Stupore e cura per il cibo, fermiamo noi il grande spreco
Il commento della scrittrice Susanna Tamaro sul Corriere della Sera. In evidenza la necessità di educare i bambini nelle scuole con un piano nazionale di educazione alimentare - da Corriere.it del 23-06-2015
23 June, 2015
di Susanna Tamaro
Ormai da tempo sui giornali veniamo informati, con cifre sempre più impressionanti, sull’inarrestabile scandalo dello spreco alimentare. Ogni anno nel mondo, ci viene ripetuto, vengono gettati miliardi di tonnellate di cibo. Dopo reiterati inviti e appelli, pare che finalmente anche le istituzioni del nostro Paese stiano cominciando a porre in atto delle modifiche legislative per permettere al cibo invenduto di venir equamente redistribuito. Ma un fenomeno forse più inquietante avviene tra le mura domestiche. I dati ci dicono che gli italiani sprecano 149 chili di cibo a testa all’anno, un po’ meno della media europea, che è di 180 kg. Cibo che dal frigorifero o dalla dispensa vola direttamente nella spazzatura.
Per le persone della mia generazione, quelle nate negli anni Cinquanta, è molto difficile capire come possa accadere. Cresciuti da genitori e nonni sopravvissuti a due guerre, incalzati dagli occhi sgranati e dai ventri deformi dei bambini del Biafra, siamo stati forse l’ultima generazione educata anche con la coercizione a non lasciare nulla sul piatto. Il «mi piace», «non mi piace», non era contemplato. Il cibo era considerato comunque una benedizione e nessuno di noi si sarebbe sognato di gettare anche solo mezzo panino nella spazzatura. Ma poi, in tempi rapidissimi, le cose sono drammaticamente cambiate. Il discrimine non sono stati più gli sguardi disperati degli affamati d’Africa, ma l’assoluta arbitrarietà dei gusti sempre più difficili e sofisticati di intere generazioni, le quali, ignare della fatica, dei sacrifici e del lavoro che sta a monte di ogni prodotto alimentare, hanno iniziato a considerare il cibo una merce pari alle altre, da accumulare ed eliminare secondo i propri capricci. Si ritiene che sia compito esclusivo dei Grandi della terra, delle organizzazioni e della politica risolvere questo scandalo.
Fino a poco tempo fa, erano rare le persone che si sentivano responsabili di questa deriva suicida. Produrre cibo e gettarlo vuole dire, oltre allo spreco economico, consumare le materie prime - l’acqua soprattutto. Materie che non hanno il dono dell’illimitatezza. Da dove cominciare dunque per invertire la rotta? La Francia sta varando delle leggi per punire le aziende che sprecano. Ma è davvero la punizione la via per uscire da questo impasse, in un Paese come il nostro che ha impiegato ben 21 anni per approvare la legge sui crimini ambientali? Penso piuttosto che, per modificare l’orizzonte, sia necessario come sempre iniziare dalla persona. E questo vuol dire impegnarsi a tappeto in tutte le scuole. I bambini sono straordinariamente aperti e pronti a recepire questo tipo di educazione, che per altro viene già fatto in molte realtà scolastiche, basandosi sull’entusiasmo e la passione dei singoli insegnanti.
Perché non prevedere, dunque, che i ministeri dell’Agricoltura, dell’Ambiente e dell’Istruzione comincino a parlarsi in modo agile e preparino in tempi brevi, anzi brevissimi, un piano nazionale di educazione alimentare? Tutte le scuole, dov’è possibile, dovrebbero aderire al progetto «Un orto per ogni scuola», perché coltivare cibo fa capire ai bambini quanta fatica e attenzione siano necessarie per produrre nutrimento. E oltre a ciò, permetterebbe loro di accedere a una categoria molto negata di questi tempi, quella dello stupore. «Oh, da quel seme così piccolo è venuta fuori una zucca così grande!». In un mondo in cui tutto è ovvio, tutto è riproducibile e ripetibile, lo stupore è il vero antidoto alla sciatteria imperante. Infatti solo la meraviglia rende preziose le cose, strappandole alla cupa routine del consumo di massa.
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