30 tonnellate di cibo recuperate a Londra in tre anni, l'attività di Best Before Project diretta da due "torinesi"
Davide ed Elvira e il team Best Before Project si impegnano nel combattere spreco e povertà alimentare nella capitale britannica. Attività a 360°: dal recupero di cibo scaduto, alla sua ridistribuzione e, per finire, all'organizzazione di campagne ed eventi di sensibilizzazione e informazione
19 September, 2014
di Albana Muco
89 milioni di tonnellate di cibo, ovvero 180 kg pro capite, sprecate ogni anno nei paesi dell’Unione Europea. Questi numeri, e altri ancora, si trovano nell’ultimo rapporto sullo spreco alimentare del Servizio Ricerca del Parlamento europeo. Dopo la pubblicazione di tale documento, il Parlamento stesso ha chiesto che il 2014 venisse proclamato “Anno europeo contro gli sprechi alimentari”. Tra le numerose realtà, piccole e grandi, che si dedicano a contrastare il fenomeno, troviamo in prima linea anche l'organizzazione no-profit Best Before Project, attiva a Londra dal 2011. Intervistiamo Elvira Del Valle Cenizo e Davide Biasco, in passato cittadini “torinesi” e ora “londinesi”, per capire meglio le attività di Best Before Project e l’impatto dello spreco alimentare nel mondo.
Come siete entrati a far parte di BBP?
Davide: Prima di trasferirci da Torino a Londra, un’amica ci ha parlato dell’organizzazione e delle attività contro lo spreco alimentare. Ci ha invitati a partecipare a uno dei meeting che si tenevano periodicamente. Era uno di quegli incontri in cui si parlava delle decisioni dell’organizzazione, si presentavano le attività ai nuovi volontari e collaboratori. La mission dell’organizzazione ci ha subito appassionato.
Elvira: Inizialmente abbiamo dato il nostro contributo come volontari, poi ci siamo iscritti. Da circa 11 mesi, praticamente da quando è stato scelto il nuovo consiglio d’amministrazione, io sono diventata tesoriere e Davide direttore.
Di cosa si occupa BBP?
Elvira: L'attività dell'organizzazione è cominciata con il recupero di cibo scaduto, che veniva depositato nei nostri magazzini e infine ridistribuito o consegnato a enti e organizzazioni di beneficienza. Attualmente ci dedichiamo molto di più alle campagne ed eventi di sensibilizzazione e informazione. Mettiamo in secondo piano la raccolta, poiché desideriamo strutturarci meglio. Quando abbiamo cominciato tutti facevano tutto, non c’era una netta divisione dei compiti. Inoltre, le persone coinvolte non dedicavano moltissimo tempo alle attività dell’organizzazione. Col passare del tempo, abbiamo cercato di gestire meglio le attività e i compiti, per avere un'organizzazione più sostenibile ed efficiente. Le persone hanno diversi impegni, considerando anche il fatto che si vive a Londra. Se manca la forza lavoro il progetto stesso rischia di collassare.
Davide: In passato eravamo più concentrati sul recupero e sulla ridistribuzione, come ha detto Elvira; raccoglievamo e recuperavamo il cibo conservato dai negozi di piccoli e grandi commercianti che non volevano venderlo, perché ormai scaduto. "Collaboriamo" con qualche decina di piccoli negozianti e una dozzina di distributori all'ingrosso. Produttori o operatori del settore alimentare ci contattano, via mail o telefonicamente, grazie anche alla nostra rete di contatti ed associazioni anti food waste. Posso dire che nello spreco alimentare è coinvolta tutta la catena di distribuzione, comprese le industrie manifatturiere. Oltre alla scadenza, ci sono anche altre problematiche che fanno sì che il cibo venga buttato: scatole ammaccate, etichettatura con qualche mancanza, oppure prodotti con proporzioni o dosi di ingredienti eccessivi o inferiori rispetto a quanto definito in una determinata ricetta. Prodotti mangiabilissimi che vengono buttati senza battere ciglio. Noi recuperiamo questi prodotti, dopo averli depositato nei nostri magazzini in giro per la città, li ridistribuiamo. Siamo riusciti a muovere e a salvare svariate tonnellate di cibo. In tre anni 30 tonnellate, mediamente un furgone al mese. Non è un lavoro semplice, considerando il tempo impiegato per tutti questi movimenti, aprire e chiudere i magazzini quando necessario, prendere il furgone e andare a recuperare il cibo. Le distanze a volte sono un problema. Se si ha la fortuna di avere a che fare con un grande distributore, c'è più possibilità che il cibo venga portato direttamente nella nostra sede. Diciamo che i nostri "fornitori" si trovano nell'arco di 30 km.
Di recente, invece, ci stiamo focalizzando soprattutto sugli eventi informativi ed educativi. Ci siamo resi conto che salvavamo solamente un volume di cibo che possiamo definire una goccia nell’oceano dello spreco alimentare e abbiamo compreso ancora di più il grande valore della formazione-informazione. Ci siamo proposti, quindi, di cambiare approccio, perché abbiamo compreso che l’educazione ha un maggiore impatto sulla lotta contro lo spreco alimentare. Informiamo ed educhiamo attraverso newsletter, social network, partecipando a vari eventi in giro per la città, nelle scuole. Diciamo che siamo diventati più consapevoli del ruolo attivo che deve avere la cittadinanza nei confronti della lotta allo spreco alimentare. Ci rivolgiamo a tutti, cittadini, rivenditori, a chi si occupa delle grandi catene di distribuzione, perché le leggi sono a nostro favore. Ad esempio, la legge europea Defra permette che i prodotti “best before date”, dicitura di scadenza presente nell’etichetta che in italiano equivale a “consumarsi preferibilmente entro il”, siano vendibili. Noi di BBP diciamo “vendibili, ma con una diminuzione del prezzo”. Ovviamente si tratta di un cibo di qualità inferiore a quello fresco, però è perefettamente sano e non causa nessun problema.
Da quante persone è composto il vostro gruppo?
Davide: Il nostro team non è molto grande, 7 persone lavorano e partecipano attivamente, altre 4 aiutano sporadicamente. Non bisogna dimenticare, però, le persone facenti parte di altre associazioni con le quali collaboriamo quando organizziamo eventi comuni, oppure quando c’è la necessità di trasportare o spostare il cibo recuperato.
Potete spiegarci la differenza tra “best before date”, ovvero “consumarsi preferibilmente entro il” e “used by”, ovvero “consumarsi entro il”? È chiara la somiglianza tra la prima dicitura e il nome della vostra organizzazione.
Elvira: Sì, il nostro nome Best Before Project rispecchia proprio quella dicitura. Entrambe le formule che hai nominato, indicanti la scadenza, sono le uniche legali. Ne esistono anche delle altre che non hanno valore legale, ma influenzano moltissimo il consumatore. “Consumarsi preferibilmente entro il” ha a che fare con la qualità di un prodotto. Se si consuma dopo la data di scadenza riportata e se conservato correttamente, il cibo subisce un lento decadimento qualitativo, ma è perfettamente commestibile. Basarsi solamente sulla scadenza significa sprecare e buttar via inutilmente non solo i prodotti alimentari, ma anche i materiali in cui sono conservati. Non è possibile riciclare i contenitori alimentari, poiché tutto finisce in discarica. Diciamo che sprechiamo contemporaneamente, cibo, materiali utili, energia, soldi e causiamo anche danni all’ambiente. Le etichette hanno un ruolo fondamentale e le persone devono saperle comprendere. Nel caso in cui ci sia la dicitura “consumarsi entro il”, se il cibo viene consumato può diventare nocivo per la nostra salute. Va rispettata, perciò, la data indicata. Vorrei aggiungere, inoltre, che è molto importante assaggiare il cibo, usare i nostri sensi, non fermarci solamente al “consumarsi preferibilmente entro il”.
Quali sono gli ultimi eventi che avete organizzato?
Elvira: Abbiamo organizzato un picnic vicino ad Harrow, utilizzando ovviamente il cibo dei nostri magazzini, con l’obiettivo di sensibilizzare i residenti di quella zona. A giugno abbiamo organizzato un brunch in un ristorante vicino al quartiere Shepherd Bush, per partecipare si doveva pagare un prezzo simbolico. Siamo stati presenti in eventi organizzati da altre associazioni che si occupano di food waste, noi forniamo il cibo e loro informano sulle nostre attività. Inoltre, nel quartiere di Lambeth l'amministrazione locale distribuisce i nostri volantini informativi. Stiamo instaurando un buon rapporto con le suddivisioni amministrative della città, questo è un ottimo traguardo e speriamo di poter procedere sempre meglio.
Quali sono i vostri obiettivi futuri?
Davide: Per quanto riguarda gli obiettivi a breve termine, vogliamo trovare dei nuovi volontari, persone che possano svolgere determinati compiti. Attualmente ci manca qualcuno/a che si occupi del profilo di Facebook, a differenza di quello di Twitter, non è molto dinamico; poi una persona che gestisca il profilo Google plus, una per il sito e una per la newsletter. Inoltre, siamo cercando soprattutto di assumere un fundraiser che lavori a tempo pieno per l’associazione. Questo ci permetterebbe di trovare più fondi, gestire meglio la comunicazione, la ridistribuzione. Altro obiettivo, registrarsi come organizzazione di beneficienza, charity, perché abbiamo abbastanza soldi per poterlo fare. Questo cambiamento ci permetterebbe di internazionalizzarci e accedere alle sovvenzioni a disposizione delle associazioni di volontariato. Il nostro obiettivo a lungo termine è, inanzitutto, quello di offrire più selta ai consumatori riducendo lo spreco alimentare e, qualora fosse possibile, riempire container e spedirli dove il cibo scarseggia, dove la povertà alimentare regna.
Elvira: I soldi purtroppo servono, e questa è una cosa che purtroppo non viene compresa, soprattutto in Italia. Ciò che viene guadagnato viene reinvestito nell’organizzazione stessa per raggiungere gli scopi prefissati. Un’organizzazione è un’azienda in tutto e per tutto, ha un bilancio che non deve essere negativo. In Inghilterra questa cosa è ben compresa da tutti; a differenza degli italiani, gli inglesi sanno molto bene che per fare una determinata cosa servono i soldi. Diversamente da altre organizzazioni o associazioni, che si trovano nell’Inghilterra del nord, noi non vendiamo il cibo recuperato e quindi esso non è una fonte di guadagno che ci permette di realizzare le nostre attività. Proprio per questo motivo cerchiamo di raccogliere fondi. Non siamo contro chi lo vende, ma vogliamo mantenere la nostra linea: non vendere, ma educare le persone a consumarlo e a comprarlo.