Sacchetti di plastica illegali: "Il nodo cruciale sono i grossisti"
Sono ancora tantissimi i sacchetti non a norma in Italia. Secondo Paolo Arcelli, direttore di Plastic Consult "ogni grossista che si adegua alla normativa può contribuire a far passare al sacchetto compostabile decine se non centinaia di dettaglianti”
18 November, 2015
Nonostante
la messa al bando dei sacchetti di plastica in Italia sia in vigore
dal 2012, sono ancora tantissimi gli shopper non a norma che
circolano nel paese. L’ultima indagine di Legambiente fatta sulle
buste per la spesa e pubblicata a gennaio 2015 aveva documentato una
situazione di illegalità diffusa: su 37 sacchetti prelevati presso
diversi punti vendita della grande distribuzione organizzata in sette
regioni, ben 20, cioè il 54% del totale, erano risultati non
conformi alla legge.
Per
essere a norma, un sacchetto dev'essere biodegradabile e compostabile
secondo lo standard europeo “UNI EN 13432:2002”, oppure
riutilizzabile
in base a precisi requisiti di spessore. La legge, se correttamente
applicata, permette quindi di ridurre notevolmente l’inquinamento
da plastica e di migliorare la raccolta differenziata della frazione
organica dei rifiuti, utilizzando come
contenitore proprio
il
sacchetto
compostabile
della
spesa. Per
fare il punto della situazione abbiamo parlato della faccenda con
Paolo
Arcelli,
direttore
della società di consulenza Plastic
Consult, che
tra le proprie
attività
si occupa anche
di monitorare il consumo di materia prima di prodotti compostabili e
che quindi ha il polso della situazione del mercato e della
diffusione tanto
dei
sacchetti
a norma quanto dei sacchetti illegali.
“Il
focus di questi ultimi anni è molto spostato sul sacchetto della
spesa, perché è il mercato più grande tra tutti i prodotti
compostabili che ci sono in commercio - spiega Arcelli - Abbiamo fatto delle
valutazioni
e
gli ultimi
dati, relativi al 2014, li abbiamo presentati
presentate
al pubblico in
maggio in occasione della fiera di settore Plast. L'anno
passato è stato
un anno sostanzialmente monco, perché le sanzioni pecuniarie in
riferimento alla normativa sui sacchetti in plastica monouso sono
entrate in vigore ad agosto. Prima era un po’ un far west, dove chi
si voleva adeguare bene, chi non si voleva adeguare non rischiava
multe, se non coloro
che effettuano una vera e propria contraffazione sul prodotto, cioè
chi produce sacchetti
di polietilene o materiale fuori norma e poi li marchia come
compostabili”.
Con l'entrata in vigore delle sanzioni è cambiato qualcosa?
“Chiusa
la normativa c’è stata un’impennata della domanda di sacchetti a
norma ed è partito l’adeguamento di una serie di operatori che
fino a quel momento
erano recalcitranti.
Il mercato dei grandi supermercati della grande distribuzione era
stato invece
il primo a
puntare subito al sacchetto compostabile, già nel 2011, quando tutti
gli altri erano rimasti alla finestra o quasi. L’anno scorso
abbiamo visto che le farmacie hanno iniziato a comprare sacchetti a
norma, così come qualche salumeria
e qualche altro
negozio al dettaglio. Ciò significa che alcuni
grossisti avevano cominciato
quantomeno ad avere nel proprio portafoglio, oltre
ai sacchetti in polietilene, anche i
prodotti a
norma già nel
2014. Nel 2015 questo fenomeno è aumentato, anche la seconda fascia della grande distribuzione, quella delle catene minori della distribuzione
organizzata, pian piano si è adeguata. Resta comunque una grossa fascia di mercato che non è a norma. Adesso mi sembra che ci sia un notevole aumento della diffusione del sacchetto compostabile, dunque pare che le sanzioni stiano producendo
degli effetti, ma è normale che il processo sarà graduale”.
Le motivazioni della difficoltà ad adeguarsi alla legge quali sono secondo il tuo parere?
“Io ritengo che la componente economica sia la parte principale. Nel senso che il sacchetto compostabile ha un costo maggiore rispetto a
quello di plastica, i grossisti lavorano sui margini di compravendita e quindi il gioco è presto fatto. A mio avviso è proprio il
grossista, cioè l’intermediario, ad essere il fulcro del mancato adeguamento alle norme. Poi si può ragionare su aree geografiche e
vedere le differenze, le maggiori situazioni di mancato adeguamento ad esempio arrivano dalle regioni centro meridionali, ma i grossisti
sono quelli che influiscono maggiormente sulla decisione d'acquisto. I baristi, i panettieri, i kebabbari, il cui core business non è vendere merce ma offrire un servizio,
sanno tutto delle norme hccp ma secondo le nostre indagini del sacchetto sanno poco o niente e in parte è anche comprensibile.
È il grossista che influenza la decisione di acquisto, poi per carità capita anche che alcuni commercianti decidano di acquistare sacchetti
non a norma a proprio rischio e pericolo. Però ritengo che per risolvere il problema, più che concentrare le sanzioni sui dettaglianti, sia opportuno sensibilizzare e ove necessario sanzionare gli intermediari e i grossisti. Il nodo cruciale per la piena transizione ai sacchetti
a norma passa per il canale indiretto, in quanto ogni grossista che si adegua alla normativa può a sua volta sensibilizzare e contribuire a far passare al sacchetto compostabile decine se non
centinaia di dettaglianti”.
Leggi anche:
Africa, diffusione e limitazione dei sacchetti in plastica