Bioplastica 'soluzione' all'inquinamento marino? 'Nessun ambiente naturale può essere considerato smaltitore di rifiuti umani anche se biodegradabili'
Non si placa la discussione dopo l'articolo del Guardian "Biodegradable plastic 'false solution' for ocean waste problem". Francesco Degli Innocenti, European Bioplastics: "La necessità di sintesi che domina le interviste mal si adatta alla correttezza scientifica delle informazioni. Spesso poi il tutto degenera in titoli sensazionalistici"
05 July, 2016
Plastica biodegradabile ‘falsa soluzione’ al problema dell’inquinamento marino? A sentire l’Associazione di categoria (European Bioplastics), questa innovazione non si è mai presentata come la “soluzione” al problema: “Nessun ambiente naturale può essere considerato uno smaltitore di rifiuti umani anche se biodegradabili”. Il dibattito su questo argomento tuttavia si è riaperto dopo l’articolo pubblicato su The Guardian dal titolo Biodegradable plastic 'false solution' for ocean waste problem. L’ultimo, a detta degli esperti del mondo delle bioplastiche, di una serie di pezzi che hanno generato “equivoci” su questo argomento “molto complesso”. L'articolo del quotidiano britannico ha fatto comunque il giro della rete ed è stato citato recentemente in un testo di Pro.mo, gruppo dei produttori di stoviglie monouso in plastica di Unionplast, che riportiamo di seguito:
Anche la plastica biodegradabile, quella con cui si producono bottiglie e sacchetti ecofriendly, inquina i mari: lo ha affermato il capo dei ricercatori dell’UNEP (agenzia dell’Onu per l’ambiente) in un’intervista rilasciata al quotidiano britannico Guardian, in occasione dell’Assemblea Onu dell’Ambiente a Nairobi.
Nell’intervista, Jacqueline McGlade, spiega che questo tipo di plastica, nata per risolvere il problema del suo impatto sull’ambiente, non ha raggiunto il risultato che si sperava: “La plastica etichettata biodegradabile, come ad esempio le borse per la spesa, è in grado di dissolversi solo a 50°C, temperature inarrivabili in oceano. Inoltre, per loro natura affondano e quindi non restano esposte ai raggi e al calore del sole per potersi sciogliere”.
Analoga posizione era stata espressa da European Bioplastics, l'associazione che rappresenta il mondo della bioplastica, che aveva dichiarato che l’associazione non concorda con nessuna affermazione che pubblicizzi le bioplastiche come una soluzione al problema del littering marino che è causato da una scorretta dispersione dei rifiuti. Le plastiche biodegradabili sono spesso considerate come una possibile soluzione a questo problema poiché possono essere decomposte da microrganismi che non producono residui tossici. Tuttavia il processo di biodegradazione dipende da determinate condizioni ambientali. I prodotti adatti al compostaggio industriale (definiti dallo standard EN 13432) si degradano nelle condizioni esistenti negli impianti di compostaggio, ma non in quelle presenti in natura.
Il problema del littering marino non si risolve dunque, come molti avevano sperato, con la sostituzione della plastica tradizionale con quella biodegradabile. La strada da seguire è sempre più chiaramente quella del riciclo che implica corretti comportamenti da parte dei consumatori e la consapevolezza che è necessario un appropriato smaltimento a prescindere dal tipo di di packaging. A questo proposito l’UNEP afferma che «Etichettare un prodotto come biodegradabile può essere visto come una soluzione tecnica che rimuove la responsabilità dell’individuo, con conseguente riluttanza ad agire». È quello che hanno già constatato alcune ricerche: ci sono persone attratte dalle soluzioni tecnologiche come alternativa a cambiamenti nel proprio comportamento e stile di vita. Se è biodegradabile, si pensa, non farà poi tanto male all’ambiente; purtroppo per noi, da sola la tecnologia non basta.
Su questo argomento Eco dalle Città ha raccolto l'opinione di Francesco Degli Innocenti, responsabile per European Bioplastics di un gruppo di lavoro sulla standardizzazione: