Inceneritori, Enzo Favoino: "Costosi, con lunghi tempi di realizzazione e non evitano le discariche"
Enzo Favoino, ricercatore presso la scuola di agraria del Parco di Monza, ci ha inviato il testo integrale delle risposte ad un'intervista che è stata pubblicata dal fatto Quotidiano nei suoi punti salienti
04 September, 2015
Una delle giustificazione per il decreto sblocca Italia è legata alle infrazioni europee e alle direttive europee. E' così? Davvero abbiamo bisogno di 12 inceneritori per evitarle?
La premessa dello schema di Decreto sarebbe anche condivisibile: vanno superate le criticità, che
spesso si traducono in procedure di infrazione. Ma è lo svolgimento che non posso sottoscrivere.
Infatti, la UE non ci mette in mora “perché non ci sono inceneritori”, quanto per il mancato rispetto
dell’obbligo (sancito dalla Direttiva 99/31 sulle discariche) di pretrattamento del rifiuto che va in
discarica. Una cosa che segnaliamo da tempo. Ora, al di là di alcuni assunti e passaggi di calcolo
arbitrari, su cui si potrebbe ampiamente discutere e varrebbe la pena farlo, il difetto di analisi
principale alla base dello schema di Decreto è che considera l’incenerimento come necessario,
mentre è solo uno dei pretrattamenti possibili, e – con ogni evidenza – il meno adatto, per diversi
motivi: è quello che richiede i tempi più lunghi di realizzazione, e questo è un fattore da
considerare se si intende dare una risposta sollecita alle criticità; è poi il più esigente in termini di
risorse finanziarie (i costi di investimento specifici sono 3-4 volte superiori rispetto ad impianti di
trattamento a freddo), e questo a sua volta distrarrebbe risorse preziose da quella che deve
costituire la vera priorità, ossia le attrezzature per la raccolta differenziata e l’impiantistica per
riciclo e compostaggio. La criticità maggiore che devo segnalare, tuttavia, risiede nella “rigidità
operativa” dell’inceneritore, che una volta realizzato richiede di fare l’unica cosa che può e sa fare:
bruciare rifiuto indifferenziato. E questo, a lungo andare, determina frizioni con lo sviluppo dei
programmi di raccolta differenziata, che è quello che ci viene chiesto di fare dagli obiettivi
nazionali, ma anche, e sempre di più, dallo sviluppo del dibattito sulla “Economia Circolare” in
sede Europea.
Ecco, qui c’è un altro clamoroso difetto di analisi dello schema di Decreto: infatti il calcolo delle
capacità di incenerimento necessarie assume l’obiettivo nazionale attuale ed europeo al 2020, senza
considerare che con ogni probabilità verrà proposto l’aumento di quest’ultimo dal 50 al 70%: già
questo di per sé inficia i calcoli alla base della bozza di Decreto.
Senza contare che già molte Regioni italiane hanno programmi di settore che prevedono più del
65% di raccolta differenziata, in alcuni casi (ad es. il Veneto) marcatamente di più. Si imporrà a tali
regioni di retrogradare i propri obiettivi al 65%, come assunto dallo schema di Decreto? Non sono
questioni marginali.
Quali sono le possibili alternative agli inceneritori e alle discariche? Come funzionano
Come già evidenziato, la necessità è quella di sistemi in grado di dare una risposta sollecita agli
obblighi di pretrattamento, tenendo dunque conto degli attuali volumi di rifiuto residuo dalle
raccolte differenziate senza che però tali opzioni vadano a condizionare lo sviluppo progressivo dei
programmi di raccolta differenziata e di riduzione. Per questo tanti territori, in Italia ed in Europa,
stanno ora programmando nella direzione degli impianti di trattamento “a freddo” con recupero di
materia dal rifiuto. Si tratta di impianti che, combinando sistemi di selezione e di stabilizzazione
biologica, possono essere agevolmente e progressivamente convertiti in impianti di trattamento
dell’organico pulito (per farne compost) e dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata (per valorizzarli
sul mercato delle materie di recupero). La precondizione è una buona raccolta
dell’organico, in grado di rendere il rifiuto residuo meno “sporco” e più lavorabile, ma questo è
proprio quello che riusciamo ad avere con i modelli italiani di raccolta differenziata dell’organico,
che si sono ormai ampiamente dimostrati i più efficienti, tanto da essere stati esportati in vari altri
Paesi della UE e non solo.
La principale critica che in genere viene mossa a tali sistemi è di “non riuscire ad evitare la
discarica”. Ma è una critica che difetta di analisi, perché anzitutto anche l’incenerimento ha bisogno
di discariche (anzi, due tipologie di discarica: per le ceneri volanti e per le scorie); inoltre, abbiamo
evidenze, di cui il nostro territorio è ormai ricchissimo, di distretti anche vasti che arrivano alla
minimizzazione del rifiuto avviato a discarica grazie a quanto avviene a monte: l’ottimizzazione
continua della raccolta differenziata, i programmi di riduzione, l’introduzione dei sistemi di
tariffazione puntuale, ecc. E questo chiede quella “flessibilità” di sistema che viene messa a
repentaglio dalla necessità di alimentare un inceneritore.
C'è una certa rigidità nel sistema degli inceneritori che vincola i territori alla produzione di rifiuti: cosa succede?
E’ proprio qui il problema. La crescita delle raccolte differenziate, l’adozione di pratiche di
riduzione, tutte cose messe a fondamento delle strategie evolutive ambientali, ma anche
economiche, della UE, tendono a fare minimizzare il rifiuto residuo. L’incenerimento, proprio per
le ingenti risorse finanziarie necessarie, richiede garanzie di qualche tipo sulla sua utilizzazione
secondo i dati “di targa”. Dove tali garanzie vengono meno, si è nell’area del rischio finanziario, per
i costruttori privati (sono state clamorose le difficoltà in tale senso di un grosso operatore del
mercato dell’energia in Germania, il cui ramo di attività ambientali non era appetibile ai potenziali
acquirenti perché includeva diversi inceneritori, la cui profittabilità ed ammortamento era messa a
rischio dalla contrazione progressiva dei rifiuti inceneribili) o per le amministrazioni pubbliche. Per
queste, le scelte non sono tante: rallentare i programmi di espansione della raccolta differenziata, il
che contravviene in modo clamoroso alle indicazioni strategiche nazionali e comunitarie, oppure
incorrere in penali nei casi, frequenti, di contratti “vuoto per pieno”, che costringono a conferire
all’incenerimento tonnellaggi prefissati onde garantire il ritorno dell’investimento iniziale. E anche
qui ci sono stati casi clamorosi, come i Comuni della Versilia a cui viene chiesto di pagare diverse
decine di milioni di Euro di penali semplicemente perché, onde rispettare gli obblighi di legge sulla
raccolta differenziata, avevano introdotto la raccolta domiciliare, ma con ciò stesso erano venuti
meno agli obblighi del contratto “vuoto per pieno”
.
Gli scenari europei sui fondi e provviste di spesa: ci sono cambiamenti? Cosa comportano?
E’ sin troppo facile prevedere che ci sarà una forte stretta nella concessione di finanziamenti a
inceneritori e discariche, al cui beneficio sinora era invece andata gran parte dei fondi strutturali. A
livello UE, c’è stata una riflessione sul fatto che tali finanziamenti comportano un sovvertimento di
fatto delle priorità di azione sulla gestione dei rifiuti.
Peraltro, l’abolizione di qualunque finanziamento ad inceneritori e discariche è stato chiesto
esplicitamente negli ultimi pronunciamenti dell’Europarlamento, quelli mediante i quali si è inteso
“dettare l’agenda” e la strategia alla Commissione, che sta ora lavorando alla finalizzazione del
pacchetto sulla Economia Circolare.
Il venire meno di tali finanziamenti in conto capitale, ma anche il parallelo restringimento delle
provviste finanziarie per i sussidi alla produzione energetica da incenerimento (un altro fattore
distorsivo che ha ampiamente influenzato il settore in Italia negli ultimi decenni) comporta di per sé
un aumento delle tariffe da praticare per i conferimenti, dell’ordine di diverse decine di Euro/t
E' vero che in Nord Europa bruciano più rifiuti di noi?
E’ vero come dato statistico relativo alle medie nazionali. Ma è anche vero che ora c’è una ampia
riflessione su tale situazione. Perché la Danimarca,che può certo essere considerata un modello per
le politiche di sostenibilità nei trasporti e nella produzione energetica, non lo è altrettanto –
contrariamente alla vulgata - nella gestione dei rifiuti. Il loro ampio ricorso all’incenerimento
confligge infatti già con gli obiettivi attuali di recupero materia stabiliti dalla UE, ed a maggior
ragione con quelli futuri. Tanto che la UE dovette adottare una formulazione “rilassata” degli
obblighi di raccolta differenziata, in modo da tenere conto della situazione danese, ove sino ad oggi
c’è da registrare la pressoché totale assenza, ad esempio, della raccolta differenziata dello scarto
alimentare... E tanto che lo stesso Governo danese ha adottato, l’anno scorso, la strategia nazionale
di gestione delle risorse con lo slogan (riportato addirittura nella copertina) “incenerire di meno,
riciclare di più”, per riallineare il Paese alle indicazioni provenienti dal dibattito in UE e dal quadro
geopolitico internazionale, che costringe positivamente a passare al modello di economia circolare.
Ecco, è paradossale che, proprio mentre altrove tabellano una “exit strategy” progressiva
dall’incenerimento, in Italia si pensi a realizzarne altri, inserendo una ulteriore rigidità e
contraddizione in un Paese che ha invece bisogno di indicazioni chiare ed univoche: pigiamo
sull’acceleratore della raccolta differenziata e della riduzione, manteniamo flessibilità nei sistemi di
trattamento del rifiuto residuo, e portiamo a sistema quegli esempi virtuosi che portano tanti
Comuni e Città italiane, al Nord come al Sud, ad avere già i record di minimizzazione dei rifiuti
residui. Sono sistemi che stanno ispirando emulazione in tutto il mondo, e sarebbe il caso di
promuoverli ed esportarli, anziché importare dall’estero tecnologie in corso di superamento. Se lo
fanno già tanti territori, lo possono fare, bene e subito, anche i territori accanto. Ma hanno bisogno
di “guidance”, di capacità di indirizzo, e dei sostegni finanziari iniziali che verrebbero invece
assorbiti, nelle ipotesi prefigurate dallo schema di Decreto, dalla realizzazione di una dozzina di
nuovi inceneritori. Ecco, non è il caso che ciò succeda.