Sacchetto d'Africa
Anche il Continente Nero si mobilita contro l'invazione degli shoppers di plastica. Diamo uno sguardo alle politiche e pratiche per ridurre i consumi dei sacchetti di plastica in Africa
04 June, 2009
Massimiliano Milone
Il sacchetto di plastica, simbolo della modernizzazione, ha creato problemi di vasta portata alle comunità rurali e urbane africane, che inizialmente lo avevano “abbracciato” in sostituzione di tutte le borse fatte di materiali naturali, originari del luogo e completamente biodegradabili.
Oggi l’Africa, motivata da un clima di devastazione ambientale diffusa, ha avviato una serie di provvedimenti nel tentativo di eliminare i miliardi di sacchetti usa e getta, che invadono tutto il continente. Divieti totali, regole di spessore minimo, tasse elevate sui sacchetti, politiche ambientali basate su riciclo ed eco-fashion, progetti internazionali di economia sostenibile, iniziative di sensibilizzazione ed educazione ambientale, petizioni su social network come Facebook sono solo alcune delle azioni che l’Africa sta coraggiosamente avviando da qualche anno.
In Sudafrica chi distribuisce gratuitamente il “fiore nazionale” rischia l’arresto
Il Sudafrica, noto come il paese del “national flower” (fiore nazionale) a causa dei numerosi sacchetti di plastica presenti quasi ovunque, ha reso illegale il sacchetto di plastica usa e getta.
La nuova legge, entrata in vigore nel maggio 2003, autorizza i sacchetti di plastica con uno spessore minimo di 30 micron (un micron è un millesimo di millimetro) e vieta la circolazione di sacchetti più sottili di 30 micron. La legge inoltre introduce un costo per i sacchetti a carico del cliente ed obbliga i rivenditori che distribuiscono gratuitamente i sacchetti a pagare una multa di 100.000 rand (circa 8.900 €) o a scontare una pena fino a dieci anni di prigione.
Il passaggio dai sacchetti con spessore medio di 17 micron ai sacchetti con spessore minimo di 30 micron è già iniziato nel 2001.
«Ogni sacchetto di plastica ha una vita propria, ma non vogliamo che finisca sulla strada. Vogliamo che tutti, dal produttore al venditore al consumatore, contribuiscano al riciclo. I cittadini devono portare con sé i loro sacchetti quando vanno a fare i loro acquisti o possono comprare i sacchetti di plastica spessi, più facili da riciclare» ha affermato Phindile Makwakwa, portavoce per il Ministero dell’ambiente.
«Vogliamo evitare lo spreco dei sacchetti di plastica. La legge mira a ridurre l’uso del sacchetto del 50%. Attualmente il paese utilizza 8 miliardi di sacchetti all’anno. Speriamo entro un anno di vedere molti meno rifiuti lungo le nostre strade».
Il governo ha cercato di mettere al bando anche i sacchetti di plastica sottili o con spessore inferiore ad 80 micron, ma la proposta ha causato una protesta dei sindacati e delle imprese. Il Congresso dei sindacati sudafricani (Cosatu) ha detto che tale manovra avrebbe portato alla chiusura di alcune fabbriche e alla perdita di 3800 posti di lavoro mentre i produttori di materie plastiche hanno dichiarato la loro impossibilità a produrre sacchetti più spessi, con le attrezzature a loro disposizione.
«Purtroppo il cambiamento per alcuni non è mai facile. La legge è la legge e siamo ottimisti sul fatto che la gente sia pronta. Una parte delle entrate derivanti dalla tassazione dei sacchetti sarà utilizzata per rilanciare l’industria del riciclo. Prevediamo in futuro nuovi posti di lavoro per questo settore» ha dichiarato la signora Makwakwa.
Alcuni sudafricani si oppongono alla nuova legge. Prima della sua entrata in vigore i negozianti distribuivano gratuitamente i sacchetti, ora a pagamento. «I sacchetti di plastica sono più costosi del cibo. Se bisogna comprare i sacchetti, anche i prezzi del cibo aumenteranno» ha detto un cittadino di Johannesburg alla BBC.
«Sono molto preoccupata. Ho quattro figli e hanno bisogno di cibo e vestiti» ha riferito una donna sudafricana, che fabbrica borse dai sacchetti.
Ma sono in molti a ritenere che questa nuova legge sia a vantaggio dell’ambiente.
L’iniziativa del governo di ridurre il numero di sacchetti di plastica nel paese è stata un successo, secondo Bill Naude, il direttore esecutivo della Plastics Federation of South Africa. «Lo scopo era quello di diminuire il numero di sacchetti e ci siamo riusciti» ha detto.
Rantsadi Moatshe, direttore del dipartimento di affari ambientali, ha evidenziato che, dalle indagini condotte dal dipartimento, si rileva un calo del 50% sull’acquisto di sacchetti usa e getta da parte dei consumatori. «Ciò implica che le regole introdotte sono riuscite a ridurre effettivamente il numero di sacchetti di plastica. Le strade ora sono molto più pulite: i consumatori hanno imparato a portare con sé le borse di stoffa, a riutilizzare i sacchetti di plastica spessa o ad acquistarli se li hanno dimenticati».
In Sudafrica la presa di coscienza dei problemi ambientali si traduce in innovazione
Le iniziative volte alla salvaguardia dell’ambiente si moltiplicano in Sudafrica.
A Johannesburg campeggia un enorme cartellone pubblicitario, fatto interamente con sacchetti di plastica riciclati: l’idea è venuta ad una famosa banca, la Nedbank, leader nella fornitura di servizi finanziari.
Lo slogan che si legge è molto eloquente: “Una sola banca può veramente essere chiamata banca verde”. Il cartellone, lungo 40 metri, è stato realizzato in sei settimane da un gruppo di sette creativi, che hanno utilizzato più di 2000 sacchetti di plastica riciclata.
Il responsabile marketing del gruppo bancario ha dichiarato: «Troppi sudafricani non capiscono che bisogna riciclare per preservare il nostro ambiente. Attraverso questo cartellone abbiamo concretamente dimostrato l’applicabilità dei principi del riciclaggio nella vita quotidiana e questo nostro sforzo deve servire da esempio ed ispirazione per i sudafricani».
Jenny Kirkland è una donna sudafricana, che utilizza i rifiuti scartati per fare cappelli, borse ed altri accessori che vengono venduti in tutto il mondo.
Parlando al “BBC World Service’s Everywoman programme” ha raccontato di aver reclutato 132 donne per aiutare la sua comunità di Obanjeni in Kwazulu-Natal e e di averle aiutate a provvedere alle loro famiglie.
«Queste donne sono appena sbocciate. Lavorano duramente per mantenersi. Contano sui soldi per sfamare le loro famiglie e per mandare a scuola i loro bambini».
Le donne creano cestini, cappelli e borse alla moda dai sacchetti di plastica buttati via. Ogni cappello è composto da circa 30 sacchetti di plastica, che vengono tagliati in strisce e lavorati all’uncinetto.
Ogni mese le donne trasformano circa 30 mila borse di plastica in prodotti, che ormai sono molto ricercati..
L’Afr-Eco Upliftment Project non solo ha contribuito a ripulire le strade, ma ha anche contribuito a innalzare il morale delle donne. «Questo progetto ha cambiato le loro vite. Hanno cambiato il modo in cui esse guardano alla vita, alla criminalità e all’AIDS. Sto convincendo queste madri ad istruire i loro bambini» ha spiegato Jenny Kirkland.
Localmente i cappelli e borse sono venduti tra 20 e 40 rand (tra 1,50 e 3,50 €), ma gli ordini arrivano anche da molto lontano (Canada, Polonia…).
I profitti derivanti da questo progetto vanno dritti nelle tasche di queste donne, che incassano ogni centesimo ricavato dalla vendita dei prodotti. Hanno scelto di investire sul loro futuro, contribuendo con il 10% del loro reddito globale ad un programma di alfabetizzazione per adulti, che finora ha coinvolto 41 donne.
In Rwanda chi usa i sacchetti di plastica infrange la legge
Nel 2006 il Rwanda ha vietato i sacchetti di plastica inferiori a 100 micron di spessore, sostenendo quest’iniziativa con campagne di sensibilizzazione.
Il Ministro dell’ambiente Drocella Mugorewera ha dichiarato alla BBC che chiunque usi i sacchetti di plastica infrange una legge in materia di tutela ambientale, volta a ripulire le città. Le persone devono utilizzare preferibilmente i sacchetti di carta; alcuni consumatori, tuttavia, preferiscono i più economici sacchetti di plastica riutilizzabili.
«I negozianti hanno il divieto di dare i sacchetti di plastica ai loro clienti e la polizia deve arrestare gli utilizzatori di sacchetti di plastica che incontra lungo le strade. Alcuni supermercati sono stati chiusi per violazione del divieto. Vogliamo che la gente usi i cestini tradizionali» ha dichiarato il Ministro dell’ambiente.
La polizia controlla persino i bagagli alla frontiera e dentro il paese per assicurarsi che nessuno trasporti sacchetti di plastica di nascosto. Recarsi, ad esempio, all’aeroporto di Kigali con un sacchetto di plastica ne comporta la confisca immediata. Alcuni accusano le milizie del governo rwandese di usare la legge per rubare le merci trasportate nei sacchetti di plastica.
I commercianti si lamentano del fatto che prodotti come pesce e carne non possono essere trasportati in sacchetti di carta, che oltretutto sono fino a cinque volte più costosi di quelli di plastica. Nonostante il divieto alcuni venditori ambulanti continuano a vendere i sacchetti di plastica segretamente, nascondendoli nelle loro tasche.
Alcuni negozianti poi giudicano il governo troppo invasivo. «Il governo è stato ingiusto con i piccoli imprenditori, alcuni di noi non possono permettersi costosi materiali da imballaggio e i nostri clienti se ne stanno andando» ha affermato un negoziante.
Il Ministro dell’ambiente ammette che sarà impossibile mettere fine all’uso dei sacchetti di plastica, ma ritiene che le misure intraprese dal governo per vietarne l’importazione e la loro vendita vadano nella direzione giusta per la tutela dell’ambiente.
«In Rwanda non abbiamo ancora raggiunto lo stesso livello di sviluppo di altri paesi che utilizzano i sacchetti di plastica. Questi paesi hanno fabbriche che riciclano i sacchetti usati e anche i loro cittadini capiscono che è sbagliato gettare la spazzatura ovunque. Noi invece stiamo ancora educando i nostri cittadini» ha spiegato il Ministro.
«Abbiamo un problema reale con la plastica e ci stiamo adoperando con tutte le nostre forze per proteggere i nostri fiumi e laghi» ha riferito la signora Mugorewera dell’agenzia di stampa Reuters.
Nel 2004 migliaia di persone, raccogliendo l’invito del governo, hanno utilizzato il loro giorno libero per contribuire alla raccolta di sacchetti di plastica sparsi nel paese.
Gruppi come l’ “Associazione dei giovani sportivi di Kigali” produce e vende palloni da calcio fatti con i sacchetti che trova, contribuendo anche alla pulizia della città.
Il governo si è sempre impegnato nel mantenere il Rwanda pulito e la capitale Kigali è tra le città più pulite d’Africa. «Il sacchetto di plastica nero è scomparso da Kigali!» ha dichiarato un recente studio del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP).
La Tanzania vieta i sacchetti e i contenitori di plastica
La Tanzania ha fatto da apripista per la Comunità dell'Africa orientale quando, nel 2006, il vicepresidente Ali Mohamed Shein ha annunciato alla televisione di stato il divieto totale di importazione, fabbricazione e vendita di sacchetti e contenitori di plastica (per l’acqua e i succhi di frutta) e l’ordine di utilizzare materiali riciclabili o biodegradabili.
«Il divieto dei sacchetti di plastica e contenitori è necessario per proteggere il nostro ambiente in rapido degrado» ha dichiarato Shein.
Nel 2006 anche Zanzibar, isola nell’Oceano Indiano la cui principale fonte di reddito è il turismo, ha vietato l’importazione, la produzione e la distribuzione di sacchetti di plastica poiché costituivano una grave minaccia per l’ambiente marino e l’industria turistica, spina dorsale dell’economia del paese.
Il governo ha suggerito l’uso di sacchetti di rafia come alternativa (la rafia è una fibra grossolana, impiegata per produrre cordami, cesti, stuoie, borse e si ricava da una varietà di palme dell’Africa tropicale).
«Abbiamo messo l’ambiente al di sopra di tutto; i sacchetti di plastica stanno distruggendo la nostra natura» ha dichiarato il Ministro dell’ambiente Ali Juma. Secondo una stima oltre 200 tonnellate di sacchetti attraversano ogni mese Zanzibar per raggiungere mercati locali e regionali.
Chiunque violi tale divieto rischia la prigione fino a sei mesi o una multa di $ 2.000 o entrambe le punizioni.
Ma l’altra faccia della medaglia è la questione della perdita di gettito perché se è vantaggioso per l’ambiente vietare i sacchetti di plastica non è altrettanto conveniente per il governo di Zanzibar perdere $ 400.000 al mese di entrate (per borse in transito e destinate al mercato locale).
Il Piano per la lotta contro i sacchetti di plastica in Kenya
Circondate dall’asfalto e dal fumo delle automobili della capitale Nairobi, nascoste dai tetti di latta delle baraccopoli e dai boschi, si trovano alcune “fioriture piuttosto belle”.
Questa è la storia di un diverso tipo di fiore, spesso multicolore, ma privo della bellezza tipica della natura. Sono fiori artificiali, a buon mercato e si chiamano “sacchetti di plastica sottili”. Essi hanno raggiunto la massa critica in Kenya: i torrenti sono intasati, gli animali rischiano il soffocamento, il paesaggio è deturpato a causa di immensi accumuli nelle montagne e le epidemie sono all’ordine del giorno.
Questi sacchetti sono diversi da quelli che si vedono nei supermercati occidentali. In Kenya, infatti, sono così sottili da non riuscire a trasportare qualche chilo di farina di mais senza rompersi. La loro natura delicata rende perciò impossibile il riutilizzo e abituale l’abbandono dopo un solo viaggio.
I sacchetti sono così diffusi in questa parte del mondo che molti hanno deciso di chiamarli “fiori africani”, quasi si trattasse di varietà locali di rose o buganvillea.
«Non è possibile abbandonare questi sacchetti» ha dichiarato Clive Mutunga, economista ambientale che sta cercando di ripulire il Kenya. «Siamo arrivati al punto di considerare il sacchetto di plastica il nostro fiore nazionale».
Wangari Mathaai, assistente del ministro dell’ambiente del Kenya e premio Nobel per la pace nel 2004, ha messo in relazione l’abbandono dei sacchetti di plastica al diffondersi della malaria. I sacchetti, infatti, possono riempirsi di acqua piovana e diventare l’ambiente ideale per la proliferazione di zanzare che trasportano la malaria.
«Non sto dicendo di non utilizzare più le materie plastiche» spiega Maathai «ma è necessario esaltare le virtù dei sacchetti di sisal [filato economico, ottenuto da fibre vegetali] o di cotone, riportare in auge i sacchetti di casa, recuperare le tradizionali ceste africane, tutto ciò che la gente adoperava prima dell’avvento della plastica».
Un recente studio del 2005, a cura del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), dell’Autorità Nazionale di Gestione Ambientale del Kenia (NEMA) e dell’Istituto di ricerca ed analisi politiche pubbliche del Kenya (KIPPRA) stima che oltre 100 milioni di sacchetti di polietilene siano distribuiti ogni anno nei supermercati del Kenya.
Si stima inoltre che circa 4000 tonnellate di sacchetti di plastica sottili siano prodotte ogni mese in Kenya, soprattutto per lo shopping, ma anche per prodotti come il pane. Circa la metà di essi hanno uno spessore di meno di 15 micron e alcuni hanno uno spessore di appena 7 micron. L’industria che produce questi sacchetti è in crescita tra l’8 e il 10% all’anno e alimenta sia il mercato locale che quello dei paesi vicini, in particolare l’Uganda. «Fatta eccezione per alcuni sacchetti di carta, non esistono praticamente alternative ai sacchetti di plastica, che sono utilizzati a causa della facile e libera disponibilità a basso costo nei mercati» dichiara il rapporto.
«Il divieto dei sacchetti di spessore inferiore ai 30 micron, l’obbligo e il pagamento dei sacchetti più spessi sono solo alcune delle proposte volte a ridurre l’uso di sacchetti di polietilene e a finanziare soluzioni alternative, più rispettose dell’ambiente, quali le borse di cotone» sollecita il rapporto
Il denaro ricavato potrebbe anche essere utilizzato per creare efficienti ed efficaci sistemi di riciclaggio spiega ancora la relazione.
Il sistema della tassa sul sacchetto di plastica potrebbe diventare un modello per programmi analoghi finalizzati al contenimento della crescente marea di rifiuti che sta invadendo il Kenya e gli altri paesi dell’Africa.
La proposta è contenuta in un rapporto “Selezione, progettazione e implementazione di strumenti economici nella gestione dei rifiuti solidi in Kenya”, scritto da Moses Kippra Ikiara e Clive Mutunga.
I risultati del rapporto, presentati ad una riunione del consiglio di amministrazione di UNEP in cui hanno partecipato oltre 100 ministri dell’ambiente di tutto il mondo, sono stati il frutto di vari incontri fra UNEP, NEMA, i produttori, i fornitori, i supermercati e gli interessati in Kenya e all’estero.
Le conclusioni e le raccomandazioni si basano anche sulle lezioni apprese dalla gestione dei rifiuti di Australia, Danimarca, Irlanda, Italia, Ruanda, Sud Africa, Carabi e molti paesi dell’America Latina.
Klaus Toepfer, direttore esecutivo UNEP, ha detto: «Plaudo a questo attento e completo studio sui problemi e le possibili soluzioni per Kenya e in particolare per Nairobi. I rifiuti non sono un problema solo per questo paese, ma sono un problema crescente per tutto il mondo, in particolare per i paesi in via di sviluppo. L’obiettivo principale è quello di promuovere l’uso razionale e lo smaltimento dei sacchetti di plastica: essi possono rappresentare l’inizio, il banco di prova per una più ampia azione di riduzione dell’inquinamento».
E’ stato proposto un piano per la lotta contro i sacchetti di plastica in Kenya. Esso include:
- il divieto di 30 micron o meno per i sacchetti;
- la tutela dei consumatori e campagne anti-abbandono e anti-spazzatura;
- i costi trasferiti al consumatore;
- il prelievo sarebbe parzialmente mirato a sostenere lo sviluppo di eco-sacchetti di cotone e questo avrebbe il duplice vantaggio di aiutare l’agricoltura e l’industria del cotone in Kenya da un lato e di sostenere lo sviluppo dei sacchetti rispettosi dell'ambiente dall’altro;
- un corretto sistema di riciclo dei sacchetti di plastica.
Il rapporto propone poi un nuovo organismo, denominato “Comitato di gestione della tassa sulla plastica”, istituito e presieduto dal NEMA, per gestire e realizzare le nuove misure.
La commissione dovrebbe avere tra i membri i ministeri, l’associazione dei produttori del Kenya, il consiglio comunale, i gruppi dei prodotti tessili, le imprese del cotone del Kenya e una rappresentanza dei residenti.
Le misure adottate dal Kenia per eliminare i sacchetti usa e getta
Il ministro delle Finanze del Kenya Amos Kimunya ha vietato l’importazione e l’uso dei sacchetti sottili (con spessore minore di 30 micron) a metà del 2007 (dopo Rwanda e Tanzania) e ha imposto una tassa del 120% sui sacchetti di plastica più spessi e sugli imballaggi.
«Queste misure sono volte ad invogliare l’industria nel mettere a punto strategie amiche dell’ambiente e produrre sacchetti riciclabili» ha affermato il Ministro.
«I sacchetti di plastica solo di recente sono arrivati in Kenya. Solo 15 anni fa le donne facevano la spesa con i cestini: mi ricordo che acquistavano pesce e patate dolci, avvolte in foglie di banano e non in sacchetti di plastica sottili» spiega Giuseppe Gondi, ambientalista di spicco del Green Belt Movement.
La pulizia è in corso. «Sette anni fa il centro della capitale Nairobi era sporca» dicono i residenti «ma un esercito di spazzini, nuove pattumiere e nuovi alberi (piantati dal Green Belt Movement) hanno avuto un impatto positivo».
I produttori africani non confidano nelle drastiche misure imposte sui sacchetti di plastica, ma ritengono necessario un cambiamento di cultura tra i consumatori.
«Invece di punire i produttori, i consumatori dovrebbero essere meglio informati sull’eliminazione, la riutilizzazione e il riciclo dei sacchetti di plastica. I produttori vogliono tenere pulito l’ambiente!» ha detto Bimal Kantaria, membro del consiglio di amministrazione delle associazioni di produttori del Kenya.
«Ma noi vogliamo agire in modo efficace. Esiste un problema: i sacchetti di plastica che inquinano l’ambiente. Tuttavia un’imposta indiretta è difficile da raccogliere e facile da evadere».
Kantaria ha proposto un moderato “prelievo fiscale verde” sulle materie prime importate, al fine di raccogliere fondi per creare un nuovo organismo, incaricato di sensibilizzare il pubblico con apposite campagne.
Alcuni venditori ambulanti hanno un’idea più semplice. John Kihui, presidente dell’associazione nazionale venditori ambulanti del Kenya, ha dichiarato che, fornendo semplicemente più recipienti per la spazzatura, si risolverebbe il problema del 70%.
«Grazie ai bidoni, posizionati in posti strategici, la gente non getterebbe più per strada i rifiuti e il centro di Nairobi sarebbe libero dalla plastica» ha detto al giornale locale. «L’effetto? Un cambiamento positivo di comportamento senza necessariamente punire il popolo».
Fortunatamente, si intravedono all’orizzonte buone alternative per i clienti ed i venditori. Una recente relazione, a cura del Business Daily Africa, riporta la crescente domanda di eco-fashion (ad esempio borse di cotone, tela e sisal). «Da quando il governo del Kenya ha vietato l’uso dei sacchetti di plastica la gente si è messa subito alla ricerca di soluzioni alternative per il trasporto delle sue merci. Ricordiamoci che la gente non vuole guardarsi indietro e l’eco-fashion è sicuramente all’avanguardia» sostiene Nduta Ndambuki, che vende borse sisal al mercato Masaai di Nairobi.
Eliminare i sacchetti è considerato come un compito che ricade soprattutto sui negozianti. Nakumatt Holdings, uno dei supermercati più grandi del Kenya, ha dichiarato che farà la sua parte partecipando al risanamento del paese.
Le borse sono disponibili in diverse forme, dimensioni e colori. Sono fissate con cinghie di cuoio e il loro fondo è coperto con lo stesso materiale per essere più resistenti e funzionali, ma la bellezza è sempre un fattore fondamentale. Alcuni designer usano le cortecce di albero e metalli per decorazione.
I prezzi variano da 300 a 3000 scellini del Kenia (da 2,80 a 28 €), a seconda delle dimensioni e del design.
Theo e la palla di plastica gigante: un progetto educativo per i bambini del Kenia
“Theo e la palla di plastica gigante” fa parte di una raccolta di racconti per bambini a tematica ambientale, chiamata Tunza, promossa dal programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) e pubblicata nel dicembre 2004. “Tunza” significa “trattare con cura o affetto” in Swahilli.
Attraverso la letteratura creativa UNEP spera di ispirare nei bambini, nei loro genitori e negli insegnanti, l’interesse nei confronti dell’ambiente e di trasmettere loro il rispetto per la Madre Terra.
Theo e la palla di plastica gigante, illustrato magnificamente dal famoso illustratore Kennaway, si rivolge a bambini di età compresa tra 7 e 11 anni, presenta uno stile semplice e poetico, che rende la storia facile da leggere.
Theo, il protagonista del racconto, deve migliorare nel gioco del calcio perché vuole entrare in una squadra di calcio, ma non avendo un pallone, decide di fabbricarne uno mettendo insieme i sacchetti di plastica abbandonati.
Theo compie un viaggio alla ricerca dei sacchetti, attraversa campi, strade, fiumi, rocce, paesi… e incontra sul suo cammino persone ed animali (un condor, una lucertola, un lama, un asino…): con il loro aiuto riesce a costruire una palla di plastica gigante. L’ambiente locale risulta ripulito e, grazie a Theo, le comunità capiscono che possono mantenere l’ambiente più sano e più pulito solo lavorando tutti insieme. Il Sindaco, per questi motivi, premia il ragazzo e gli regala un pallone da calcio vero.
Il libro si conclude con alcune utili consigli utili per i bambini, desiderosi di partecipare attivamente al miglioramento del loro ambiente.
L’Uganda, pioniera di un’era post-plastica!
Le città ugandesi non hanno le risorse necessarie per smaltire più del 10% della spazzatura che producono. (Fonte: Reuters).
Sono molto eloquenti, a tal proposito, le parole della BBC, che così descrive la discarica di Kampala, capitale dell’Uganda: «Prima che i tuoi occhi si abituino alla vista e alla puzza della discarica comunale Chitezi, ti sembra di vedere una scena tratta da un dipinto di Bosch, una premonizione dell’Apocalisse o una visione dell’Inferno. Alti nel cielo, grandi uccelli volano intorno alla discarica. A prima vista, sembrano avvoltoi giganti, ombre sinistre che scrutano i cadaveri umani, disseminati al di sotto. Ma non appena atterrano sul grigio e lunare fetore assumono essi stessi un orrendo aspetto sub-umano. Con il loro piumaggio mangiato dagli insetti, con la loro grottesca alopecia e i loro sinistri occhi da rettili, le cicogne marabù sono l’incubo dell’Africa: a centinaia in discarica, si avventano con i loro becchi sulle carcasse dei sacchetti di plastica e fanno festa con i rifiuti».
I più poveri lavorano in discarica tutti i giorni, dal sorgere del sole fino al tramonto, per pochi centesimi al giorno.
In Uganda i sacchetti di plastica si chiamano “buveera” in dialetto locale. Continua la BBC: «L’Uganda è benedetta da alcuni dei terreni più ricchi d’Africa, ma intorno alla città e ai villaggi è “cucita” la plastica».
I sacchetti sono un “veleno” per i terreni. In discarica le piogge non percolano nel terreno a causa della plastica e quindi si formano di continuo piscine stagnanti velenose, che diventano terreno di coltura per malattie.
In assenza di alimentazione, acqua e rete fognaria, i sacchetti di plastica sono utilizzati dagli abitanti delle baraccopoli come servizi igienici.
Bobby Wine, attualmente la più grande pop star nazionale, vive e lavora in una delle baraccopoli di Kampala e scrive canzoni pop sui sacchetti di plastica, che chiama “veleno”.
Facendo riferimento al Ruanda, paese confinante dice: «Uomo, questo è il paese più povero dell’Uganda, ma alla frontiera, se avete buveera, dicono che non puoi venire. Perché non possiamo essere come il Rwanda?».
Con franchezza disarmante il ministro dell’ambiente Jesca Eriyo ha dichiarato alla BBC di essere imbarazzato dalle deplorevoli condizioni della sua capitale circa le norme di gestione dei rifiuti, dal mare di polietilene e dalle latrine a cielo aperto.
Ma la situazione descritta finora sta cambiando. A partire dal 1 luglio 2007 il Ministro delle Finanze ugandese Esdra Suruma ha vietato la fabbricazione, l’importazione e l’uso dei sacchetti più sottili, ha introdotto regole di spessore minimo e ha imposto una tassa più alta del 120% sui sacchetti più spessi «a causa di gravi problemi ambientali e di difficoltà reali nello smaltimento dei sacchetti di plastica».
La visita della Regina nel novembre 2006 in occasione del Meeting dei Capi di Stato e di Governo ha sicuramente agito da volano.
«La costruzione di nuovo edifici, un improvviso scoppio di orgoglio civico, la generale iperattività e l’odore di vernice nuova sono ovunque. Il Meeting ha portato all'inizio della fine dei buveera» testimonia la BBC.
Ed ancora: «Oggi l’Africa orientale [Uganda, Kenia e Tanzania], nonostante i suoi problemi e la sua povertà, sta tracciando un sentiero sfolgorante che molte regioni della prospera Inghilterra possono soltanto sognarsi di seguire».
E la gente, il ministro, la pop star, i commercianti di Kampala, i lavoratori della discarica, sono tutti felici di essere i pionieri di un’era post-polietilene!
In Uganda è stato anche ideato un semplice slogan: “Usiamo foglie di banano al posto dei sacchetti di plastica”. (Fonte: Reuters).
Gli Ugandesi danno nuova vita ai sacchetti di plastica
I giovani ugandesi si impegnano direttamente in difesa dell’ambiente: raccolgono i sacchetti di plastica nelle aree urbane e rurali, li trasformano in palloni e li rivendono per pochi scellini.
Le ONG locali e internazionali stanno aiutando gli ugandesi di un sobborgo della capitale Kampala a raccogliere i sacchetti di plastica e a trasformarli in oggetti come cesti, borse, borsette, scarpe e persino tegole per tetti.
Il progetto vuole fornire ai residenti un modo alternativo per generare reddito, riciclando i rifiuti solidi in plastica.
Divieto di circolazione per i sacchetti in Somalia
Nel 2005 la Somalia ha vietato i sacchetti di plastica a titolo definitivo.
Somaliland, regione autodichiaratasi indipendente dalla Somalia e situata a nord ovest del paese, ha messo fuorilegge i sacchetti di plastica dal marzo 2005, anche se il problema esiste tuttora. In gergo locale i sacchetti di plastica sono chiamati “Hargeisa flowers” (dal nome della capitale del Somaliland) perché sbocciano dappertutto, soprattutto intorno ad Hargeisa.
«I sacchetti sono diventati un problema ambientale, oltre che essere sgradevoli alla vista. Molti finiscono su alberi o arbusti e possono diventare un grosso pericolo per il bestiame perché gli animali, che si nutrono di foglie, spesso li ingeriscono accidentalmente. Bisogna incoraggiare le persone ad utilizzare cesti e contenitori della tradizione africana (fatti con giunchi o sisal), che si utilizzavano prima dell’avvento della plastica» ha affermato recentemente alle Nazioni Unite Abdillahi Duale, Ministro dell’informazione di Somaliland.
L’Eritrea risolve con determinazione il problema dei sacchetti di plastica
L’Eritrea, una volta disseminata da un mare di sacchetti di plastica, è stata “ripulita” grazie ad una legge, entrata in vigore nel gennaio 2005, che ha aiutato i paesi del Corno d’Africa a proteggere la natura.
«Coloro che importano, producono, distribuiscono o vendono sacchetti di plastica pagheranno una multa» ha riferito Yohannes Wolde, il ministro del territorio, acqua e ambiente.
Wolde non ha dichiarato l’importo dell’ammenda, ma diverse fonti stimano che i trasgressori paghino diverse migliaia di nakfa. Dal momento che 1 € in Eritrea vale 23,6 nakfa possiamo dedurre che queste multe siano molto pesanti in questo paese, se consideriamo che il prodotto interno lordo annuale pro capite è di 270 $ o 191 € (secondo il rapporto del Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook Database, ottobre 2008).
Le autorità qui sono molto determinate nell’arginare il problema. La capitale Asmara ed altre regioni periferiche hanno sostituito i sacchetti usa e getta con borse di cotone e nylon e i consumatori non hanno avuto altra scelta se non quella di adeguarsi.
«Le persone non sono multate se vengono fermate con un sacchetto di plastica, ma devono semplicemente dichiarare dove hanno preso i sacchetti» ha spiegato Wolde. «Se dovessimo scoprire che le persone non collaborano, pagheranno una multa» ha detto Kibrom Asmarom, un funzionario del ministero dell’ambiente.
Kibrom ha espresso soddisfazione per il rispetto della legge da parte della gente.
L’Etiopia ha vietato i sacchetti di plastica a titolo definitivo
I rifiuti di plastica negli spazi aperti sono il problema più grande dell’Etiopia. I cumuli di sacchetti e bottiglie di plastica non degradabili, lungo i fiumi o le strade, sono diventati uno scenario comune in molte città etiopi.
Alcune persone bruciano i sacchetti di plastica sottili (comunemente noti come “festal”) insieme ad altri rifiuti nei loro cortili: questa pratica, anche se non si traduce in montagne di rifiuti di plastica, crea problemi ancora più gravi a causa delle emissioni di gas velenosi come la diossina.
Dal 2006 alcune organizzazioni non governative hanno avviato una serie di azioni per trasformare i sacchetti di plastica in prodotti per la casa. Grazie a questi progetti sessanta donne povere (la maggior parte rifugiate somale) hanno trovato una fonte reale di sostentamento: con i 450 Birr (circa 30 €) che guadagnano ogni mese riescono a sfamare i loro figli e a mandarli a scuola.
Queste donne acquistano i vecchi sacchetti di plastica a 3 Birr al chilo (0,18 €), li lavorano e producono tappeti, stuoie, materassi, cuscini, sacchetti, cestini che vendono nei mercati locali: un tappeto o un materasso può arrivare a 150 Birr (circa 10 €). I prodotti stanno diventando popolarissimi nelle comunità locali!
Nell’aprile 2007 l’Etiopia ha introdotto una legge che vieta la fabbricazione di sacchetti di plastica sottili.
Tewolde Berhan Gebre Egziabher, capo della Protezione Ambientale dell’Etiopia ha dichiarato ai giornalisti che la legge dovrebbe contribuire a ridurre l’inquinamento ambientale del paese.
La risposta del Botswana al problema dei sacchetti di plastica
Quando la gente ha cominciato a manifestare la sua preoccupazione sulla crescente diffusione dei sacchetti di plastica i volontari di un’organizzazione non governativa hanno deciso di fare qualcosa per il Botswana.
Sono state quindi avviate consultazioni tra il governo e le parti interessate (i rappresentanti delle aziende private e dei cittadini, gli ambientalisti, le ong) al fine di trovare concrete soluzioni “alla minaccia” della plastica.
Il risultato di questi incontri è stato un documento, consegnato alle autorità nel 2003, insieme ad una petizione, firmata da oltre 3000 persone.
Questo documento contiene una serie di raccomandazioni:
- il governo dovrebbe vietare la produzione, l’importazione e l'uso di sacchetti di plastica sottile con uno spessore di 10-20 micron e autorizzare solo i sacchetti di plastica con spessore maggiore di 60 micron (perché riutilizzabili più volte e riciclabili);
- i clienti dovrebbero pagare i sacchetti più spessi, in modo da incentivarne il loro riutilizzo;
- il governo dovrebbe incoraggiare l'uso dei sacchetti di carta e dei sacchetti riciclati di stoffa;
- si dovrebbe richiedere ai produttori, importatori, distributori e rivenditori di seguire politiche ambientali per una corretta gestione dei rifiuti da materie plastiche;
- i fornitori dovrebbero assicurarsi che i sacchetti di plastica siano fatti da materiali riciclabili.
Il Parlamento, il Ministero dell’ambiente, fauna selvatica e turismo e il Presidente del Botswana Festus Mogae hanno preso in considerazione il documento e la petizione e hanno tradotto le richieste del popolo in leggi vere e proprie.
Il divieto di usare di sacchetti diplastica è entrato in vigore nel 2006: oggi in Botswana è diventato obbligatorio pagare i sacchetti più spessi. (Fonte: PlanetSave.com, 2008)
Nella città di Francistown il divieto di usare i sacchetti di plastica è effettivo dal 1 febbraio 2007: i cittadini, quando fanno i loro acquisti, possono scegliere se comprare i sacchetti di plastica spessi e riciclabili o portare con sé i sacchetti già usati. Il prezzo dei sacchetti non è stabilito dal governo, ma lo stabilisce ogni singolo rivenditore.
Il Ministro dell’ambiente, fauna selvatica e turismo Kitso Mokaila ha detto in un’intervista: «La nuova legge mira a proteggere l’ambiente. I rifiuti plastici sono i più visibili e costituiscono da sempre una grande preoccupazione perché producono forti impatti ambientali: abbiamo dunque la necessità di gestire al meglio il problema». (Fonte: Botswana Press Agency)
In Swaziland i sacchetti di plastica hanno vita breve
Lo Swaziland sta prendendo in considerazione misure per vietare o scoraggiare l’uso dei sacchetti di plastica.
Attualmente non esistono praticamente alternative ai sacchetti usa e getta. Le borse di stoffa riutilizzabili sono disponibili in alcune catene di supermercati, ma non sono affatto utilizzate a causa della facile e libera disponibilità dei sacchetti di plastica.
La “Venezia del Mali” investe coraggiosamente sul riciclo
Mopti è una città del Mali, nota per la sua moschea, il suo porto e i suoi sacchetti di plastica. Per anni tonnellate di sacchetti hanno trasformato la città in un gigantesco bidone. Ma un anno fa la città soprannominata la “Venezia del Mali” ha deciso di darsi “una ripulita”.
L’idea è venuta dal Niger e si sta diffondendo in tutta l’Africa: raccogliere i rifiuti lasciati dalla civiltà moderna per trasformarli in qualcosa di diverso, in questo caso pavimentazione dall’aspetto tradizionale.
Un piccolo centro di riciclaggio, con sede a Mopti, produce dal 2007 questa plastica, chiamata “pavestone” con un procedimento semplice, conveniente ed efficiente (anche se rilascia fumi tossici). Mescolata con la sabbia, la pasta di plastica forma una specie di catrame, riversato quando è ancora caldo in una speciale muffa. Dopo aver lasciato l’impasto a raffreddare per pochi minuti, il pavestone è pronto. E ci sono un sacco di stili diversi per soddisfare gusti diversi. In centro città c’è un piccolo negozio che vende pavestone di tutti i tipi.
Ogni giorno una decina di donne e bambini provenienti dalla città o da paesi vicini porta un nuovo carico di plastica in cambio di 50 franchi CFA (circa 7 centesimi di euro) al chilo. Si tratta di un progetto ecologico, sostenuto dalla Fondazione Aga Khan, al lavoro per rigenerare e ripulire Mopti.
A due anni dall’inizio del progetto e a seguito di operazioni di bonifica, Mopti oggi è completamente trasformata: la città “ripulita” è in forte espansione e il turismo è in aumento. Il prossimo anno questo progetto sul riciclo della plastica, che ha visto Mopti come apripista, sarà implementato in altre città del Mali, nel tentativo di porre fine ad uno dei peggiori problemi ecologici d’Africa.
Il Ciad protegge l’oro verde
A N’Djamena, capitale del Ciad, i sacchetti di plastica giacciono abbandonati nelle strade, nelle piazze pubbliche e nelle discariche: sono una delle maggiori fonti di inquinamento in città.
I sacchetti, che in dialetto locale sono chiamati “lédas”, sono importati dalla vicina Nigeria. «Io uso i lédas perché sono pratici e meno ingombranti» ha commentato Maimouna Angaré Djarma, residente di N’Djamena. «Ammetto di essere consapevole dei rischi ambientali derivanti dai sacchetti, che sono più di un semplice “scempio per gli occhi”, ma siamo così abituati a utilizzarli che non riusciamo a rinunciarvi».
Un ex ministro dello sviluppo turistico e dell’agricoltura, Médard Laokein Kourayo, ha intrapreso una lotta per liberare il paesaggio dai sacchetti di plastica. Dirige un gruppo di ambientalisti, il “Club dei protettori dell’oro verde”, con sede a Moundou (nel sud del Ciad).
«I sacchetti di plastica non degradabili contribuiscono alla desertificazione del nostro paese, senza che la gente se ne renda conto. I sacchetti soffocano il terreno e lo ostruiscono per almeno un secolo: le piante così non trovano le condizioni necessarie per la loro crescita» ha spiegato Kourayo.
Un nuova discarica è stata aperta dal sindaco vicino ad una zona riforestata di Walia, a sud di N’Djamena.
Kourayo ha osservato: «Questi alberi moriranno di sicuro perché i rifiuti gettati in discarica sono in gran parte sacchetti di plastica non biodegradabili».
Più di un decennio fa il ministro del commercio aveva vietato l’importazione dei sacchetti provenienti dalla Nigeria nel tentativo di affrontare questo flagello. Poco dopo l’entrata in vigore del decreto i funzionari del ministero del commercio riuscirono a sequestrare diverse tonnellate di sacchetti e li raccolsero in un deposito doganale a sud di N’Djamena. Quando gli agenti giunsero al magazzino per far incenerire i sacchetti, scoprirono che i sacchetti erano stati già rubati. I lédas comparvero nei mercati di N’Djamena e nelle regioni limitrofe nei giorni successivi!
«Una forte presa di coscienza degli abitanti del Ciad è l’unica soluzione al problema dei sacchetti di plastica. Se non cambia la politica ambientale, i nostri figli erediteranno un paese morto entro un secolo» ha affermato Ahmat Agalla, direttore per le foreste e la protezione ambientale del ministero dell’Ambiente.
Grazie al sostegno del governo e delle autorità locali, varie organizzazioni, tra cui il Club dei protettori dell’oro verde, stanno avviando iniziative concrete volte a
- sensibilizzare le comunità sui pericoli derivanti dai sacchetti non degradabili;
- riciclare i sacchetti impiegando la plastica per ornamenti, cappelli e borse;
- rivisitare le abitudini passate: circa 30 anni fa i cestini tradizionali di rafia erano la norma (e non i sacchetti di plastica).
«Le donne di oggi, che si reputano civilizzate, vanno a fare la spesa a mani vuote perché pensano che trasportare i cestini di rafia da casa al mercato sia imbarazzante. Ai miei tempi ogni donna aveva il suo paniere di rafia e non avevamo l’ambiente sporco e inquinato che abbiamo adesso» ha affermato la madre di Djarma, Medeleine Nekingalar. «Oggi, anche l’olio e il latte sono messi in lédas. Non è giusto!».
Ma il Club dei protettori dell’oro verde ritiene necessario fare ancora di più, come ad esempio piantare nuovi alberi, specie in un momento come questo, in cui il Ciad è seriamente minacciato dall’avanzare del deserto del Sahara.
In Nigeria l’acqua potabile viene venduta nei sacchetti di plastica
In Nigeria i sacchetti di plastica sono legali. I negozianti offrono un sacchetto di plastica a chiunque acquisti prodotti alimentari. Inoltre l’unica acqua potabile acquistabile in Nigeria viene raccolta in sacchetti di plastica. Deola Asabia, che gestisce una missione a Lagos, dice che ci sono poche speranze per un divieto dei sacchetti di plastica in Nigeria fino a quando la popolazione avrà accesso all’acqua potabile dal sacchetto.
«Il governo si rende conto che non può sbarazzarsi dei sacchetti di plastica», spiega Asabia «perché senza accesso all'acqua potabile “la gente impugnerebbe le armi”».
Molte persone vivono ancora in baraccopoli ai margini della città, letteralmente “strozzate” da rifiuti plastici a cielo aperto, che bloccano i canali delle acque reflue e creano pozze d’acqua in cui proliferano le zanzare portatrici di malaria (anche tifo e colera sono un rischio).
La gente non comprende l’impatto negativo di questi rifiuti, ma se ne avesse la consapevolezza riuscirebbe a cambiare: per questo in alcuni distretti di Lagos le autorità statali e le organizzazioni di beneficenza si stanno impegnando attivamente per sensibilizzare e ri-educare gli adulti e i bambini in età scolare.
Nojeem Murtala lavora per il dipartimento di igiene; gira per le vie di Obalende (distretto di Lagos) ed esorta i residenti della baraccopoli a prendere parte al processo di pulizia della città. Attraverso l’altoparlante del suo furgone spiega: «Quando il vostro ambiente è pulito i mosquito volano… Vi chiedo di provare a mantenere pulito l’ambiente ora!».
Se l’incoraggiamento ad alto volume non funziona, Murtala e i suoi colleghi vanno direttamente davanti alle case e mostrano agli occupanti come tener pulite le loro abitazioni.
Se nemmeno quest’azione funziona, può succedere che chiamino la polizia, la quale ordina di eseguire una pulizia: è successo raramente perché i residenti di Obalende sono diligenti.
Attualmente la Nigeria sta lavorando verso una soluzione del problema rifiuti di plastica, che includa un divieto assoluto del sacchetto usa e getta.
Il Ghana “rammenda” i vecchi sacchetti di plastica e li rivende
I sacchetti di plastica sono un elemento onnipresente del paesaggio africano: in Ghana costeggiano le strade, pendono dalle palme, galleggiano sul mare e “riposano” in grandi cumuli lungo le splendide spiagge bianche del paese. «I rifiuti plastici hanno avuto un effetto terribile sul turismo, specialmente sulle spiagge ad est di Accra; le montagne di rifiuti visibili ad Accra danno ai turisti stranieri l’impressione che il Ghana sia un paese ripugnante» ha affermato il ministro del turismo Jake Obetsebi Lamptey.
Il Ghana sta pensando di introdurre regole di spessore minimo per i sacchetti di plastica.
Nel frattempo, dal 2004, il governo ha dichiarato guerra allo spreco della plastica promuovendo buone pratiche volte al riciclo.
Un uomo d’affari, Kwabena Osei Bonsu, ha deciso di fare qualcosa per il suo paese. «Ho avuto un’idea che potrà risolvere i problemi nella mia vita» ha dichiarato. La sua soluzione? Raccogliere i sacchetti di plastica scartati nelle vie di Accra, cucirli insieme e trasformarli in nuove borse riutilizzabili.
Nella sua impresa, la Trashy Bags, lavorano una dozzina di sarti che “rammendano” vecchi sacchetti di plastica con vecchie macchine da cucire manuali.
In Africa occidentale l’acqua potabile non esce dal rubinetto, ma viene venduta nei sacchetti di plastica (al prezzo equivalente di 2 pence inglesi).
Ad Accra, città di 2,2 milioni di abitanti, vengono raccolti dalle strade fino a 60 tonnellate di imballaggi al giorno, una cifra che è aumentata del 70% negli ultimi dieci anni.
La popolazione locale va al Trashy Bags con migliaia di sacchetti sulla testa. Trashy Bags offre 2 sterline (2,30 €) in cambio di 1.000 sacchetti: è un buon prezzo se si pensa che un cittadino medio ghanese guadagna 254 sterline l’anno (circa 290 €).
«Raccolgo i sacchetti perché sono senza lavoro e in questo modo ricavo qualche soldo» ha detto Hadiza Ishmael, un’anziana donna arrivata con 4.000 buste. «Questo luogo rappresenta per noi la speranza».
Trashy Bags, che ha iniziato la sua attività nel dicembre 2007, ha finora raccolto dalla strada 7 milioni di sacchetti e ha venduto più di 6.000 borse riciclate al prezzo di 4 sterline l’una (4,60 €)
In Senegal il problema dei sacchetti è una priorità nazionale
Come altre aree semi-aride del mondo, il Sahel è una zona fortemente esposta agli effetti dei cambiamenti climatici. In Senegal, le ONG e le istituzioni governative stanno lavorando insieme per trovare strategie di adattamento. Sebbene vi sia la necessità di agire a livello nazionale il Senegal pensa che i responsabili del riscaldamento globale debbano fare molto di più.
Con il sostegno delle Nazioni Unite, il governo ha elaborato nel 2006 un progetto di adeguamento del programma nazionale di azione.
Djibo Laïty Ka, ministro per l’ambiente del Senegal, ha dichiarato che il problema dei sacchetti di plastica è una priorità nazionale: «I sacchetti hanno invaso il nostro paesaggio» egli spiega. «I sacchetti stanno uccidendo i nostri ovini e bovini. Gli animali mangiano i sacchetti, ma non possono digerirli. Inoltre, è difficile coltivare la terra inquinata dai sacchetti di plastica. Fino ad oggi non abbiamo trovato un modo per distruggerli. Si tratta di un problema che dobbiamo risolvere al più presto».
Oggi il Senegal sta intraprendendo una serie di azioni volte al riciclo ed oggi è uno tra i paesi più impegnati in iniziative a difesa dell’ambiente. (Fonte: Reuters, 2007)
In Burkina Faso si riciclano i sacchetti di plastica per la sicurezza stradale
Philippe Yoda, presidente dell’Association pour l’innovation et la recherche technologique appropriée en environnement, grazie all´appoggio finanziario dell´Unione europea, lavora dal 2001 alla trasformazione dei sacchetti di plastica, che anche in Burkina Faso sono diventati un problema ambientale, in cartelli e segnali stradali.
Secondo quanto riferisce la Direction générale des routes del Burkina Faso al giornale di Ouagadougou L´Observateur Paalga: «un cartello stradale installato in Burkina Faso ha una durata media di sei mesi».
I cartelli ed i segnali stradali spariscono a causa di un nuovo mercato che l´aumento dei prezzi delle materie prime a livello mondiale ha fatto esplodere nel povero Paese dell’Africa occidentale: i pannelli trafugati vengono rivenduti.
Per realizzare i primi 100 prototipi dei nuovi cartelli stradali riciclati sono state impiegate 1250 tonnellate di sacchetti di plastica, raccolti tra quelli sparsi ovunque in Burkina Faso: da problema ambientale sono diventati una piccola miniera d’oro per i poveri, visto che il costo al chilogrammo dei sacchetti di plastica, che fino a poco fa era di 30 franchi CFA (circa 5 centesimi di euro), è salito a 100 franchi CFA (15 centesimi di euro).
Qualcuno ha annusato l’affare e ha già cominciato ad investire nella raccolta di shoppers, ma nessuno sa ancora come trasformarli in qualcosa di utile, per questo Philippe Yoda chiede di aprire una vera e propria concertazione nazionale sul recupero e riuso dei rifiuti di plastica e chiede che, di fronte alla penuria di finanziamenti, la priorità della raccolta sia data a quelli sparsi nell’ambiente.
In Egitto il Mar Rosso sarà presto libero dai sacchetti di plastica
Chiunque abbia viaggiato lungo i deserti d’Egitto sarà certamente rimasto colpito dalla grande quantità di sacchetti di plastica, sospinti dal vento; anche le acque del Mar Rosso sono troppo spesso dimora di sacchetti e bottiglie di plastica.
Il Governatore del Mar Rosso in Egitto ha decretato che il Mar Rosso sarà presto libero dai sacchetti di plastica con decorrenza dal 1 gennaio 2009. Questo decreto rappresenta un notevole passo in avanti nella lotta contro i sacchetti di plastica, che rappresentano un enorme pericolo per uccelli, tartarughe, delfini e altre creature marine, uccisi ogni anno in numero allarmante.
L’Egitto segue attentamente le azioni, di alto profilo, compiute da alcuni paesi europei, soprattutto Francia e Irlanda, per limitare questa forma dannosa di inquinamento.
Il Governo sta lavorando anche in sinergia con gli ambientalisti per suggerire soluzioni concrete e alternative valide ai sacchetti di plastica. A sostegno di tale decreto l’Egitto ha disposto una serie di iniziative di educazione ambientale e mirate campagne di sensibilizzazione.
La Libia, a furor di popolo, si schiera dalla parte dell’ambiente
Anche la Libia è invasa dai sacchetti di plastica: ad ogni piccolo acquisto viene sempre offerto un sacchetto usa e getta.
Il Nizar, uno dei più grandi e raffinati supermercati della città di Bengasi, andando controcorrente, ha scelto di non distribuire più ai suoi clienti i classici sacchetti di plastica, ma di vendere esclusivamente comode ed eleganti borse di tela riutilizzabili.
Il Nizar, supermercato rinomato per l’ottima qualità dei suoi prodotti sempre freschissimi (e non certo per la convenienza), si è schierato per primo dalla parte dell’ambiente.
Fondamentale è stato l’intervento di alcuni giovani ambientalisti, che “armati” di pazienza, hanno presidiato pacificamente il supermercato per alcuni giorni, al fine di scoraggiare l’utilizzo della plastica da parte dei consumatori.
Il proprietario del Nizar, incuriosito, ha deciso di ascoltare questi giovani e ha appoggiato la loro causa, dando il buon esempio e non rinunciando nello stesso tempo ad una pubblicità positiva e gratuita!
Anche Tripoli sta eliminando gradualmente i sacchetti di plastica: nei supermercati si possono già trovare borse di stoffa a prezzi contenuti.
Facebook aiuta l’ambiente in Marocco, Algeria e Tunisia
Anche il noto social network Facebook sta diventando sempre più un luogo in cui la gente comune si riunisce per denunciare situazioni di degrado ambientale o per fare richieste e proposte precise a governi, che tardano nel prendere posizioni chiare e nette su temi ambientali scottanti.
Ad esempio il gruppo “Non più sacchetti di plastica in Marocco”, attraverso una vera e propria “petizione multimediale” che supera i 9 mila iscritti, chiede la messa al bando dei sacchetti non biodegradabili dal Marocco.
Analogamente il gruppo “Non più sacchetti di plastica in Algeria. Battiamoci per la fine del sacchetto di plastica” riassume in tre punti le sue posizioni: “Sensibilizzare” e cioè far prendere coscienza del pericolo che deriva dall’uso del sacchetto di plastica usa e getta; “Riflettere” per scoprire le soluzioni alternative; “Agire” e quindi proporre e mettere in opera delle azioni.
È nato anche il gruppo “Non più sacchetti di plastica in Tunisia”, che vanta circa 2 mila membri. Essi chiedono il divieto dei sacchetti di plastica nel paese poiché «in Tunisia è arrivato il tempo di prendere coscienza dell’ampiezza dei danni». Recentemente il governo tunisino ha promosso una campagna di sensibilizzazione per informare i cittadini sulle norme di qualità che devono rispettare i sacchetti di plastica, come l'uso obbligatorio del marchio “Ecolef”. Tutto ciò allo scopo di contrastare l’uso di sacchetti di plastica e di prodotti che non rispondono a standard specifici.
Il Malawi lancia su Facebook l’idea di un’economia sostenibile
Partendo dallo slogan: “I sacchetti di stoffa possono salvare una vita? Sì, è possibile!” l’Ambasciatore del Malawi ha diffuso, via Facebook, la sua idea di produrre borse africane di stoffa denominate “Borse di speranza!”.
I villaggi poveri del Malawi coinvolti nel progetto sono cinque: le borse sono tutte confezionate con materiale riciclato e vengono cucite esclusivamente con vecchie macchine a pedale. Le richieste arrivano anche dagli Stati Uniti e il 100% degli utili viene restituito ai villaggi.
Questa proposta di economia sostenibile non solo fornisce un valido contributo nella lotta contro la povertà (in uno dei paesi più poveri del mondo), ma aiuta anche l’ambiente riducendo concretamente lo spreco di sacchetti di plastica!
La rafia del Madagascar sostituisce il sacchetto di plastica
Il Madagascar dispone di grandi quantità di rafia, che esporta in tutto il mondo.
Questa fibra si ricava dalla “palma rafia” del Madagascar, le cui lunghe foglie possono raggiungere i 18 m di lunghezza. Ciascun ramo di palma è costituito da circa 100 strisce.
La zona più ricca di rafia si trova intorno a Vatomadry, poco lontano dalla capitale Antananarivo.
Con la fibra morbida, flessibile e forte si realizzano principalmente accessori per la casa, borse, decorazioni e capi d’abbigliamento grezzi. Alcune aziende internazionali, che acquistano la rafia direttamente dal Madagascar, aggiungono il cotone per creare abiti ancor più morbidi, originali ed eleganti.
BIBLIOGRAFIA
http://ipsnews.net/africa
http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/africa/6754127.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/3013419.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/3714126.stm
http://www.export-forum.com/africa/madagascar-raffia/
http://www.france24.com/en/20080825-mali-mopti-africa-recycling-rubbish-trash-environment-pavestones-garbage
http://www.gov.bw/cgi-bin/news.cgi?d=20061107&i=Ministry_bans_thin_plastic_bags
http://www.int.iol.co.za/index.php?set_id=1&click_id=14&art_id=vn
http://www.news24.com/News24/Africa/News/0,,2-11-1447_1671642,00.html
http://www.nytimes.com/2005/04/07/international/africa/07nairobi.html?_r=1
http://www.treehugger.com/files/2007/10/ugandans_give_n.php
http://www.unep.org