Dove vanno a finire i sacchetti compostabili?
Dove vanno a finire i sacchetti compostabili che entrano nelle case degli italiani? E’ vero che dagli impianti di compostaggio possono tornare in discarica? Quanti di questi vengono intercettati dalla filiera della plastica? Ne parliamo con Marco Versari, presidente di Assobioplastiche
27 February, 2012
Il DL Ambiente approvato in Senato ha confermato il criterio di compostabilità ai sensi della norma norma Uni En 13432:2002 per la commercializzazione dei sacchetti usa e getta non riutilizzabili. Destinazione finale: compostaggio, attraverso la raccolta dell’umido organico. Ma è vero che dagli impianti di compostaggio possono tornare in discarica? Quanti di questi vengono intercettati dalla filiera della plastica? Ne parliamo con Marco Versari, presidente di Assobioplastiche.
Cominciamo dagli impianti di compostaggio: il rischio che i sacchetti in bioplastica vengano scartati come frazione estranea e rispediti in discarica è concreto?
Purtroppo è vero che in Italia esistono ancora impianti di vecchia generazione, progettati e costruiti prima dell’arrivo delle bioplastiche, e si tratta di impianti in cui la selezione delle impurità viene fatta a monte con dei rompisacco o con sistemi di vagliatura pensati per eliminare la plastica: strumenti che non sono ovviamente in grado di differenziare tra plastica e bioplastica. Ma stiamo parlando di una minoranza, e ormai si andrà sempre più verso l’adeguamentodell’impiantistica. (NdR: abbiamo chiesto al Consorzio Italiano Compostatori quanti impianti oggi si trovino in questa condizione, ma al momento il dato non è disponibile, anche se il Direttore Massimo Centemero ha confermato che si tratta di una minoranza. Torneremo sull'argomento a breve). Il respingimento dei sacchetti compostabili avviene esclusivamente dove gli impianti di compostaggio sono obsoleti, non c’è nessun problema di incompatibilità del materiale. Anzi: secondo il CIC, la qualità del compost è migliorata di circa 6, 7 punti percentuali.
(NdR: “Dati recenti – recita il Rapporto annuale CIC 2011 - stimano che se la raccolta della frazione organica domestica venisse effettuata con sacchetti in PE la media dei materiali non compostabili (MNC) presenti si aggirerebbe intorno al 7,05% mentre per raccolte effettuate con manufatti biodegradabili e compostabili la quota di MNC si abbasserebbe fino a 1,55%).
Ma non c’è il rischio che un incremento pesante di bioplastica all’interno del compost finisca alla lunga per danneggiarne la qualità?
Un sacchetto di bioplastica da 10 g contiene 2 kg di umido. Ci rendiamo conto di quali percentuali stiamo tirando in causa? Le prove effettuate dal C.I.C., proprio per valutare un eventuale peggioramento qualitativo della raccolta vennero superate senza problemi con percentuali di gran lunga superiori a quelle effettive. Piuttosto, ricordiamoci che negli impianti di compostaggio finiscono ogni anno 100.000 tonnellate di imballaggi in plastica: è il 15% di quel che recupera il Conai.
(NdR: Leggiamo sempre dal rapporto CIC 2011, in cui le stime, riferite però a dati 2009, sono ancora più alte: “La produzione di compost di qualità è stimata in 1 mln t/anno, mentre gli scarti di lavorazione assommano al 9% che, in termini assoluti, equivalgono a ca. 332.000 t/anno di rifiuti. Le plastiche corrispondono a ca. il 30-40% pari a 120.000 t/anno di plastiche smaltite dal “sistema raccolta dell’organico” da parte di impianti di compostaggio, delle quali almeno il 50% sono imballaggi in plastica”).
Torniamo al fine vita dei sacchetti compostabili: è possibile fare una stima di quanti di questi ad oggi vengano effettivamente recuperati negli impianti di compostaggio, quanti rientrino per errore nel circuito della plastica e quanti vengano dispersi nell'ambiente?
Nella raccolta dell’umido lo shopper ha ormai sostituito il “sacco dedicato”, quello che si acquistava esclusivamente per la raccolta dell’organico. Il sacchetto biodegradabile è ormai la scelta numero 1 per il compostaggio, ma il punto è capire quanti di questi sono effettivamente compostabili e quanti invece non dovrebbero essere conferiti nel compost. Purtroppo i dati non sono affatto uniformi sul territorio nazionale.
(Ndr: citiamo i dati estrapolati da una presentazione di Massimo Centemero "La criticità della presenza delle plastiche nel circuito della raccolta differenziata dell’organico" (gennaio 2012): in Italia nel 2011 per la raccolta dell’umido sono stati utilizzati sacchi e sacchetti in plastica per il 46%, sacchetti compostabili per il 44%, sacchetti che la legenda chiama “sedicenti biodegradabili” – ma non compostabili – per il 10%. La situazione varia però notevolmente prendendo in esame regioni diverse. In Lombardia i sacchetti “sedicenti biodegradabili” sarebbero lo 0%. Quelli compostabili il 76%, e quelli in plastica il 24%. In Campania i biodegradabili salgono al 24%, i compostabili scendono al 35% e la plastica tradizionale sale al 41%).
Per quanto riguarda la quantità di bioplastica che finisce per errore nel circuito del riciclo della plastica tradizionale posso solo anticipare che sono già stati fatti degli studi assieme al Conai e che a breve i risultati dovrebbero essere diffusi. Non mi è permesso anticipare i risultati, ma garantisco che come Assobioplastiche non abbiamo nulla da nascondere. Anzi, saremo molto felici quando lo studio verrà reso noto. Da ultimo, se parliamo di dispersione nell’ambiente è ovviamente difficile fare stime. Diciamo che se i sacchetti in circolazione sono diminuiti del 50%, la speranza è che la dispersione nell’ambiente sia calata altrettanto.
Un’ultima domanda sul testo dell’art. 2 del DL Ambiente. Abbiamo chiesto un commento ad Apibags e ad Assoecoplast. Come valutate voi le novità approvate dal Senato?
Si è tenuto conto delle esigenze di alcune categorie di produzione che esulano dal classico sacco da asporto merci usa e getta, e a mio parere possono effettivamente essere considerate in modo diverso. E’ chiaro che si tratta di un compromesso, ma non siamo scontenti. La prima modifica, quella che consente la produzione di sacchetti in plastica spessi 60 micron per i sacchettini da boutique è una concessione fatta ad un settore che ha sempre presentato le proprie ragioni in modo corretto, mi pare. Dunque le loro richieste sono state accolte. Ciò che non si può accogliere è uno scardinamento del sistema, non si può far diventare compostabile ciò che non lo è.
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4 commenti
Scrivi un commentowglishoppers
04.03.2012 10:03
sono già stati fatti degli studi assieme al Conai e che a breve i risultati dovrebbero essere diffusi
non occorre fare degli studi. basta prendere 10kg disacchetti compostabili e rigenerarli con 1000kg di polietilene per rendersi conto che bisogna buttare tutto in discarica.
aspettano gli studi. non sanno piu come prenderci in giro.
produco entrambi
29.02.2012 10:02
Il sacchetto di plastica ha (almeno) un' UTILITA'!
I piatti i bicchieri e le posate di plastica sono (solo)una COMODITA'!
Non mi spiego come mai tra le 2 tipologie di prodotti, dai quali iniziare un cambiamento di abitudini, il meno doloroso possibile sia per i consumatori che per i produttori, si sia scelto il metodo più doloroso sia per i produttori che per i consumatori.
In questo anno passato ho letto molte volte "questa è l'italia" e purtroppo devo solo convenire.
Si poteva iniziare dai piatti, bicchieri e posate in materiale compostabile, che per ASSURDO, sono i pordotti che non sono nemmeno riciclabili, al contrario dei sacchetti!
Cose da pazzi!
Volete sapere perchè non si è iniziato da quei prodotti?
La risposta è: PLA. Non conviene usare altri materiali compostabili, ma per qualità prezzo conviene il PLA. Infatti quei pochi piatti e bicchieri che si vendono a norma EN13432 sono fatti in PLA.
E quindi? A voi le conclusioni...meditate gente!
Quindi alla fine, si mettono al bando i sacchetti in plastica RICICLABILI e si lasciano produrre tranquillamente piatti bicchieri e posate in PLASTICA che non sono nemmeno RICICLABILI.
Assurdo? No amici, si chiama Business. E il bando dei piatti e bicchieri di plastica non avrebbe fatto girare il Business nel verso giusto!
Ma dobbiamo comunque rallegrarci, almeno così dicono gli ambientalisti, o meglio, presunti tali, loro sono contenti...
Lo saranno meno le famiglie che resteranno senza reddito, gli imprenditori falliti, lo stato con meno tasse, i grossisti che chiuderanno, i rivenditori pure...
Però, gli ambientalisti saranno contenti, le pochissime aziende che produrranno shoppersbio anche, i produttori di sacchetti di carta anche e ovviamente chi produce bioplastica.
Ci sono tanti tasselli che non tornano, ma nessuno vuole andare fino in fondo, io non posso che dare degli input: ecoflex, bio-on.
In italia si dice: "non c'è peggior sordo, di chi non vuol sentire!"
sacchettaro
28.02.2012 17:02
E' incredibile come vanno le cose in Italia, un sacchetto da 60 micron con il manico a fagiolo da boutique è cosiderato riutilizzabile ed esenta dal bando, mentre un sacchetto a canottiera che per eccellenza è quello più riutilizzabile di tutti, per la spesa e per la raccolta del secco, viene bandito! Ditemi voi quanto andate in una boutique e vi danno un sacchetto a fagiolo cosa ve ne fate? NIENTE ! Solitamente siamo pieni a casa di questi sacchetti inutiuli! Però in Italia funziona tutto così!
produttore
28.02.2012 08:02
Si possono fare tutti gli studi che vogliamo per far passare la plastica come dannosa, ma la cosa che mi fa ridere è: quanta della plastica che si ritrova nel compostaggio proviene dai sacchetti? E quanta plastica invece proviene da altri oggetti? Un sacchetto di plastica mediamente pesa 8g un vasetto di yogurt molti di più...
fin quando la guerra sarà ai sacchetti non ci sarà nessuno che vorrà specificare ciò, è ovvio, loro tirano l'acqua al loro mulino, la cosa che più mi infastidisce è che chi ci dovrebbe difendere, con giuste motivazioni non lo fa...