Cinemambiente: la recensione del film "Trashed"
Alessio De Giorgis ha assistito per Eco dalle Città alla proiezione del film "Trashed" nell'ambito del festival Cinemambiente
05 June, 2013
“Se non vi occuperete dei rifiuti loro si occuperanno di voi”. Questa massima aleggia, inquietante, per tutta la durata di “Trashed”, lungometraggio di Candida Brady presentato a Cinemambiente. Impreziosito dall’attiva partecipazione dell’attore Jeremy Irons, il documentario si presenta nella forma di un giro del mondo tutt’altro che vacanziero, all’affannosa ricerca di una soluzione per un problema non più trascurabile. Dalle spiagge deturpate del Libano alle discariche che infettano il verde Yorkshire, dall’inefficacia di un costoso termovalorizzatore islandese all’inquinamento su scala globale di mari e oceani; inaspettatamente il viaggio si conclude a San Francisco, metropoli che, più di ogni altra, è in prima linea nella lotta che conduce a “Rifiuti Zero”. Battaglia dalle cui sorti dipende l’esito di quella che appare come la grande scommessa della nostra epoca, quella sulla sostenibilità.
Il ragionamento è complesso e non può che partire dall’analisi delle strade perseguite in questi anni. Anzitutto, quella che porta a scaricare i nostri rifiuti nelle discariche che, quelle soggette a monitoraggio costante così come quelle risultanti da un’incontrollata urbanizzazione delle zone più povere del mondo, non offrono garanzie sul lungo periodo. Discorso analogo viene svolto per gli inceneritori i quali, sebbene godano spesso di strenue difese da parte delle autorità, sono ben distanti dall’essere, anche nella loro versione più aggiornata e cool (termovalorizzatore), a impatto ambientale “zero”. Si profila allora la necessità (non la meno impegnativa e vincolante “alternativa”) di produrre una risposta culturale capace di rispondere a decenni spensierati in cui l’industria, il marketing e una politica connivente hanno incentivato uno stile di vita al di sopra delle risorse che il pianeta ci ha messo a disposizione. Non a caso, la regista britannica dedica molta attenzione al problema diffuso e difficilmente monitorabile dell’inquinamento marino. La diossina che, veicolata dalla plastica, entra nella catena alimentare dei pesci e arriva fino a noi.
Se i nostri oceani sono ridotti a “zuppe di plastica” la cosa non ci deve spaventare per ragioni di mero degrado estetico. Ma proseguire con questo tipo di relazione con l’ambiente porterà, inevitabilmente in tempi brevi, a dover ridiscutere seriamente il proprio diritto alla salute e alla sicurezza alimentare. E c’è da temere che nessun tribunale del mondo, fosse pure nel paese più opulento, potrà accordarci immunità di sorta. Forse il percorso da imboccare con decisione, è quello di ripensare i nostri gesti quotidiani, liberarci dal superfluo, non gettandolo ma evitando di produrlo. Presentando la liberazione di un piccolo negozio inglese dalla schiavitù degli imballaggi, Trashed suggerisce, soprattutto, la necessità di condividere con la comunità che ci circonda un atteggiamento più riflessivo e accorto, provandone l’utilità, a dispetto di qualsiasi avveniristica soluzione impiantistica.