Giuliano Martignetti di Kyoto dal Basso, sull'iniziativa per carboneutralizzare le olimpiadi
Riceviamo e pubblichiamo
29 April, 2005
I lettori de «La Stampa» e de «la Repubblica» sono stati messi la corrente martedì scorso dell’esistenza di un progetto concepito nell’ambito dell’organizzazione delle Olimpiadi invernali del 2006, mirato a valutare e a neutralizzare gli effetti negativi che i Giochi avranno sul clima a causa delle emissioni di gas climalteranti che l’organizzazione e lo svolgimento dei giochi di necessità comporteranno.
Ci sembra una buona notizia. Intanto perché ha il pregio di richiamare pedagogicamente l’attenzione dell’opinione pubblica sul fatto che ogni azione umana, piccola o grande, ha un qualche effetto sull’ambiente. E che pertanto prima ancora di intraprenderla, in particolare quando si tratti di grandi imprese collettive che comportano effetti proporzionali alle loro dimensioni occorrerebbe pensarci molto bene. Cosa che evidentemente nel caso dell’Olimpiadi, come gli ambientalisti non si stancano di ripetere, non è stata fatta.
In secondo luogo perché è ancora un buon esempio di pedagogia di massa rendere noto che il TOROC si dichiara disposto ad assoggettarsi al sano principio secondo cui chi fa danni all’ambiente, ente pubblico o privato che sia, debba farsi carico dell’obbligo di sanarli.
Quanto all’iniziativa in sé non possiamo non approvare che, applicando i parametri che « il protocollo di Kyoto ha fissato per calcolare l´impatto e per compensare gli effetti negativi sul clima» (riteniamo siano «le metodologie accettate» dall’IPCC sulla base del compito affidatogli dall’articolo 5, par. 2, del Protocollo), il TOROC si disponga a varare un programma organico di riassorbimento della CO2 prodotta finanziando, col concorso di enti pubblici e privati, la messa in opera di impianti a maggiore efficienza energetica, la promozione di fonti di energia rinnovabile sostitutive alle fossili, la creazione tramite rimboschimento di “pozzi” di assorbimento della CO2.
Non dubitiamo, peraltro, che il computo delle emissioni da neutralizzare (valutata per ora a non meno di 120.000 tonnellate) richieda, come gli stessi responsabili del progetto ammettono, “calcoli molto complessi” e ci domandiamo se davvero nel bilancio finale si potrà e vorrà tener conto di tutti gli aspetti connessi. Solo per fare un esempio: si potrà e vorrà tener conto di quanta CO2 in più è già costata e costerà in futuro il disboscamento effettuato per creare le varie piste olimpiche e la connessa scomparsa dei “pozzi” di assorbimento del gas costituiti dai boschi cancellati dal territorio (questo a prescindere dallo scempio ambientale e paesaggistico più volte denunciato)?
Ma vogliamo essere ottimisti: diciamo che ci auguriamo che le intenzioni del Comitato olimpico vadano a buon fine e che ci aspettiamo di avere da Hector un onesto rendiconto del dare e dell’avere delle Olimpiadi anche sotto il profilo dell’effetto-serra, onde poterne ricavare dati utili da inserire nella riflessione più generale, che si impone, circa il futuro economico e sociale della nostra regione.
Riflessione che si riassume nel quesito: in presenza d’un evidente condizione di crisi del modello produttivo dominante per oltre un secolo (in Piemonte e nel mondo), basato sulla crescita ininterrotta di produzione e consumo di beni industriali, verso quale direzione e su quali imprese collettive sarà meglio che la società civile e le istituzioni piemontesi indirizzino i loro sforzi congiunti? Forse Hector ci dirà, in positivo, che incamminarsi risolutamente verso un modello produttivo di beni comuni ambientali, a basso consumo di energia e di ambiente e ad alto impiego di manodopera, è la direzione giusta. E – anche – che non era necessario cominciare a prenderla solo per sanare i guasti d’una impresa collettiva sbagliata e inutile, quali le Olimpiadiinvernali del 2006.