ad ora abbiamo visto modelli che sono molto localizzati come ad esempio quello di Capannori. In questo caso credo si tratti di un sistema di dimensioni industriali. Vediamo come procederà.