Perché i paesi ricchi sprecano così tanto cibo?
Produciamo più di quanto abbiamo bisogno, ma ci sono anche altri fattori che contribuiscono a fare finire una grossa parte degli alimenti nella spazzatura
15 January, 2016
di Vaclav Smil*
Una certa quantità di spreco di cibo, è inevitabile. Bucce di patata, gambi di broccoli legnosi, ossi di cotoletta, gusci d’uovo, foglie di tè. Altri sprechi si potrebbero evitare ma sono comunque perdonabili in quanto fanno parte della quotidiana inefficienza insita nelle vite umane, come l’avanzo di una bottiglia di latte andato a male, una fetta di pane ammuffita nella dispensa, il grasso di una fettina di carne rifiutato da un bambino.
La maggior parte dello spreco di cibo, però, è inutile ed è possibile da evitare. Nell’ultimo decennio diverse ricerche ci hanno fornito un quadro generale del problema e del suo considerevole impatto ambientale ed economico.
Nel 2011, quando la FAO pubblicò il suo primo studio dettagliato sullo spreco di cibo, affidò il lavoro di ricerca all’istituto svedese per il Cibo e la Biotecnologia. Questo studio mise in luce che circa un terzo del cibo prodotto nel mondo per il consumo umano, 1,3 tonnellate all’anno, era sprecato oppure andava perduto. Gli sprechi più elevati avvenivano in Europa e Nord America, dove ammontavano a circa 100 chilogrammi per persona all’anno. Le perdite nell’Africa sub Sahariana e nel Sudest asiatico erano molto più bassi, 6/11 chilogrammi a testa all’anno. Due anni prima, la prima ricerca condotta nel Regno Unito dal Waste and Resources Action Programma (WRAP) scoprì che le famiglie britanniche sprecavano un terzo del loro cibo e che circa il 90 per cento di questo finiva nelle discariche.
Un aggiornamento compiuto nel 2013 ha però registrato un cambio di rotta incoraggiante: lo spreco di cibo nelle famiglie britanniche è sceso infatti del 15 per cento, passando da 8,3 a 7 tonnellate. Nei Paesi ricchi, le perdite di cibo all’interno dei nuclei familiari rappresenta la fetta più grande dello spreco. Frutta, verdure, carne, pesce, pane e cereali finiscono in pattumiera, ma perché i paesi più ricchi sprecano così tanto cibo? Le due ragioni più ovvie sono che questa parte di mondo produce di più di quello di cui ha bisogno e che questo cibo viene generalmente venduto a prezzi bassi.
Un altro, meno conosciuto fattore è il declino del cibo casalingo. Circa la metà dei pasti degli americani vengono consumati fuori casa e questo produce un sacco di spreco, soprattutto se pensiamo alle porzioni gigantesche servite negli USA. Le persone dei paesi più ricchi, inoltre, tendono a essere super osservanti delle date di scadenza, anche se, per esempio, si può benissimo mangiare uno yoghurt uno o due giorni dopo la data consigliata senza danni per l’organismo.
La disponibilità di cibo nella UE e negli Stati Uniti si aggira attorno alle 3500 calorie al giorno pro capite ma la media di cibo ingerito dalle persone sedentarie e avanti con l’età dell’Occidente non raggiunge le 2100 calorie. Questo crea un surplus di 1400 calorie (il 40 per cento).
Nell’Unione Europea i consumatori spendono il 14,5 per cento dei loro soldi nel cibo. Meno di quanto spendessero in passato, per fortuna, e meno di quanto viene speso nella maggior parte dei paesi più poveri. Tra le nazioni più ricche il Giappone rappresenta l’unica eccezione. Graziea una combinazione tra la sua alta dipendenza dal cibo importato (60 per cento) e alle abitudini più frugali di una popolazione che invecchia rapidamente, nel paese del Sol Levante il cibo sprecato ammonta oggi a soltanto il 20 per cento del totale.
Lo spreco di un terzo del cibo del mondo significa che il 30 per cento dei terreni agricoli viene arato, seminato, fertilizzato, irrigato e sottoposto a raccolto inutilmente. Queste lavorazioni della terra generano forti emissioni di anidride carbonica, metano e ossido di diazoto. Se lo spreco di cibo rappresentasse un paese a sé stante, sarebbe il terzo maggiore responsabile del mondo per le emissioni responsabili dell’effetto serra, dopo la Cina e gli Stati Uniti.
Una migliore conoscenza del cibo aiuterebbe a combattere lo spreco del cibo. Così come il mangiare di più in casa, ma alla lunga c’è soltanto una misura che potrebbe essere davvero efficace, soprattutto se si pensa che il cibo ha prezzi relativamente elastici: dovremmo pagare di più il cibo che acquistiamo. E' un risultato che sarebbe possibile raggiungere mettendo in atto misure restrittive e tasse aggiuntive, ma i governi occidentali non sembrano volere intraprendere questo percorso.
*Vaclav Smil is è professore emerito dell’Università di Manitoba, Canada, membro della Royal Society of Canada e autore di una quarantina di libri sull’energia, il cibo e l’ambiente.
Fonte: Financial Times - Traduzione di Laura Tajoli