"Perché siamo in campo per i sacchetti compostabili" Intervista a Stefano Ciafani, Legambiente
"Basta dubbi: il bando è in vigore. Chi continua a cercare cavilli, si comporta come il famoso giapponese sull’isola del Pacifico che non sa che la guerra è finita. I funzionari del Ministero possono dire quello che vogliono ai giornali, ma contano gli atti ufficiali. E nessun atto dice che il bando non sia in vigore" | La replica di CNA
29 November, 2013
L’annuncio della proposta di direttiva europea volta a ridurre il numero di sacchetti in circolazione è stata letta come una conferma della direzione presa dall’Italia, da anni in prima fila in questa battaglia. Il testo della proposta tuttavia ha dei parametri diversi da quelli del decreto italiano: il discrimine è lo spessore, e non il materiale. Nessuna deroga per i sacchetti biodegradabili né per quelli compostabili. Si rischia un nuovo terremoto normativo?
No, direi proprio di no. Il testo della proposta di direttiva è molto chiaro. Si dice: ci sono problemi ambientali dovuti all’eccessiva diffusione dei sacchetti, che inquinano anche i mari che bagnano l’Europa. I Paesi membri devono adottare misure che vadano in questa direzione, mettendo in campo delle tasse o dei bandi, misure che possono derogare alla Direttiva Imballaggi. E così viene meno la difesa a cui si appellavano i produttori di plastica tradizionale: la loro contestazione non si basava sul fatto che i sacchetti compostabili inquinassero come quelli non compostabili, ma sul fatto che non si potesse derogare alla Direttiva Imballaggi. E ora l’Europa ha stabilito che si può. Non rischiamo nessun passo indietro sul decreto italiano, perché non c’è contraddizione tra il nostro italiano e la proposta di direttiva europea. L’Europa non ha mai detto che devono essere banditi tutti i sacchetti, sarebbe fuori di testa Potocnik se dicesse una cosa del genere. Invece si dice: “Per fronteggiare il problema dei sacchetti, si può prevedere anche il bando” che è ben diverso. Non c’è nessun pericolo di dover rimettere mano alla normativa italiana. Anzi: è diventata una volta tanto un esempio a livello comunitario.
La stessa Assobioplastiche ha sempre sostenuto l’importanza di non arrivare ad una sostituzione 1 a 1 tra i sacchetti di plastica tradizionali e quelli compostabili: l’abitudine all’usa e getta deve in ogni caso diminuire, a favore della sporta e delle alternative ecologiche riutilizzabili. A sette anni dal primo tentativo di regolare il mercato italiano, come valuta la situazione attuale?
Come Legambiente, abbiamo sempre detto che il bando doveva servire a ridurre quel numero abnorme di sacchetti di plastica commercializzati in Italia, che da sola consumava il 25% dei sacchetti circolanti in tutta Europa. Un dato che era fuori da ogni criterio logico. E abbiamo sempre detto che il bando doveva servire a far recuperare agli italiani quella sana abitudine che fino a 25 anni fa era prassi, e cioè quella di fare la spesa con la sporta. Ed è esattamente quello che sta avvenendo oggi. Direi soprattutto grazie alla messa a norma del mondo della grande distribuzione, che, ci piaccia o no, è diventata ormai la scelta numero uno dei consumatori. I supermercati hanno incentivato l’uso delle alternative riutilizzabili, tra juta, borse di plastica spesse e stoffa. E poi, per chi proprio vuole il sacchetto a tutti i costi, hanno adottato il compostabile, chi la carta, chi la bioplastica. Facendo una valutazione anche solo “occhiometrica”, si può dire che questa politica ha funzionato. La riduzione dell’usa e getta è stimabile attorno al 30, 40% e in alcuni territori perfino 50%. Ed è un risultato straordinario. Il problema rimane nella distribuzione al dettaglio e nei mercati rionali, dove purtroppo continuano a circolare sacchetti che sono illegali ormai da due anni e mezzo, dal 1° gennaio 2011. E questo vuol dire che chi dovrebbe controllare ha aspettato troppo ad intervenire, perché purtroppo in questo Paese le leggi non bastano, servono le sanzioni.
Il problema è capire se possano essere applicate o no queste sanzioni. Perché il portavoce del Ministero dell’Ambiente, che abbiamo interpellato su questa questione, a noi ha risposto “no, finché la procedura non è conclusa a livello europeo”…(Leggi qui)
Non esiste nessuna comunicazione ufficiale del Ministero dell’Ambiente che dica questo. Ognuno può parlare con chi vuole, e i funzionari del Ministero possono dire quello che vogliono, ma finché il Ministero non scrive un atto ufficiale con cui dice che il bando non è in vigore, per noi il decreto è valido, dal 15 settembre scorso, quando l’Europa non ha espresso pareri sul bando allo scadere dello standstill period. L’Europa aveva tempo fino a quella data per esprimersi. Non l’ha fatto, il decreto è in vigore. Se per il Ministero dell’Ambiente o per quello dello Sviluppo Economico non è così, invece che dirlo telefonicamente ai giornalisti, che facciano un documento, e allora su quello ragioniamo. Le parole volano: contano gli atti ufficiali.
Lasciamo da parte l’entrata in vigore ufficiale del bando. In ogni caso la direzione europea è chiara: bisogna ridurre l’usa e getta, in generale. Quali sono gli altri fronti urgenti su cui sarebbe bene intervenire?
Ecco, partiamo dalla premessa: chi continua a cercare i cavilli, si comporta come il famoso giapponese sull’Isola del pacifico che non ha capito che la guerra è finita. Basta, ormai l’ha detto anche l’Europa, è arrivato il momento di mettere via le armi perché ormai siamo in pace. E questo lo dico a chi si ostina a dire il contrario. Abbiamo vinto e bisogna saper perdere. Per rispondere invece alla domanda, certo che ci sono altri fronti. Per restare in tema, dico senz’altro piatti e bicchieri di plastica, rifiuto onnipresente in giro per l’Italia nonostante esistano sia le alternative tradizionali sia quelle compostabili quando non si può fare a meno dell’usa e getta. E poi più in generale bisogna applicare il principio del chi inquina paga: imballaggi più inquinanti devono essere meno convenienti per le aziende. Un esempio che torna ai sacchetti: chi produce sacchetti compostabili paga lo stesso contributo ambientale Conai di chi produce sacchetti di plastica, e questa è una follia. Ma questo vale per tutto il settore degli imballaggi. Ci sono aziende che differenziano il packaging dei loro prodotti per il mercato italiano e per quello tedesco. E perché? Perché in Germania l’overpackaging si paga caro. E allora le aziende riducono all’essenziale. E noi cosa aspettiamo a fare lo stesso?
La replica di CNA Produzione
CNA: "Il divieto di commercializzazione non può essere in vigore e le sanzioni non possono essere comminate, a meno di non incorrere in ricorsi e pesantissime richieste di risarcimento: non è certo il sig. Ciafani che decide sull'approvazione della proposta di direttiva europea". (Leggi l'articolo completo)
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