La Procura di Taranto ricostruisce per la prima volta la vicenda processuale Ilva
Dal sequestro preventivo senza facoltà d’uso dell'area a caldo (luglio 2012) fino al provvedimento di sequestro dell'acciaio prodotto malgrado il divieto. Dalla “restituzione” degli impianti sequestrati grazie alla legge salva Ilva fino ai dubbi sulla legittimità costituzionale delle norme. Il comunicato stampa diffuso dalla Procura di Taranto
24 January, 2013
Con riferimento alla ormai ben nota vicenda processuale concernente ipotesi di reato per fatti di inquinamento a scritti, fra l’altro, ad alcuni vertici aziendali dello stabilimento dell’azienda ILVA di Taranto si ritiene opportuno fornire alcuni chiarimenti in ordine agli sviluppi tecnici del procedimento.
1. A seguito di un primo provvedimento emesso dal G.I.P. del Tribunale di Taranto su richiesta di questa Procura, è stato disposto (luglio 2012) il sequestro preventivo senza facoltà d’uso di alcuni impianti dello stabilimento, ritenuti particolarmente pericolosi ed inquinanti dai consulenti tecnici officiati dal predetto Giudice nel corso di un incidente probatorio. Tale provvedimento è stato sostanzialmente confermato dal Tribunale in sede di ricorso, soprattutto in relazione alla non concessione della facoltà d’uso e con alcune prescrizioni tecniche ulteriori, allo scopo di salvaguardare - se possibile – l’integrità degli impianti medesimi.
I tecnici officiati dal G.I.P. hanno immediatamente avviato le procedure per pervenire alla definitiva attuazione del provvedimento di sequestro, procedure che si sono protratte nel tempo a causa di una serie di difficoltà via via insorte. Nel frattempo (periodo agosto novembre) l’attività di produzione mediante l’utilizzazione degli impianti sequestrati è continuata malgrado il divieto sostanziale imposto dal provvedimento di sequestro, sicché questa Procura ha chiesto ed ottenuto dal G.I.P. (fine novembre 2012) un ulteriore provvedimento di sequestro del materiale prodotto illecitamente nel citato periodo, sia per evitare che il reato fosse portato ad ulteriori conseguenze perfezionandosi cin la realizzazione del profitto ingiusto (art. 321 primo comma CPP.), sia perché tale materiale costituiva “prodotto, profitto e/o prezzo del reato”, essendo, quindi, suscettibile di confisca.
Un tale provvedimento si faceva riserva di ulteriori valutazioni in merito al materiale che avrebbe potuto essere prodotto nel prosieguo, sicché si procedeva al sequestro di quello depositato in varie zone dello stabilimento e lì giacente presumibilmente da alcuni mesi (periodo agosto novembre). Le impugnazioni proposte avverso tali provvedimenti risultano per il momento respinte.
Recentemente è stata approvata e promulgata la ormai nota legge di conversione del decreto legge emesso pochi giorni dopo il provvedimento di sequestro, in virtù della quale l’azienda (che già aveva ottenuto, in virtù del citato decreto, la “restituzione” degli impianti sequestrati) ha chiesto anche la restituzione del materiale prodotto fino a tutto il mese di novembre. Questa Procura (che già aveva disposto, come detto, la reimmissione dell’azienda nel possesso degli impianti che, in definitiva, hanno potuto continuare l’attività produttiva, peraltro mai interrotta), si è rivolta al G.I.P. ritenendo che la restituzione, disposta per altro anche in via retroattiva, dell’acciaio sequestrato, non poteva essere effettuata, sussistendo concreti dubbi sulla legittimità costituzionale delle norme do cui si invocava l’applicazione, sollevando altresì, questioni ulteriori riguardanti presunti vizi coinvolgenti l’intera legge.
Tale questione veniva esaminata sia dal Tribunale dell’appello (già attivato dall’azienda con precedente ricorso è solo in relazione alla richiesta di dissequestro del materiale) sia da G.I.P. nuovamente adito. Entrambi tali Organi giudicanti hanno ritenuto non manifestamente infondate le questioni sollevate e quindi le hanno rimesse alla Corte Costituzionale, sospendendo la decisione sulla richiesta di dissequestro del citato materiale prodotto.
Tanto in base all’espresso dettato normativo che testualmente recita, all’art. 23 secondo comma della legge 11.3.53 n.87: “l’autorità giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale è non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale… dispone l’immediata trasmissione degli atti alla corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso”.
Doverosamente, quindi, i predetti Organi giudicanti, nel momento in cui hanno rimessola questione alla Consulta, hanno sospeso la decisione sulla richiesta di dissequestro in attesa del relativo pronunciamento. Ovviamente, allo stato, l’azienda può continuare la sua attività di produzione in quanto l’indicato provvedimento di sospensione della decisione non riguarda tale diverso aspetto.
2.Oggetto delle ulteriori contestazioni quindi, è solo la richiesta di restituzione del materiale prodotto nei quattro mesi antecedenti il secondo provvedimento di sequestro, la cui disponibilità viene considerata dall’azienda assolutamente ed ineluttabilmente indispensabile per garantire la sua attività che, in caso contrario, dovrebbe essere sospesa per insuperabili difficoltà finanziarie. Tutto ciò pur essendo essa abilitata alla commercializzazione dell’acciaio prodotto dalla data del decreto legge in poi.
Giova evidenziare a questo, punto, che - come ovvio e assodato – l’Autorità Giudiziaria può assumere le sue determinazioni silo ed esclusivamente nell’ambito delle vigenti disposizioni processual-penalistiche, mentre le è vietata una qualunque decisione che dovesse basarsi invece su mere considerazioni di opportunità, anche di tipo sociale-economico, specialmente nel caso in cui tale determinazione potrebbe determinare una possibile sopravvenuta decadenza (inammissibilità) della questione di legittimità costituzionale per essere venuta meno la rilevanza della questione stessa. Comunque, va ribadito l’indicato principio fondamentale e cioè che all’Autorità Giudiziaria non è consentita l’adozione di misure “di compromesso”, magari anche comprensibili da diversi altri punti di vista, ma che non rovino il loro fondamento in specifiche disposizioni normative processuali e penali.
È, quindi, possibile rivalutare, in tutto o in parte, eventuali questioni poi insorte, però sempre nei limiti di cui sopra: sotto tale punto di vista non ci si sta sottraendo a tale valutazione, così come evidenziato anche al signor Ministro dell’Ambiente nel corso dell’incontro-sereno e, a tratti, anche cordiale- con lui avuto.
3.Una ulteriore precisazione va fatta in merito al conflitto di attribuzione fra Poteri dello Stato, sollevato a parte direttamente da questo Ufficio.
Anche tale tipo di questione va sottoposta (come quella incidentale di legittimità) alla Corte Costituzionale. Questa, però, non sospende la esecuzione del provvedimento normativo impugnato e viene esaminata dalla Consulta solo dopo la preliminare valutazione della sua ammissibilità, da effettuare in una udienza riservata e in camera di consiglio, udienza già fissata per la metà di febbraio.
Tale iniziativa, all’atto pratico, perde ora gran parte della sua importanza essendo state poi proposte le eccezioni di legittimità costituzionale il che potrebbe comportare una preliminare valutazione di inammissibilità: comunque questo Ufficio, trattandosi di questione controvertibile, ha ritenuto di rimettere ugualmente ogni valutazione alla Suprema Corte.
4.Come è ben risaputo, questo Ufficio segue da sempre una linea di riservatezza sia pur moderata, nelle comunicazioni pubbliche. Si è ritenuto però, in questo caso, di fornire qualche chiarimento, soprattutto tenendo conto del particolare interessa sollevato dalla vicenda processuale in questione e ciò anche con il conforto di identico parere sia dei valorosi Colleghi con i quali ho l’onore di collaborare, sia del signor Procuratore Generale, pienamente edotto dei termini di ogni vicenda.