Rompete le righe
Dichiara di volere promuovere una "Società europea basata sul riciclaggio". Ma non piace all'European Environmental Bureau, il panel europeo di ong ambientali, la proposta di revisione della Direttiva sui rifiuti approvata dalla Commissione europea. "Si rischiano di scardinare le gerarchie che mettono in testa alle preferenze il riciclo dei materiali rispetto all'incenerimento" da EcosportelloNews
31 January, 2006
Le nuove indicazioni della Commissione Ue sulla gestione dei rifiuti? Sono carenti, confuse e in contraddizione con gran parte di quanto deciso sino ad oggi. "Non solo non contengono gli elementi per affrontare in modo appropriato l'uso delle risorse e la prevenzione dei rifiuti, ma rischiano di smantellare un pezzo essenziale della legislazione comunitaria esistente. Ci allontanano, anziché avvicinarci, dalla realizzazione di una società europea basata sul riciclo dei rifiuti. Quella 'recycling society', a cui diversi Paese stanno lavorando ormai da qualche decennio, in cui la gestione dei rifiuti, oltre che sulla prevenzione, si basa quasi totalmente sul riuso e sul riciclaggio, con l'obiettivo di eliminare progressivamente, riducendoli al minimo, i residui di rifiuti da avviare all'incenerimento o alla discarica".
Non usa mezzi termini John Hontelez, segretario generale dell'European Environmental Bureau (EEB), la più ampia federazione internazionale che riunisce 143 organizzazioni ambientaliste di 31 paesi, tra cui Legambiente. Sotto accusa è la Proposta di revisione della Direttiva quadro sui rifiuti (la 442 del 1975) approvata dalla Commissione lo scorso 21 dicembre (vedi En 93). Proposta che, denuncia l'EEB, delinea in modo piuttosto inequivocabile la volontà della Commissione, nonostante le dichiarazioni di principio in senso opposto, di abbandonare l'obiettivo di 'recycling society' e, attraverso il ritorno alla deregulation e lo scardinamento della gerarchia delle opzioni (riduzione-riuso-riciclaggio-recupero energetico-smaltimento), rischia di spianare la strada all'incenerimento.
Una normativa da buttare, insomma? "No. Direi piuttosto contraddittoria - commenta Lucia Venturi, responsabile scientifica di Legambiente - perché pone intenti e obiettivi che nelle enunciazioni teoriche sono assolutamente condivisibili. Migliore sfruttamento delle risorse, miglioramento del mercato del riciclo, semplificazione delle normative esistenti: sono tutti principi più che condivisibili. Ma quando poi si entra nel merito dei singoli punti... beh, lì le buone intenzioni sfumano e diventano indicazioni confuse e spesso contraddittorie". Vediamo.
Armonizzazione versus deregulation
Il primo punto a sollevare preoccupazione tra gli ambientalisti, in Italia come in Europa, riguarda l'assenza di indicazioni che chiariscano una gerarchia precisa dei 5 livelli di opzioni per la gestione dei rifiuti (attualmente vigente a livello europeo, Italia compresa, attraverso le numerose politiche di esperienze di recupero e riciclaggio) e la loro sostanziale sostituzione con il 'life cycle thinking' come strumento per individuare le opzioni migliori a livello locale per la gestione dei rifiuti. Una scelta che, sottolinea l'EEB, introduce un allentamento dell'armonizzazione comunitaria in favore di piani regionali e nazionali.
"Come farà la Commissione a seguire contemporaneamente almeno 25 accertamenti di processi di 'life cycle' che, probabilmente, daranno risultati radicalmente differenti attribuendo alle stesse tipologie di rifiuti destinazioni diverse: discarica, inceneritore, riciclaggio?" si domanda Hontelez. E aggiunge: "L'intento della Commissione di voler tornare a una ri-nazionalizzazione nella gestione dei rifiuti risulta evidente nella decisione di non proporre una normativa che contenga obiettivi di riciclaggio per i rifiuti biodegradabili, o altri flussi di rifiuti, così come richiesto dal VI Programma di azione ambientale 2002-2012 (6EAP). Programma che, all'articolo 8, menziona tra le azioni prioritarie per un uso e una gestione sostenibile delle risorse, la definizione di obiettivi di efficienza e la diminuzione dell'uso delle risorse finalizzati a rafforzare il legame tra crescita economica e impatto ambientale".
Inoltre, "la definizione di strategie nazionali - aggiunge Venturi - non più ancorata a una chiara gerarchia Ue, pone già in partenza criteri di discriminazione tra paesi più all'avanguardia e paesi economicamente più arretrati o che in campo ambientale sono in ritardo, come l'Italia. Con livelli di velocità così differenziati, una gestione dei rifiuti, intesa come sistema, non potrà mai funzionare".
L'arma a doppio taglio del 'life cycle thinking'
Non solo. Il principale strumento operativo del 'life cycle thinking' è il 'life cycle assessment' (analisi del ciclo di vita, ormai noto con l'acronimo LCA), un metodo che nelle intenzioni vuole essere oggettivo di valutazione e quantificazione dei carichi energetici ed ambientali e degli impatti potenziali associati ad un prodotto lungo l'intero ciclo di vita: dall'acquisizione delle materie prime al fine vita. Sul piano normativo l'importanza strategica dell'adozione della metodologia LCA, come strumento di base e scientificamente adatto all'identificazione di aspetti ambientali significativi, è ampiamente regolamentata sia a livello internazionale (norme ISO della serie 14040's) sia a livello europeo (Libro Verde COM 2001/68/CE e della COM 2003/302/CE sulla Politica Integrata dei Prodotti). Sul piano pratico, però, uno studio dettagliato di LCA può risultare lungo, costoso e complesso da eseguirsi: si deve acquisire una notevole quantità di dati ambientali durante ogni fase del ciclo di vita, e si devono conoscere in modo approfondito sia gli aspetti metodologici standardizzati della metodologia sia gli strumenti di supporto (software e banche dati). Per ovviare a queste difficoltà, si stanno sempre più sviluppando strumenti di 'LCA semplificata' che consentano una verifica immediata del ciclo di vita dei prodotti anche a coloro che non possiedono tutte le competenze e le risorse necessarie per realizzare uno studio dettagliato. Inoltre poiché per la buona riuscita di uno studio di LCA è di fondamentale importanza la disponibilità di dati attendibili, in campo internazionale ed europeo si sta cercando di favorire l'accessibilità, la disponibilità e lo scambio gratuito e libero di dati LCA attraverso lo sviluppo di banche dati pubbliche, protette, compatibili, trasparenti, accreditate.
E sono proprio queste due caratteristiche (possibilità di ricorso a LCA semplificata e assenza di un inventario di dati universalmente riconosciuto e oggettivamente valido) a fare dell'LCA, e quindi del 'life cycle thinking', uno strumento ancora poco affidabile e immaturo per sostituire integralmente la gerarchia Ue e realizzare valide politiche di pianificazione ambientale. Un problema non da poco.
"La attuale incompletezza di strumenti oggettivi e affidabili, come gli inventari dei dati (Life Cycle Inventories) e le variazioni soggettive delle 'Condizioni al contorno' che vengono assunte nelle LCA - spiega Enzo Favoino, ricercatore della Scuola agraria del Parco di Monza - fa sì che spesso le LCA mostrino risultati contraddittori e in contrasto tra diverse LCA sullo stesso tema. Questo perché cambiando le 'condizioni al contorno' o i numeri input, si possono modificare radicalmente gli esiti. Recentemente, ad esempio, alcune LCA hanno definito più conveniente l'incenerimento dei rifiuti anziché il loro avvio a raccolta differenziata e riciclaggio o compostaggio. Altre hanno invece affermato nettamente il contrario. E' poi clamoroso quanto accaduto di recente in Olanda, dove una LCA aveva dapprima individuato l'assenza di benefici evidenti per il compostaggio dei rifiuti organici rispetto al loro incenerimento. Il risultato è stato talmente sorprendente da aver reso necessaria una revisione di quella LCA; la rivisitazione e l'analisi approfondita dei parametri utilizzati (in particolare con l'inclusione anche dei benefici della sostanza organica rispetto al solo computo dell'apporto di nutrienti, che era stato considerato nella prima versione), ha dato esito diametralmente opposto, ossia, alla fine, favorevole al mantenimento dell'obbligo di raccolta differenziata e compostaggio".
Per Bruxelles materia uguale a energia
Altro punto della Proposta di Direttiva che solleva critiche e perplessità è la sostanziale assenza di distinzione tra recupero di materia e recupero di energia. La Proposta introduce infatti una revisione del concetto di "recupero" che, sulla base di meri criteri di efficienza energetica, riclassifica l'incenerimento dei rifiuti urbani come recupero, in funzione di fatto paritetica al riciclaggio.
"Senza considerarne l'impatto ambientale e a dispetto delle due sentenze della Corte di Giustizia Ue del 2003 che classificano l'incenerimento come smaltimento", denuncia l'EEB che, insieme a numerose associazioni del settore dei riciclatori, si sta attivando per chiedere con forza l'introduzione di una definizione di riciclaggio gerarchicamente superiore al recupero energetico. Obiettivo: individuare inequivocabilmente differenza e preferenza del riciclaggio (di materia) sul recupero (di energia). Un problema, questo, particolarmente sentito dagli operatori del riciclaggio, soprattutto dai compostatori. I quali, proprio per discutere della Proposta di revisione della Direttiva sui rifiuti, su iniziativa del Consorzio italiano compostatori (CIC) si sono dati appuntamento a Bologna il 30 gennaio.
L'anomalia italiana
Le conseguenze di tutto questo? Gli ambientalisti non hanno dubbi: mettere in discussione le priorità di prevenzione e riciclaggio. Rischio che in Italia risulta particolarmente elevato e preoccupante per la distorsione economica introdotta dal decreto 387 sul recepimento della Direttiva Fonti energetiche Rinnovabili.
Perché? "Perché - spiega FavoIno - in Italia il livello di sussidio all'incenerimento come fonte energetica rinnovabile, è il più alto d'Europa: da 2 a 5 volte di quanto previsto in altri Paesi, senza considerare che in alcuni Paesi come la Germania, l'incenerimento è del tutto escluso dai sussidi". Inoltre, in Italia le sovvenzioni sono ancor più impropriamente estese alle plastiche, che tutto sono tranne che rinnovabili, e dunque in palese contrasto con quanto stabilito nella Direttiva stessa. Il che potrà fare verosimilmente partire delle procedure d'infrazione verso il nostro Paese, mettendo a repentaglio gli assunti economici della pianificazione della gestione dei rifiuti che in molti contesti locali si è affidata in forma sostanziale all'incenerimento proprio in ragione di condizioni economiche particolarmente, ma impropriamente, favorevoli.
Che fare?
Insomma sono diverse e fondate le preoccupazioni di molti associazioni e di diversi paesi membri per la proposta di revisione della direttiva quadro. Il che non fa escludere che una qualche modifica possa essere ancora introdotta durante il lungo iter che la trasformerà in direttiva.
Spazi di manovra più ampi si aprono invece a livello nazionale, quando sarà il momento di recepire la nuova normativa. Come verrà tradotto nelle politiche nazionali quanto stabilito, e soprattutto quanto non stabilito, dall'Unione europea?
"In Italia dobbiamo rimanere saldamente ancorati a quanto di buono fatto sinora - precisa Venturi. Innanzitutto è importante individuare degli alleati veri, che noi riconosciamo nei Consorzi del settore del Riciclo, come CIC e Comieco. Insieme a loro, e alle amministrazioni Locali che hanno puntato fortemente sul riciclaggio e la raccolta differenziata (una realtà che comincia ad essere maggioritaria anche in Italia) dobbiamo mantenere un ancoraggio forte alla gerarchia, puntando al miglioramento del mercato del riciclo e riportando la LCA al suo ruolo può corretto ed efficace: quello di elemento di supporto all'analisi e non di strumento prioritario di pianificazione. Sarà un lavoro faticoso e duro, ma che potrà dare risultati positivi se continueremo a perseguire la politica delle buone pratiche che già sono in uso con successo in diverse amministrazioni locali. Anche perché hanno un ritorno economico e di consenso sociale sempre più radicato, strumento veramente efficace a dimostrare che tornare indietro è antieconomico oltre che controproducente".
di Alina Lombardo